Gesti
di Lella de Marchi
appendice per una supplica
omaggio a Ketty La Rocca
Ketty La Rocca non ha un corpo, Ketty La Rocca
ha tante mani. mani bianche che si muovono
su di uno schermo nero che si muovono in tutti i modi
possibili in tutte le direzioni. mani che cercano corpi
che presuppongono l’esistenza di altri corpi pronti
ad accogliere i loro gesti. mani che supplicano altri ipotetici
corpi di avvicinarle di riceverne i gesti. ipotetici corpi
che stanno al di fuori del suo corpo che stanno
al di fuori dello schermo nero.
si potrebbe supporre che esistano tanti corpi quanti sono
i movimenti delle sue mani tanti corpi che corrispondono
perfettamente ad ogni gesto compiuto dalle sue mani.
si potrebbe pensare a cosa accadrebbe se un gesto
compiuto dalle sue mani fosse raccolto da un ipotetico
corpo, non necessariamente predisposto ad accogliere
proprio e solo quel gesto.
fuori di me
omaggio a Francesca Woodman
il mio corpo esiste, ne sono sicura, nudo o vestito esiste.
lo posso toccare lo posso sentire. anche da fuori
del corpo mi arrivano informazioni vaghe, bisbigli
dell’esistenza del corpo.
ma è certo che non posso vederlo, il mio corpo, tanto meno
vederlo in azione, mentre si muove più o meno
spontaneamente. dovrei presupporre l’esistenza di un corpo
fuori di me,di un corpo fuori di sé. un corpo che è me
e che non è me. un corpo che è sé e che non è sé. un corpo
che non sono io.
ma è certo che non posso separarmi del tutto da me e non
potendo separarmi del tutto da me non posso far altro che restare
a guardarmi mentre sono fuori di me, mentre non sono io.
mentre sono fuori di me, mentre non sono io il mio corpo visto
da me è parte integrante del paesaggio fuori di me. è dentro
l’architettura che hanno le cose è dentro le cose è quelle cose.
il mio corpo è un camino il mio corpo è un catino il mio
corpo è un corpo sospeso ad un architrave il mio corpo
è un serpente dentro il catino il mio corpo è un altro corpo.
tutte cose che sono me in quanto le vedo tutte cose che
non possono essere me perché sono fuori di me.
il mio corpo è in tutte le cose che vedo, è vero, ma non tutto
intero, a pezzi, un po’ qua e un po’ là, in modo vago
e trascorrente.
persino lo specchio fallisce nel tentativo di rendermi il corpo
in azione. dovrei sorprenderlo quando non sa che ci sono
e mi sto specchiando. dovrei assumere in me inesistenti quanto
improbabili pose o movimenti.
Tempo Umano Minore
omaggio a Nan Goldin
soltanto un mese fa il mio corpo era qualcosa d’intero
e giustificato, la mia pelle era liscia, la curva seguiva
la curva la retta seguiva la retta.
soltanto un mese fa il mio corpo era un insieme di segni
con sottoinsiemi era un sistema efficiente e ben collaudato.
soltanto un mese fa sul mio corpo c’erano spigoli angoli
rientranze fessure macchie rigonfiamenti.
soltanto un mese fa nel mio corpo tutto era dove
doveva, anche un’imperfezione era dove doveva, era
un tratto era un segno che lo distingueva.
non è solo il tempo a cambiare il volto
alle cose, non c’è solo il tempo cosmico e universale, il tempo
crudele che impone a tutti il nascere e il morire, c’è un tempo
umano e minore un tempo brutale che spacca il tessuto
del tempo cosmico e universale che spacca la fibra che spacca
la faccia, che impone un’aggiunta posticcia e assai
dolorosa di spigoli angoli rientranze fessure macchie
rigonfiamenti. un surplus di dolore un surplus d’imperfezione.
con altro tempo sopra quel tempo umano e minore fino
a raggiungere il tempo cosmico e universale il corpo, persino
il mio corpo, da fuori ritorna intero com’era.
con altro tempo sopra quel tempo umano e minore fino
a raggiungere il tempo cosmico e universale potrebbe
sembrare che il corpo, persino il mio corpo, sia sempre stato
sempre e solo intero com’era.