cinéDIMANCHE #29 FRANK CAPRA L’eterna illusione [1938]


 
“Ognuno fa quel che vuole, vero?”
 
di Orsola Puecher

 
Il cast al completo.
Il cast al completo.

Nel ⇨ numero del 19 settembre 1938 della popolare rivista americana LIFE il film You con’t take it with you [“Non puoi portartelo con te” nel senso del capitale e delle cose materiali, titolo molto più esplicito del vago italiano “L’eterna illusione“] è recensito come MOVIE OF THE WEEK. Sulla copertina campeggia l’emergente politico cristiano di origine irlandese Jim Farley, che sarà poi, in quanto gettonatissimo candidato democratico, fra i più accaniti avversari alla terza rielezione di Franklin Delano Roosevelt alla Casa Bianca. All’interno leggiamo che “Il gabinetto britannico si precipita a casa per giocare a poker con Hitler“: nel marzo del ’38 dopo l’Austria Hitler si era già annesso la Cecoslovacchia, venti di guerra imminente erano in avvicinamento e “Il Primo Ministro [Chamberlain ritratto al numero 10 di Downing Street al ritorno da una partita di pesca per il week end] e il suo Gabinetto detengono le chiavi della guerra o della pace in Europa.“, e soprattutto “La Germania svela di possedere il più grande cannone da campo semovibile del mondo” con annessa foto minacciosa dell’enorme obice in un tripudio di stendardi sventolanti con svastiche. Poi abbiamo campioni di tennis, una famosa modella del Greenwich Village, Ann Gutkin, la pattinatrice Sonja Henie che va al college, un reportage su viscidi batraci impegnati a sbranarsi dal titolo “Sulla superficie di un pacifico stagno un cameraman scopre drammi d’amore e guerra.” Evidentemente anche là ormai non c’è più pace.
 

I Sycamore-Vanderhof all'opera
I Sycamore-Vanderhof all’opera

 
Nell’ampio servizio a lui dedicato il film di Capra viene definito come “Il ritratto di una stramba famiglia di Manhattan in cui ognuno fa quel che gli pare“.
 
Dietro le quinte.
Dietro le quinte.
Nel capoverso “Come Frank Capra ha fatto un film di successo” si narra la favola americana del bambino di 6 anni, Francesco Rosario di Bisacquino, che emigra dalla Sicilia in California, dove ora guadagna 350.000 dollari all’anno. “Capra ama ridere“, ha “un tenero senso dell’humor, un fulmineo senso di satira sociale, una fede ardente nella natura umana.” Bellissime le foto dietro le quinte del set, dove il regista “non usa mai il megafono, ma studia la personalità degli attori, scoprendo caratteri ancora sconosciuti agli altri registi“, si rilassa suonando lo xilofono di scena, monta ed edita personalmente la pellicola, cura la colonna sonora e la sonorizzazione.
Celluloide.
Celluloide.
L’eterna illusione è uno dei film del cuore della mia infanzia, quella di bambini negli anni ’60, con un piccolo televisore di pochi pollici in bianco e nero, antenna orientabile e rotella tipo radio per la selezione dei canali, dove nel periodo di Natale venivano trasmesssi certi deliziosi film come quelli di Capra, oltre a L’eterna illusione, La vita e’ meravigliosa, Arsenico e vecchi merletti, o Piccole Donne [1949] di Mervin LeRoy, Papa’ Gambalunga [1955] di Jean Negulesco, con Fred Astaire e la giovane attrice e ballerina francese Leslie Caron, Cenerentola a Parigi [1957] con Audrey Hepburn, Il Mago di Oz [1939] di Victor Fleming con Judy Garland e lo stupendo Il favoloso Andersen [1952] con Danny Kaye. Rivedendo oggi “L’eterna illusione” si evidenziano moltissimi contenuti, non è certo soltanto il film corny, sdolcinato e ottimista, accusa fatta a Capra frequentemente, per far da tonico a un paese in depressione; ma ridendo e scherzando vi si denuncia con forza la speculazione del ricco banchiere Kirby, che vuole distruggere un intero isolato di case per impiantare un grande magazzino di vendita di armi, e con ogni mezzo cerca di costringere la famiglia Sycamore-Vanderhof, che unica si oppone al suo progetto, non volendo vendere la casa. L’amore imprevedibile fra suo figlio Tony e Alice, figlia dei Sycamore e sua segretaria, tratteggia due novelli Romeo e Giulietta vittime del capitalismo e delle differenze sociali, fino a un divertente finale in cui tutto si aggiusta, con il riconoscimento da parte della famiglia Kirby che nella vita ci sono altri valori oltre al guadagno: la vittoria della bontà sull’avarizia, l’amore che conquista tutto e l’importanza degli affetti rispetto ai possedimenti materiali. Non ultimo un certo spirito americano democratico originario e positivo che in periodo di dopo Trump non guasta rinverdire.
 

