Queering Wittig ?
di Simonetta Spinelli
Ho chiesto a Simonetta Spinelli il permesso di pubblicare alcuni suoi articoli scritti diversi anni fa e già postati sul suo blog. Le ho anche chiesto di scrivere una breve nota di accompagnamento per ogni intervento, raccontando in sintesi le circostanze della composizione e il contesto di discussione in cui si inseriva, e lei lo ha fatto, per questo la ringrazio. La scelta di ripubblicare questi testi in serie (uno al mese) spero sia evidente a chi legge: (non solo sono incredibilmente belli, ma) sono inattuali e perciò parlano al presente.
Qui il primo post della serie: Una donna lesbica femminista.
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Monique Wittig: queer or not queer? (2016)
Wittig è politica perché è soprattutto una moderna cantora, una delle poche donne lesbiche capaci di inventare il linguaggio della sua passione e di dare voce ad una visione radicale che la rappresenta senza mediazioni. Ma dalla maggior parte delle donne lesbiche più giovani non è studiata, è quasi solo citata sulla base di una frase unica di un suo saggio: “Le lesbiche non sono donne”. Che non è propriamente una citazione, mancando di contesto, è quasi solo uno slogan provocatorio. Per quello slogan è, di volta in volta, citata, esaltata o smentita, oppure ripresa e attualizzata in aderenza alle mode correnti.
Mi sembrava necessario, considerato l’ambito di diffusione della rivista, sintetizzare il suo pensiero per rimediare ad un’appropriazione indebita. Destino che, per ironia della storia, sembra oggi riverberarsi sulle teorizzazioni più intriganti del pensiero queer in Italia, sommerso dalla banalizzazione acritica del “tutto è eguale a tutto”. Un altro spreco.
Monique Wittig: queer or not queer? (2003)*
Monique Wittig è sempre stata una figura controversa nel panorama culturale rivoluzionato in Europa e negli USA dal movimento delle donne. Osannata dalle lesbiche radicali, combattuta come un pericolo da eliminare dalle femministe etero (involontario omaggio alla forza delle sue intuizioni), viene di volta in volta oscurata o tirata fuori dalla dimenticanza, come un eterno boomerang che torna inevitabilmente a ricreare disturbo. Quando non si sa a che santa votarsi, perché il panorama delle sante è inflazionato, ci si ricollega a Wittig. Percorso a ritroso affrontato da più di una generazione di lesbiche, oggi ripreso sia dalla teoria queer, sia da coloro che a tale teoria si oppongono.
Tra le opere di Wittig, la coperta tirata da tutte le parti è in gran parte rappresentata dalla raccolta dei saggi, The Straight Mind And Other Essays, edita negli USA nel 1991, che comprende riflessioni scritte tra il 1978 e il 1990, in parte pubblicate su Questions Féministes e, dopo la rottura avvenuta nel 1980 tra femministe etero e lesbiche radicali francesi, in Feminist Issues, rivista statunitense. Le opere letterarie, che pure rappresentano la maggiore produzione di Wittig e che esprimono, ben prima dei saggi, il suo pensiero politico, sembrano in questa disputa ereditaria passare in secondo piano, così come gli scritti, inseriti nella raccolta, che tracciano le linee di una ricerca che è simultaneamente politica e letteraria, anzi politica perchè letteraria.
