Da “Terra di mezzo”

di Marco Aragno

 

Era la tua salvezza:

ripetere i gesti minimi, quotidiani

come accendere le luci

alla stessa ora

tenere vivi i fiori sul balcone,

dare da mangiare ai cani.

E lo facevi

anche mentre avvertivi

le prime frane

la caduta improvvisa dei pavimenti

gli uccelli che sbattevano

impazziti nelle gabbie

il temporale

che si avvicinava come una nube

tra le vetrate dei palazzi,

il vento furioso che scoperchiava i tetti

e scovava i vuoti interni

le falle nascoste, i ripostigli bui,

i bambini impauriti

sotto i letti

quali un tempo eravamo.

 

*

 

Post mortem

 

Non c’è stato niente da fare

per l’uomo scappato dal villaggio

che decise di imitare le bestie

sfidare gli inverni d’alta montagna.

Ora giace in una bara di terra

col volto sfigurato e i lineamenti

bruciati dal sole e dal gelo

senza epigrafi o lapidi a ricordarlo

e bocche a ripetere il suo nome.

È solo un osso che risuona

al tintinnare delle piogge, un corpo

che secca al suolo e rilascia

ricordi umidi, di vita e radici,

breve nutrimento per larve e vermi

rimosso dal tempo e della storia.

 

*

 

Toccato il fondo dello scavo

le pale meccaniche trovarono

ossa craniche e tracce

illeggibili di vita organica,

fibre di muscoli che un tempo

bruciarono corpi in movimento

e sangue rappreso

su vecchi campi di battaglia.

Ma niente che facesse pensare

all’anima – sostanza che duri

oltre lo scarto vitale

resistente allo scalpello come

alla dura prova dei fatti.

 

*

 

A volte l’organismo resta bloccato

dentro la polla d’acqua,

fuori dal dominio dell’esistenza.

Non si evolve in forma, non si scinde

in altra cellula

ma anzi regredisce

a pura molecola

aggregato di carbonii, inerte materia

vano progetto di ciò che sarebbe stato.

 

*

 

Si potevano immaginare mondi

dai rottami e dalle carcasse

accatastate agli angoli delle strade.

Come inventare sciami di farfalle

da nugoli di mosche

o banchi di nuvole in transito

dalle folate di polvere, tra la baracche.

Erano i nuovi nati

che sapevano mettere i colori

nelle cose distrutte

loro che sognavano ancora la vita

nella morte che cresceva intorno.

 

*

 

Bisogna inventare nuovi nomi

per il deserto che ci attende,

dai pochi sprazzi di verde

sopravvissuti al fango

tirare fuori un minimo di senso

per spiegare chi non c’è più.

Solo così avremo nuova pelle

contro il freddo che verrà,

occhi affilati come coltelli

nel poco sole che ci illumina.

 

*

[Marco Aragno, Terra di mezzo, Raffaelli editore, 2015]

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Andrea Inglese (1967) originario di Milano, vive nei pressi di Parigi. È uno scrittore e traduttore. È stato docente di filosofia al liceo e ha insegnato per alcuni anni letteratura e lingua italiana all’Università di Paris III. Ha pubblicato uno studio di teoria del romanzo L’eroe segreto. Il personaggio nella modernità dalla confessione al solipsismo (2003) e la raccolta di saggi La confusione è ancella della menzogna per l’editore digitale Quintadicopertina (2012). Ha scritto saggi di teoria e critica letteraria, due libri di prose per La Camera Verde (Prati / Pelouses, 2007 e Quando Kubrick inventò la fantascienza, 2011) e sette libri di poesia, l’ultimo dei quali, Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato, è apparso in edizione italiana (Italic Pequod, 2013), francese (NOUS, 2013) e inglese (Patrician Press, 2017). Nel 2016, ha pubblicato per Ponte alle Grazie il suo primo romanzo, Parigi è un desiderio (Premio Bridge 2017). Nella collana “Autoriale”, curata da Biagio Cepollaro, è uscita Un’autoantologia Poesie e prose 1998-2016 (Dot.Com Press, 2017). Ha curato l’antologia del poeta francese Jean-Jacques Viton, Il commento definitivo. Poesie 1984-2008 (Metauro, 2009). È uno dei membri fondatori del blog letterario Nazione Indiana. È nel comitato di redazione di alfabeta2. È il curatore del progetto Descrizione del mondo (www.descrizionedelmondo.it), per un’installazione collettiva di testi, suoni & immagini.