– Lincoln diceva: ” Verso nessuno con astio, verso tutti con carità.”
– Oggi si dice: “Fai come dico io o ti faccio a pezzi.”


 
Si annebbia fra anni lontani, in una casa che non c’è più, il ricordo di aver visto il film insieme a mamma e papà, le poltrone del salotto avvicinate al piccolo monitor, in una delle rare occasioni in cui lui era a casa con noi. E di allora restano soprattutto l’accigliato e melodrammatico maestro di ballo russo, interpretato da Misha Auer, che si presenta sempre, e non a caso, all’ora di mangiare per dare lezioni private alla ispirata e maldestra Essie, il suo intercalare di disapprovazione “Puzza“, che rimase per anni nel lessico famigliare, e il divertimento di mamma che, da ballerina della Scala e insegnante di danza poi, non solo aveva avuto una maestra russa, ma spesso e volentieri prendeva in giro il mondo della danza classica e le sue fisime, con un occhio benevolo per le aspiranti ballerine non molto dotate. Ma soprattuto rimane la strampalata famiglia Vanderhof-Sycamore, dove gli ospiti si fermano per nove anni e ognuno in totale libertà si dedica alle sue passioni, anche effimere e momentanee: danza, musica, francobolli, invenzione di giocattoli, dolcetti Sospiri d’Amore, pittura, scrittura, fabbricazione clandestina di fuochi d’artificio in cantina saturano la casa di suoni, rumori esplosivi, ottimismo e frenetica allegria… un imprinting indelebile. E da allora ce l’ho sempre avuta in mente come modello di convivenza ideale e ho poi cercato di realizzarla, sopravvissuta alla solitudine dei figli unici, nella mia numerosa famiglia, per molti versi simile ai Sycamore-Vanderhof nel sano apparente disordine, nello spirito, nell’eclettismo e nei valori.

– Stavo pensando alla tua famiglia. Vivere con loro dev’essere come vivere in uno dei mondi di Walt Disney. Ognuno fa quel che vuole, vero?
– Si. E’ stata un’idea del nonno. Un giorno ha preso e ha mollato il lavoro. Aveva iniziato a fare l’allevatore. E’ tornato qui e non e’ piu ripartito. Sarebbe potuto diventare ricco, ma sosteneva che non si divertiva.
– E’ fantastico.
– Poi ha iniziato a collezionare francobolli, che sono la sua passione. Viene pagato per valutare altre collezioni, sai? E’ un vero esperto.
– Meraviglioso.
– Mio padre crea fuochi d’artificio perché non e mai cresciuto, credo. E mamma… Sai perché mamma scrive opere teatrali?
– Adora la letteratura e i buoni libri.
– E’ perché otto anni fa ci hanno recapitato per sbaglio una macchina da scrivere.
– Se vi avessero recapitato una zappa, avrebbe iniziato a lavorare i campi?
– Ne sono certa. A patto che le piacesse farlo.


 
Populism or populism?
 
di Francesco Forlani

 
Jacques Tati as seen by Robert Doisneau
Jacques Tati as seen by Robert Doisneau

A lungo ho cercato in rete, nelle videoteche questo film di Frank Capra e quando finalmente sono riuscito a rivederlo, da quella volta in cui ne ero rimasto estasiato in una sala di cinema di St. Germain, ho provato le stesse emozioni, la stessa tenerezza che avevo sentito allora. In realtà c’ero andato su consiglio di Jean Claude Michéa,  amico e filosofo francese assai controverso e che in Italia  Goffredo Fofi ha salutato come uno degli intellettuali francesi più interessanti di questi anni.