Nei primi saggi Wittig, riallacciandosi al materialismo femminista, in particolare alle opere di Colette Guillaumin, Christine Delphy (inventora del termine) e all’antropologia dei sessi di Nicole-Claude Mathieu e di Paola Tabet, mette in discussione il concetto di gruppo naturale che designa le donne inchiodandole in un presunto destino biologico. Per Wittig, che rilancia l’analisi di Simone de Beauvoir “donne non si nasce ma lo si diventa”, donne e uomini sono categorie sociali, prodotto di relazioni che sono simultaneamente economiche e culturali, e nulla hanno a che fare con il destino biologico. La categoria di sesso è il prodotto di una struttura politica di dominio (la società eterosessuale) che impone il suo marchio sulle donne trasformando corpi e coscienze in oggetto di appropriazione. Come la categoria ‘schiavo’ non esiste senza quella di ‘padrone’, come il concetto di razza nasce solo con la colonizzazione, così ‘donna’, lungi dall’essere un dato immediato, dall’indicare un’essenza di derivazione biologica o di ordine naturale, identifica una particolare relazione tra dominante e dominata, e la formazione ideologica, immaginaria, attraverso la quale il sistema sociale, costruito appunto da chi domina, reinterpreta, riducendolo a oggetto, l’altro da sé su cui esercita il suo potere. Come non esiste lo schiavo biologico, ma solo lo schiavo in relazione al padrone che se ne appropria, non esiste la donna se non in relazione all’uomo che se ne appropria e la concepisce in quanto oggetto di appropriazione. Come gli schiavi, allevati per assolvere la funzione di schiavi, le donne fin dalla nascita sono sottoposte ad un regime di eterosessualizzazione che consiste nel programmarle alla riproduzione forzata della specie, al lavoro gratuito di cura, all’assunzione di sè come oggetto di appropriazione. L’eterosessualità, che poggia sullo sfruttamento e l’oppressione delle donne, è per Wittig un regime politico che sottende qualunque struttura di potere e investe ogni discorso sia politico, che scientifico, che antropologico. Tale onnipresenza fa sì che le donne interiorizzino l’appartenenza a un destino immutabile perché biologicamente determinato.
Per Wittig la presenza stessa delle lesbiche – il cui desiderio non è funzionale all’uomo, né alla riproduzione forzata della specie – evidenzia come donna e uomo siano costruzioni sociali e ideologiche e come il contratto eterosessuale, con la sua pretesa universalità, impedisca il sorgere di un conflitto di interessi contrastanti tra classi sociali – la classe delle donne dominata e la classe degli uomini dominante -, nascondendo la realtà del dominio nella cortina di fumo della naturale divisione dei sessi. La lotta per abolire le classi di sesso, e quindi modificare le relazioni sociali che le sottendono, renderebbe inutili sia la costruzione socio-politica “donna” che la costruzione socio-politica “uomo”. Ma perché il conflitto si sveli occorre che ogni donna assuma una coscienza di classe, cioè diventi consapevole che le sue condizioni di esistenza non rappresentano un problema privato ma un problema sociale (cioè sono condizioni prodotte dallo stesso regime di sfruttamento che colpisce tutti gli altri individui della sua classe), e si liberi dalla mentalità interiorizzata dell’oppressione ripensando a partire da sé tutta la realtà sociale.
Le lesbiche – scrive Wittig – fuggendo dal contratto eterosessuale ad una ad una, come gli schiavi neri dalle piantagioni, rendono visibile il carattere impositivo della cosiddetta sessualità naturale e, nello stesso tempo, inventano una nuova prospettiva sociale, un nuovo linguaggio, un diverso sistema di relazioni. In quest’ottica, le lesbiche non rappresentano più l’alterità dominata che il sistema di potere identifica come “donna”. Le lesbiche, quindi, non sono donne.
La radicalità di Wittig non si indirizza solo contro la cultura e le istituzioni eterodirette ma investe anche parte delle teorizzazioni femministe o lesbiche. Alle concezioni che tendono a enfatizzare, sia pure in termini di valorizzazione delle donne, la differenza sessuale, opponendo alla pretesa universalità del pensiero maschile una controcultura al femminile, Wittig ribatte che che il ricorso alle categorie biologiche, alla specificità strutturale del corpo femminile, significa di nuovo naturalizzare la storia e i fenomeni sociali che sottendono ogni forma di oppressione, quindi implicitamente ammettere l’impossibilità del cambiamento. Parallelamente Wittig critica il mito della controcultura femminile affermando che il matriarcato non è meno eterosessuale del patriarcato, perché solo il sesso dell’oppressore muta, mentre si mantiene intatta la struttura di dominio fondata sulla medesima (anche se capovolta) categoria di sesso.
La queer theory rivendica di aver ripreso, attualizzandolo, il pensiero di Wittig. Ma queer theory è già una definizione che si presta a confusione, perché il pensiero queer si è diramato in rivoli contraddittori e che spesso utilizzano Wittig operando disinvolte riduzioni.
