da Le storie del pavimento
[pubblico un estratto del testo che ho letto alla Festa di NI e su cui sto lavorando in questo periodo. Hope you’ll enjoy. gh.]
29.09.2015
Paolino, dal letto, si scavava un rifugio nella materia densissima del buio, spingendosi a fondo tra i suoi spessori, come tra le pieghe membranacee di un corpo gigante, immenso e deforme. Sentiva, tra le lenzuola, di avvicinarsi al cuore del sonno, che credeva fosse un lupo, alla scaturigine dell’altra vita, da cui a volte riportava dei ricordi quasi veri, delle parole, un sentimento di dolore familiare e cupo.
Non eravamo i primi e in fondo ai cassetti, persi sugli scaffali alti, nei particolari delle fotografie appese, scoprivamo i ruderi degli antichi insediamenti. Una volta, sulla parete della cucina, trovammo diverse serie di lineette, tracciate a quote distinte, in colori pastello sbiaditi col tempo, segnate da sequenze numeriche come 88, 90, 98, 103, 115. Una volta ci imbattemmo in una calamita smagnetizzata, alta diversi centimetri, abbandonata nella scatola degli attrezzi, presso cui sostammo per una stagione. Ci raccontarono di una scritta “MAVRI” avvistata in un angolo in ombra del corridoio, vicino al battiscopa.
30.09.2015
Non c’era sogno che resistesse all’inverno, che lo superasse, se non nella forma di un’acuta paura del domani. Le regioni più interne delle camere ci assicuravano un riparo dalle urla e dal clamore dei giorni in continua successione. Non era tanto il futuro che ci costringeva a un continuo tragitto e al disfacimento quotidiano, tra le ombre e le luci dell’appartamento, ma gli stessi volumi delle camere, incolmabili e prodighi di nuovi angoli, di luci mattutine, di reperti, di sentimenti.
I muri erano i contrafforti di un mondo escluso dai nostri tragitti. Li costeggiavamo ciclicamente, percorrendone i battiscopa, superando le piccole scaglie di intonaco ai loro piedi, la polvere arenata contro il loro spigolo. Sulle pareti sentivamo scorrere le correnti convettive che muovevano i nostri sogni, i pensieri distratti e sentimentali che ci spingevano da una camera all’altra. Il loro spessore era interminabile. In un’epoca lontana, tentammo di scavarlo, di penetrare le sue misure e accedere all’altra parte. Procedemmo per anni sempre più a fondo nei laterizi, tra le tubature e gli impianti elettrici, le assi di legno, le intelaiature catramate e non arrivammo da nessuna parte. Trovammo solo un pupazzo, un pinocchio di pezza incastonato tra qualche mattone, che torreggiava sulle nostre teste e ci chiese della notte e del giorno.
La Luna accompagnava Paolino, nella traversata delle notti che lo attendevano. Spesso sostava, come un palloncino, a mezz’aria ai piedi del letto, complicando la cameretta in un sistema di ombre, chiarori e illusioni, attraversato dai tragitti irresoluti dell’Omino del Sonno, delle Compagnie dei Sogni. Una volta Paolino la vide, convinta di non essere vista, aprire degli occhi da alieno verso di lui, occhi sfaccettati e iridescenti come quarzi, come opali, come il cuore tremendo di una montagna. La luce per poco si attenuò e, per un attimo, Paolino sentì il tremito di un sussurro irripetibile.
Straordinario trovo, come sempre, il tuo lavoro.
Un saluto,
Dom
Bentornato indiano, Gherard!
ma… l’omino dell’ombra, piccolo, con la barba lunghissima, le scarpe gialle si è nascosto di nuovo nel cassetto dei fazzoletti? :-)
Penso comunque che ormai le case dove ci siano ancora in qualche modo fazzoletti, quelli di tela, e un cassetto dei fazzoletti siano rarissime.
,\\’
@domenico: grazie mille, sai benissimo che la tua lettura per me avrà sempre un valore speciale!
@andrea: grazie (a adesso aspetto il vitello grasso o vitellone!)
@orsola: personalmente sono vieux jeu in tema di fazzoletti da naso ;-)