Grazie a Michéa ho capito o almeno creduto di capire come la parola populismo contenesse nel proprio orizzonte tutti gli anticorpi alle derive che un uso scorretto dello stesso termine potesse generare. I film di Frank Capra soprattutto quelli precedenti alla seconda guerra mondiale, sostanzialmente vitalisti e populisti nel più autentico senso che se ne possa avere potrebbero senza alcuna difficoltà integrare una delle più felici formule trovate da Christopher Lasch:

Il populismo è la voce autentica della democrazia. Afferma che gli individui hanno diritto al rispetto fin tanto che non se ne dimostrino indegni, ma devono assumere la responsabilità di loro stessi e dei loro atti. Ha una reticenza nel fare eccezioni o a sospendere il giudizio in ragione del fatto che sia ” colpa della società”.

Dal capitoyou_cant_take_it_with_you_1938_posterlo V di La ribellione delle élite. Il tradimento della democrazia, Christopher Lasch . Estratto da me tradotto dall’edizione francese: La Révolte des élites, Climats, Castelnau-le-Lez, 1996 (p. 113 à 115)

A partire dal titolo You Can’t Take It With You, tradotto un po’ maldestramente in italiano con “L’eterna illusione” , il film che fa cominciare tra l’altro la proficua collaborazione di James Stewart con il regista italo-americano, si enuncia una forma di azione, una sottrazione alle vicende così come pare naturale che debbano andare a finire, ovvero l’acquisto di tutti i terreni necessari al terribile magnate Anthony P. Kirby per poter realizzare l’ennesimo grande “affare”.  A un capitalismo che non fa sconti a nessuno e che soprattutto stabilisce con fermezza la propria superiorità morale perché di classe (vd la scena del tribunale) potrà opporsi soltanto una visione del mondo radicalmente opposta, quella incarnata dal vecchio Martin Vanderhof  che con i suoi insegnamenti tutti incentrati su idee semplici, da common people, della felicità, del lavoro, dell’amore e  su una common decency nella pratica sociale riuscirà a demolire la machinerie generata dalla grande depressione economica.

La vita della famiglia Sycamore-Vanderhof è un vero e proprio inno alla gioia. Immancabile la musica ne governa o piuttosto sgoverna ogni movimento, gesto, trasformando tutto in passi di danza in improvvisazioni all’armonica. Eppure, nonostante la sua stravaganza questa  avrà la meglio sulla famiglia di Kirby  e  non solo  per l’amore che lega  il figlio dell’uomo d’affari destinato a diventare uomo d’affari alla nipote di Vanderhof, che altri non è che la sua segretaria; altro sarà a determinare “la caduta” di chi si credeva troppo in alto ma lasceremo allo spettatore di scoprirlo. Quello che possiamo dire è che il nonno Vanderhof rappresenta il filosofo da “bancone” ( traducendo il più ben efficace termine americano crackerbarrel Yankee philosopher) il semplice pensatore che riesce a fondare sul buon senso la propria lotta al capitalismo finanziario.

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Come ha scritto il mio amico Michéa a proposito del populismo:

“Dall’altra parte dell’ Atlantico, il populismo si proponeva di sostituire il “governo di Wall Street esercitato da Wall Street in favore di Wall Street- secondo la formula di Mary Elisabeth (1850-1933)- con il governo del popolo, attraverso il popolo,  per il popolo”.

Nulla di più lontano dai fenomeni di baraccone prodotti in questi anni dalla destra, per lo più, come Berlusconi, la Lega, le Pen e last but not at least Donald Trump.

«Del più grande dei registi americani » come lo considerava John Cassavetes esistono certamente luci ed ombre; di lui sappiamo che  nei suoi film nulla era lasciato al caso: ” « Bisogna saper fare un film ancor prima di cominciarlo », aveva dichiarato nel 1946. Non si può che pensare con malinconia al fatto che un grande regista come lui rimase per ben trent’anni in silenzio, dal suo ultimo film Rendez-vous in Space, del 1964 fino alla morte nel 1991. Erwan Higuinen in un articolo apparso nei Cahiers du cinéma n°578, nel 2003, scriverà di lui:

Connaissez-vous Frank Capra ? Bien sûr : La vie est belle, Mr Smith…, Mr Deeds…, les contes utopiques, l’optimisme irréductible… Mais pas du tout : cet homme était obsédé par le suicide, issue envisagée et évitée de justesse dans presque tous ses films, jusqu’à State of the Union (1948)

Quest’uomo era ossessionato dal suicidio, uscita di scena immaginata ed evitata per un pelo in quasi tutti i suoi film. Sarà così? Però, intanto, buona visione. E, grazie Frank.