Il termine queer, utilizzato per indicare una persona stramba, non integrata, poi acquisito politicamente da militanti lesbiche, gay e trans, che ne capovolgono il significato spregiativo e lo assumono come orgogliosa autodefinizione e presa di distanza dalla norma eterosessuale (straight), viene rilanciato provocatoriamente nel dibattito accademico da Teresa de Lauretis, che organizza nel 1991 un convegno intitolato, appunto: Queer Theory: Lesbian and Gay Sexualities. Con l’utilizzazione del termine queer de Lauretis polemizza con la produzione del discorso lesbico e gay che le sembra fossilizzarsi sulla difesa identitaria, ignorando i rapporti con le differenze di razza, classe, generazione, situazioni socio-politiche. Per de Lauretis la sessualità lesbica e quella gay non sono la stessa forma di sessualità, e non possono essere identificate solo in rapporto all’eterosessualità ma devono essere valutate in riferimento alle rispettive condizioni di esistenza storica, materiale, socio-simbolica in cui si strutturano. Queer Theory,in questa accezione, rappresenta la sfida ad analizzare il terreno comune in cui la sessualità lesbica e la sessualità gay si incontrano, ma anche l’ambito specifico che si sviluppa da pratiche, concezioni, autorappresentazioni diverse, a loro volta segnate da appartenenze di genere, di razza, di classe. Una sfida a misurare e confrontare nelle differenze sia le possibilità che i limiti di un’alleanza.
Gran parte del pensiero queer che si sviluppa successivamente mescola insieme, estrapolando dalla loro costruzione teorica complessiva, contributi di studiosi anche molto diversi: Wittig, ma anche Foucault, de Lauretis, Deleuze, Butler. Partendo, ad esempio, dall’idea comune che il genere è socialmente costruito, il pensiero queer equipara la definizione di Wittig sull’eterosessualità come struttura di dominio che spiega l’oppressione delle donne nella storia – e il suo conseguente appello as eliminare la classe “donna” – all’eterosessualità intesa da Foucault come dispositivo biopolitico per la produzione della sessualità e la gestione programmata dei corpi. Ma Wittig viene accusata di interpretare l’eterosessualità come un blocco rigido e immodificabile da cui si può solo fuggire, anche se non ci sono luoghi in cui fuggire, e opposta a Foucault, che si guarda bene dal mettere in discussione la mascolinità. Distruzione delle categorie di sesso “donna” e “uomo” e ipotesi di un “fuori” dall’eterosessualità sono interpretate come utopie ingenue. Se i sessi sono prodotti dalla totalità granitica rappresentanta dal regime eterosessuale, non si capisce per il queer cosa resti della lesbica quando raggiunge il mitico “fuori”, né come sia ipotizzabile una comunità lesbica, a meno di ritirar fuori vagina e cromosomi dopo aver teorizzato il genere come costruzione sociale.
Alla generazione queer, cresciuta nella subcultura lesbica e omosessuale, Wittig, legata all’ottica del femminismo materialista, sembra incapace di ipotizzare che ci si possa appropriare, capovolgendoli, dei meccanismi di rappresentazione controllati dal sistema etero. La cultura queer, al contrario, nel suo rifiuto della logica binaria del dentro/fuori l’eterosessualità, è interpretata come un sistema aperto, simultaneamente né dentro né fuori, una cultura di resistenza in cui il pensiero dominante viene costantemente sottomesso a processi di citazione, risignificazione, capovolgimento. Tali processi coinvolgono anche le identità non eterodirette, che vengono interpretate come “esclusioni escludenti” (B.Preciado [1]) di altre minoranze a loro volta escluse (di razza, di classe, di polimorfismo sessuale), e come portatrici di nuove gerarchie e categorie universalizzanti. Il pensiero queer si pone, quindi, come iper-identitario (o post-identitario), nel senso che analizza le modalità attraverso le quali l’opposizione etero-omo costruisce le gerarchie politiche di potere/sapere, e si appropria dei meccanismi della produzione performativa delle identità devianti: se la ripetizione ossessivamente martellata della norma etero produce ciò che nomina, cioè il soggetto universale etero, rendere visibile sempre e ovunque che soggetti del discorso sono lesbiche, gay, trans, neri, i soggetti devianti dei ghetti, significa fare di quei ghetti il luogo di produzione di identità resistenti alla normalizzazione. Ma resistere alla normalizzazione e alla universalizzazione comporta negare ogni identità fissa e assumere in sè l’intera gamma delle identità possibili. Se il genere è una performance (Butler) e il corpo il centro di una deterritorializzazione dell’eterosessualità (Deleuze), unica possibilità di combattere il sistema normativo è moltiplicare al suo interno le figure della devianza in un continuo divenire che, mentre le pone in essere, le ridiscute, le destabilizza: non ci si può relegare in un’identità fissa che impedisce l’accesso ad altre identità possibili. Le lesbiche non sono donne, ma nemmeno sono lesbiche perché l’identità di oggi può essere abbandonata domani, e poi ripresa in un movimento all’infinito.
A chi studia Wittig l’analisi sembra quanto meno affrettata. Il pensiero queer accusa Wittig di ipervalutazione dell’eterosessualità e di ingenuità nelle strategie politiche che ipotizza. Può darsi. Ma ci si chiede quale alternativa strategica, oltre al delirio di onnipotenza, proponga un pensiero che ipotizza la scelta sessuale in termini meccanicistici e di volontarismo, come se il desiderio, le pulsioni, le autorappresentazioni avessero così scarsa influenza da permettere a un soggetto di transitare con estrema facilità da un’identità sessuale all’altra. E quale percorso cognitivo lo stesso soggetto sia in grado di effettuare. Perché qui sta il punto.
Wittig non ignora che esistano altri soggetti oppressi – sparsi nei suoi testi vi sono continui accenni agli omosessuali, all’oppressione di razza, agli stessi uomini costretti nella categoria sociale “uomo” -, semplicemente, seguendo una pratica femminista in disuso, parla a partire da sé. Cioè parla a partire dal punto di vista di una lesbica e parla del punto di vista di una che è lesbica. Non ipotizza che la distruzione della categoria sociale “donna” porti alla nascita della categoria sociale “lesbica”, considera il matriarcato un incubo e non esclude che vi siano altri punti di vista. Si limita a dire che oggi, nelle situazioni socio-politiche e materiali date, la lesbica che sfugge al sistema di dominio eterosessuale rappresenta il punto di vista ineliminabile che permette di valutare l’oppressione di sesso – e il sistema degli innumerevoli sfruttamenti che ne conseguono -, così come il punto di vista dello schiavo nero fuggitivo permetteva di comprendere, e quindi destrutturare, l’istituzione politica, economica e sociale della schiavitù. Che tale punto di vista rappresenti un contro-codice definito e definitivo lo dice il pensiero queer, non Wittig.
Soprattutto nelle opere letterarie, felicemente ignorate o quasi dalla critica queer, Wittig va contro ogni clichés, anche lesbico. Le Guerrigliere sono l’epopea di una collettività che faticosamente si cerca e si trova e si smentisce. La stessa struttura circolare del testo, in cui il dopo, il transito e il prima si rincorrono, aldilà dei limiti spazio-temporali, fa da sottolineatura alla descrizione di pratiche che nella sperimentazione si smentiscono, mutano. Ne Il corpo lesbico è la materialità del rapporto che si rifiuta al codice e si smembra/rimembra in un percorso cognitivo che non ha fine e si inventa mentre inventa il suo linguaggio per dirsi, si ricostruisce in un altro – perennemente contraddetto – sistema di segni. Il “fuori” mitico di Wittig, sul quale polemizza il discorso queer, è la costruzione di un percorso di coscienza non riassorbibile in termini di codice nè di mercato e che smentisce proprio la fissità della politica identitaria chiusa nel ghetto delle sue sicurezze. Ci si chiede, invece, come sfugga alla logica del mercato il soggetto queer polisessuale che, non avendo punti di riferimento, e vagolando nella coscienza di sè come fra un tutto e un niente, non può che diventare l’utente privilegiato dell’apparato produttivo che incrementa il consumismo del sesso.
*In teoria 3, in Towanda!, n.9, marzo-maggio 2003 poi in www.tanianavarroswain.com.br/labrys/special/simonetta.htm
[1] B.PRECIADO, Manifeste Contra-sexuel, Paris, Balland, 2000 (trad.it. Milano, Il dito e la luna, 2002). La notorietà di Preciado in Italia è dovuta in gran parte al fatto che il suo è l’unico testo di teoria queer tradotto. [N.per il blog: ovviamente nel 2002]
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Parto da quello che considero l’errore a monte. La mancata conoscenza della natura. Parlare di destino biologico significa non aver ben chiaro di cosa si sta parlando. Da qui il parallelismo con la schiavitù, che non sta in piedi. Con tutti i limiti che hanno le categorie in biologia, queste non possono essere ridotte a costruzioni sociali. Le donne hanno evoluto e stanno evolvendo certe caratteristiche, punto. E il concetto di razza non nasce certo con la colonizzazione. Da questo errore di fondo deriva il secondo errore, logico anche, per cui l’esistenza delle lesbiche dovrebbe mostrare la costruzione del concetto di uomo e donna. Ma neanche per sogno. Sesso e orientamento sessuale sono cose diverse. La presenza dell’omosessualità, riscontrata in altre specie animali, mostra come tutto ciò di cui si sta parlando, è di pertinenza biologica e non sociale. Che poi in una certa società le lesbiche vadano contro l’orientamento sessuale prevalente, mette in discussione solo quella società, non certo la natura. Che poi ancora le femministe della differenza parlino a vanvera non consente di cancellare il dato di natura.