 

3 COMMENTS

  1. “Poi bisogna varcare una precisa soglia, andare oltre il linguaggio. Trovare quella che Saul chiama «la voce». Quante volte l’ho visto bocciare una dopo l’altra le diverse versioni di un romanzo (da Herzog in poi) perché «la voce» non era quella giusta. La «voce» è qualcosa di impalpabile. È l’anima. Non un’anima qualsiasi, ma l’anima del personaggio: ciò che ne costituisce l’identità, il linguaggio, le aspirazioni, i tormenti, gli smarrimenti.
    La voce individuale è qualcosa di simile a quella che altrove Saul ha chiamato «l’anima primaria»: l’io originario esasperato dal non potersi manifestare. Un giorno o l’altro dovrete tutti riportarlo in superficie questo io originario, sessuale o mentale che sia, come ha fatto Saul, dovrete diventare un accumulatore di energia orgonica e sciogliere le tensioni muscolari (quello che fanno le mogli, insomma) che impediscono all’io vero e proprio di esprimersi. Allentate le resistenze – così da liberarvi dalla rigidità della lingua classica – e tutti loro, i Valentine Gerbach, gli Herzog e i Ravelstein vi parleranno. Diventerete voi il loro intermediario.
    Ebbene sì, una nozione squisitamente romantica! Nel significato che il termine ricopriva nell’Ottocento. IO, io, io… e già si sente il grido di Beethoven! Il Nobile Selvaggio è la figura che domina quel secolo. Ma questo selvaggio ha un lato oscuro, e non è così nobile quanto vuol sembrare. Finirà per fondersi in Cuore di tenebra di Conrad (uno dei libri-chiave di Saul) perché il Nobile Selvaggio rappresenta l’Anima Primaria e l’Anima Primaria è insondabile e terribile.”

    Keith Botsford

    http://www.zibaldoni.it/2011/10/14/ego-1/

  2. Semplicemente il sorriso benevolo ed ironico del grande Frank Capra é il miglior antidoto ai tempi e alle elezioni fasulle. Piú che scovare a tutti costi temi e scritti forzosi, arzigogolati ripescare nel passato (prossimo)la…fabula non fa che bene.

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francesco forlani
francesco forlani
Vive a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman e Il reportage, ha pubblicato diversi libri, in francese e in italiano. Traduttore dal francese, ma anche poeta, cabarettista e performer, è stato autore e interprete di spettacoli teatrali come Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, con cui sono uscite le due antologie Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Corrispondente e reporter, ora è direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Con Andrea Inglese, Giuseppe Schillaci e Giacomo Sartori, ha fondato Le Cartel, il cui manifesto è stato pubblicato su La Revue Littéraire (Léo Scheer, novembre 2016). Conduttore radiofonico insieme a Marco Fedele del programma Cocina Clandestina, su radio GRP, come autore si definisce prepostumo. Opere pubblicate Métromorphoses, Ed. Nicolas Philippe, Parigi 2002 (diritti disponibili per l’Italia) Autoreverse, L’Ancora del Mediterraneo, Napoli 2008 (due edizioni) Blu di Prussia, Edizioni La Camera Verde, Roma Chiunque cerca chiunque, pubblicato in proprio, 2011 Il peso del Ciao, L’Arcolaio, Forlì 2012 Parigi, senza passare dal via, Laterza, Roma-Bari 2013 (due edizioni) Note per un libretto delle assenze, Edizioni Quintadicopertina La classe, Edizioni Quintadicopertina Rosso maniero, Edizioni Quintadicopertina, 2014 Il manifesto del comunista dandy, Edizioni Miraggi, Torino 2015 (riedizione) Peli, nella collana diretta dal filosofo Lucio Saviani per Fefé Editore, Roma 2017