Andando oltre, la queer theory ha senso fino a che si tratta di mostrare al mondo che non esiste solo l’eterosessualità, che l’identità sessuale non è un monolite, che ognuno può fare quello che vuole eccetera. La queer theory diventa ridicola però quando comincia a pensare di essere quello che non può essere, assieme a tutti questi discorsi che un giorno vorrei capire a cosa servano se non a colmare il bisogno di appartenenza delle persone. Fare del proprio orientamento sessuale un punto politico al di là della rivendicazione della libertà sessuale è follia pura. Da qui i penosi rivoli di lotte intestine, gruppi irrilevanti che si fanno la guerra. E più che combattere il presunto sistema eteronormativo, qui si stanno combattendo solo i personali fantasmi.
Scrive h:
<>
E quali sarebbero queste categorie biologiche non riducibili a costruzioni sociali?
Rispetto al genere i biologi, per esempio Fausto Sterling, Diamond, Kinsey, sono i primi a non riconoscere la “naturalità” della divisione binaria di sesso e orientamento sessuale.
La citazione saltata è questa:
“Con tutti i limiti che hanno le categorie in biologia, queste non possono essere ridotte a costruzioni sociali.”
Andrea, la riproduzione sessuale non l’ha inventata la biologia, ma è spuntata fuori a un certo punto nella notte dei tempi. Questo fa sì che esistono gli ovuli e gli spermatozoi, e ci sono esseri viventi che producono ovuli e ed esseri viventi che producono spermatozoi. Che poi nella storia umana si sono volute attribuire caratteristiche altre a tali produttori è un altro discorso, e sappiamo tutti più o meno quanto è stato sbagliato anzitutto, e violento. Ma da questo a ribaltare la faccenda e parlare di costruzioni sociali ce ne passa. Le donne non hanno un destino biologico, ma sono donne (al momento) a prescindere dalle cazzate dei religiosi di un tempo, e anche a prescindere dalle cazzate queer di questo tempo. La presenza delle lesbiche, lungi dal voler mettere in crisi chissà quale discorso, dimostra solo che l’orientamento sessuale è vario e che in passato ci si è sbagliati su tale orientamento, ma li finisce la faccenda.
Allora ripartiamo dalla citazione:
“Con tutti i limiti che hanno le categorie in biologia, queste non possono essere ridotte a costruzioni sociali.”
come spesso accade nei discorsi ascrittivi viene utilizzata la reticenza: ciò che è cruciale dire non viene detto.
Dunque ho fatto una domanda per esplicitare la reticenza:
“E quali sarebbero queste categorie biologiche non riducibili a costruzioni sociali?”
ma “h” rispondi usando nuovamente la reticenza:
“la riproduzione sessuale non l’ha inventata la biologia, ma è spuntata fuori a un certo punto nella notte dei tempi. Questo fa sì che esistono gli ovuli e gli spermatozoi, e ci sono esseri viventi che producono ovuli e ed esseri viventi che producono spermatozoi.”
Allora provo a sciogliere ancora una volta la reticenza:
Se con il discorso sulla riproduzione vuoi dire che gli esseri umani si dividono binariamente secondo un dimorfismo sessuale che tu in ultima analisi vorresti definire attraverso gli organi riproduttivi, ti stai sbagliando di grosso.
Quello che fai è un ragionamento molto ingenuo, che non appartiene alla biologia, vedi Anne Fausto-Sterling o Milton Diamond tanto per fare due nomi di importanti biologi che si sono occupati di questa faccenda del binarismo sessuale.
I corpi umani, ma questo succede anche negli animali, non sono riducibili al dimorfismo sessuale. Milton Diamond al proposito sostiene “Nature loves variety. Unfortunately, society hates it.” Questo pensiero è alla base degli studi sull’intersessualità umana.
Insomma la forza della “cultura” è così potente da stravolgere anche il dato biologico, presentandoci un mondo dimorfico e costruendoci su delle pratiche violente. Infatti questo che faccio non è un esercizio intellettuale, è la denuncia di un sistema di sesso-genere violento per il quale nemmeno la parola “schiavitù” è abbastanza, basti pensare alla chirurgia cosmetica di sessazione che subiscono gli infanti intersex ignorando il diritto umano all’integrità fisica.
Per esempio un caso recentissimo qui:
http://www.lasicilia.it/news/home/35715/diventa-un-caso-parlamentare-la-bambina-di-due-anni-che-ha-cambiato-sesso-a-palermo.html
Andrea, io non ti sto presentando un mondo dimorfico e binario, io ti ho detto che esistono gli ovuli e gli spermatozoi, e che gli esseri umani si riproducono sessualmente. Da questo derivano gli uomini e le donne. Questa non è una riduzione, è semplicemente un modo ragionevole di nominare le cose. Che poi esistano eccezioni e che le categorie, come i nomi, sono quelle che sono, siamo tutti d’accordo. Ma che la natura sia fatta come è fatta, non è un problema mio, né tuo, né di Fausto Sterling o chicchessia. Fattene una ragione. Al momento l’intersessualità è insignificante. Se e quando gli esseri umani saranno prevalentemente intersessuali ne riparleremo.
Poi non capisco cosa c’entrano l’articolo che mi linki e la tua denuncia col mio discorso.
Le “donne” e gli “uomini” sono due concetti sociali, casomai visto che pretendi di parlare di biologia dovrai parlare di femmine e maschi.
E’ corretto dire come tu dici che “le femmine e i maschi derivano dalla riproduzione sessuale”?
Certamente. Ma dalla riproduzione sessuale derivano allo stesso modo i corpi intersessuali, perché non è che Herculine Barbin tanto per fare un nome colto nasce sotto un cavolo, né è nata sotto un cavolo quella creatura di due-tre anni cui è stato tolto l’utero e fabbricato un pene in una clinica palermitana, un mesetto fa, da un chirurgo sessatore che ha fatto una scommessa non etica sull’identità di genere.
Quindi non capisco come la riproduzione sessuale possa giustificare la visione controfattuale che tu tenti di propinarci: una divisione binaria tra femmine e maschi. Tutto ciò non è vero, e la biologia intesa come scienza non lo sostiene affatto. Tu ti muovi dentro uno schema ideologico, tentando di far passare per fatto una norma. Quelle che tu chiami “eccezioni” non hanno affatto il senso di confermare una presunta regola, le “eccezioni” hanno il senso di avvertire che il tuo schema mentale è sbagliato, controfattuale. L’avanzamento del perielio dell’orbita di Mercurio non era l’eccezione che confermava la teoria di Newton, era la spia che quella teoria non era esatta, che per spiegare il movimento dei pianeti occorre la relatività generale, cioè un paradigma completamente diverso.
Infine in modo sbalorditivo chiedi: “Poi non capisco cosa c’entrano l’articolo che mi linki e la tua denuncia col mio discorso.”
Come non capisci… il senso è evidente: mostrarti come persino ciò che è considerato un dato biologico oggettivo, i caratteri sessuali, sono prodotti dalla cultura a colpi di bisturi. E tu mi vieni a dire che non possiamo parlare di destino sessuale e di schiavitù!
Siamo su scherzi a parte vero? Noi viviamo in un mondo di violenza sessuale inaudita.
La presenza di corpi intersessuali non nega la presenza di maschi e femmine. Tu ti vuoi impuntare sul binarismo, ma il binarismo l’hai tirato fuori tu. Io sono intervenuto dicendo che se usiamo le categorie di donne e uomini non è per una costruzione sociale, ma perché toh, in natura esistono le cellule sessuali, alcuni hanno il pene altri la vagina, alcuni partoriscono e altri no. La mia descrizione non nega affatto l’esistenza delle persone intersessuali, anzi, le include nelle occorrenze della natura. Non c’è nessuna ideologia in questo, e anzi, con la stessa assenza di ideologia ti dico che l’intersessualità è un’eccezione, una rarità, chiamala come ti pare. Il tuo discorso mostra che ci sono persone che decidono per altre persone sulla base della loro idea di come devono essere le persone, in questo caso in campo medico. il mio discorso non dice nulla di tutto questo e neanche lo nega. La divisione dei sessi è naturale, punto. Da questo assunto non si arriva in nessun modo alle operazioni di cosmesi sessuali. E il fatto che la scienza medica sia in grado di creare i caratteri sessuali non implica che i caratteri sessuali siano culturalmente prodotti.
Il riferimento al destino biologico è nel testo. Nel testo si presenta il concetto di donna riferito alla biologia come destino biologico. Ma la biologia non designa nessun destino. Semplicemente si nasce donna, e lì finisce. Attaccare la cultura sessista, cosa giusta, non necessita di mettere in discussione quello che è un dato di natura, e che tale dovrebbe rimanere. Quello che invece fanno costoro che bazzicano il mondo queer è lo stesso errore fatto dalla cultura sessista. Si sono inventati un mostro da combattere, ben più grande della cultura sessista, alimentandolo con i discorsi che piacciono tanto a* nipotin* di Foucault.
“La presenza di corpi intersessuali non nega la presenza di maschi e femmine.”
E perché dovrebbe?
proviamo a concentrarci invece su ciò che afferma: gli animali umani non si dividono binariamente in maschi e femmine. Questo è il dato di fatto.
Quindi coloro che in qualche modo, con argomenti ingenui tipo “l’intersessualità è una eccezione che conferma la regola” oppure “si nasce da un maschio e una femmina” oppure “i biologi dicono che si è maschi o femmine” tentano simbolicamente di invisibilizzare la realtà facendo passare la naturalizzazione per natura, cioè una norma per fatto, non solo spandono scemenze nel mondo, ma fondano una cultura violenta, binaristica che porta, magari non loro direttamente ma i loro “nipotini”, a mutilare i corpi di infanti intersessuali, a portare davanti a giudici e psichiatri le persone transessuali, a menare gli omosessuali, a chiedere i “numeri verde antigender” e così via.
Allora serve la queer theory?
Certo che serve, serve contro la cretinaggine.
Comunque è anche con molto dispiacere che noto che nessun*, né Jamila Mascat, né Simonetta Spinelli (che la Mascat potrebbe avvertire), né qualcuna o qualcuno di questo blog “letterario” e “intellettuale” interviene per difendere questo testo e i cosiddetti queer studies.
“Andando oltre, la queer theory ha senso fino a che si tratta di mostrare al mondo che non esiste solo l’eterosessualità, che l’identità sessuale non è un monolite, che ognuno può fare quello che vuole eccetera. La queer theory diventa ridicola però quando comincia a pensare di essere quello che non può essere, assieme a tutti questi discorsi che un giorno vorrei capire a cosa servano se non a colmare il bisogno di appartenenza delle persone. Fare del proprio orientamento sessuale un punto politico al di là della rivendicazione della libertà sessuale è follia pura. Da qui i penosi rivoli di lotte intestine, gruppi irrilevanti che si fanno la guerra. E più che combattere il presunto sistema eteronormativo, qui si stanno combattendo solo i personali fantasmi.”
io cmq questo l’ho scritto nel mio primo commento. Tu non so se lo hai letto o se comunque hai trovato il bersaglio del giorno, fatto sta che di binarismo non ho parlato, e neanche mi interessa parlarne, per me non è un problema e tra l’altro non vedo cosa dovrebbe aggiungere al mio discorso, se non rafforzarlo, visto che come sono categorie biologiche quelle di maschio e femmina, e conseguentemente di donna e uomo, lo è anche quella di intersessuale (così come gli orientamenti sessuali). L’unica cosa che ti ripeto è che non sono i biologi a dire che ci sono i maschi e le femmine (che non significa né che esistano solo i maschi e le femmine, né dovrebbero esistere solo i maschi e le femmine). è la natura. Poi se tu nel mio discorso vuoi vederci l’appoggio alla violenza che citi, veramente non so che farci. A me pare chiaro quello che ho scritto e tanto mi basta.
“h”, questo è un tuo repertorio di asserzioni:
“La divisione dei sessi è naturale, punto.”
“fatto sta che di binarismo non ho parlato”
Credo si commenti da sé.
[…] Qui il secondo: Queering Wittig?. […]