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La memoria di Old Jack

di Wendell Berry

“La memoria di Old Jack” è appena uscito nella traduzione italiana di Vincenzo Perna per le edizioni Lindau. Qui tutte le informazioni.

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Lui la conquistò coi suoi difetti, lei lo accettò come una sorta di «terreno di missione», e il risultato fu il naufragio dell’esistenza di entrambi. Lui la legò a sé rinnegando l’energia che in verità lo congiungeva a lei. Lei gli si legò grazie a un’immagine di lui molto al di sopra della realtà – e che Jack, anzi, né capiva né desiderava, e lui le si legò grazie a un’immagine che Ruth, in seguito, avrebbe scoperto essere molto al di sotto di sé. L’ambizione di Ruth sarebbe sempre rimasta per Jack estranea e straniante, esattamente quanto per lei l’ardore e la forza del desiderio del suo compagno. Gli risulta crudele adesso, col senno di poi, rivederli gettare le basi della loro sofferenza futura. Lui era stato uno sciocco – uno sciocco e un ingenuo – a innamorarsi al punto di contemplare la grazia e lo slancio della propria gioventù riflessi negli occhi grigi di una donna, non per amore o desiderio autentico, ma per ciò che oggi sa essere stata paura – paura di ciò che lei istintivamente sapeva essere il suo opposto, addirittura il suo nemico. Lei l’aveva accettato come senza dubbio l’avrebbe persuasa ad accettarlo san Paolo – come una sfida alla speranza e alla volontà. Si trattava di due persone straordinarie, non c’erano dubbi. Se non fosse stato così, se non fossero stati tanto diversi, la loro lotta – perché questo era stato – forse sarebbe terminata prima del matrimonio. Invece fu costretta a proseguire, ad accettare i termini della sconfitta definitiva di entrambi. Ormai Jack era vicino all’estinzione dei debiti, ed era convinto di poterle chiedere la mano. Aveva anche un po’ di denaro da parte. Lo spese interamente, e se ne fece prestare un altro po’, per ridipingere la vecchia casa e rendere la proprietà presentabile e vivace in vista delle nozze. Con l’aiuto di zia Ren e zio Henry, ripulì la casa da cima a fondo, aprì e arieggiò le stanze abbandonate lasciandovi penetrare luce e vento. Spacchettarono, pulirono e rimisero al loro posto sul buffet e nella credenza della sala da pranzo gli argenti e le porcellane che erano stati di sua nonna. Fu un momento di grande spasso per tutti e tre: per Jack, che recitò nel modo più teatrale possibile la parte del promesso sposo inquieto e ignaro delle raffinatezze dei gusti femminili, deridendo quelli che molto spesso erano i suoi reali dilemmi, e per zia Ren e zio Henry nella parte di coloro che sapevano, ma, per ragioni che Jack avrebbe capito soltanto in un secondo momento, avevano deciso di rimanere in silenzio. Mentre spacchettavano le porcellane nella stanza sul retro del primo piano, si ritrovarono per le mani il decoratissimo vaso da notte di suo nonno. «Ecco un magnifico piatto da portata, zia Ren, – diceva Jack. – Me lo immagino pieno di zuppa». «Poveretta, – diceva zia Ren. – Povera testolina bionda». E zio Henry rideva, finché le lacrime agli occhi gli colavano dal naso. «E poi, zio Henry, viene il momento di andare a dormire, sali con lei in camera da letto, ti spogli e t’infili sotto le coperte, questo lo so. E dopo cosa fai?». Jack continuava su quel tenore per farli ridere, ma soprattutto perché era felice e non riusciva a trattenersi. Si preparava a dare a Ruth sé stesso e tutto ciò che aveva soltanto in cambio di lei. Sentiva spalancare dentro di sé gli abissi di una generosità che non aveva mai conosciuto. Durante i preparativi, passeggiava di notte per la casa contemplando quanto avevano predisposto, immaginando l’arrivo di Ruth e la sua approvazione. Una volta sposati, pensava, una volta che l’avesse condotta là e avesse consegnato nelle sue mani la propria casa e la propria vita, la reticenza della donna sarebbe scomparsa. Non avrebbe più dovuto andare sempre verso di lei, attrarla sempre verso di sé imponendole le sue attenzioni, ma lei si sarebbe volta spontaneamente verso di lui, grata di ciò che lui le aveva dato. Si sbagliava in pieno e non se n’era accorto. Le forze che li avevano attratti e con le quali avevano giocato, che li avevano fatti avvicinare, si erano prese gioco di loro, e loro non se n’erano accorti. L’idea lo fa gemere ad alta voce e scrollare la testa. La scuote, si volta, e mentre la visione torna in lui, fissa la strada che sale attraverso il paese come se attendesse soccorso da quella direzione. Ma non riesce a ricacciare indietro il pensiero. È stato ingannato non da Ruth ma dal suo desiderio di lei, talmente intenso da fargli credere a ciò che vedeva e immaginare possibilità inesistenti. E Ruth – un’antica tenerezza sgorga in lui come un torrente in piena ingombro di rottami e detriti – anche Ruth è stata ingannata, da lui, dalla sua stupida decisione di conquistarla acconsentendo alle sue idee sbagliate. Ciò che la donna sperava, forse, non lo sapeva nemmeno lei. Però non c’erano dubbi che non avesse ottenuto quanto aveva sperato. Niente nella sua esperienza l’aveva preparata ad apprezzare – e ancor meno a dar valore – a un uomo come Jack Beechum. Anni prima suo padre aveva aperto un negozio di ferramenta in città, affidando i lavori della propria fattoria a una sequela di fittavoli e braccianti. Gli affari non andavano bene – e sarebbe continuato così fino alla morte e al subentro dei due figli maschi – e in quelle circostanze nemmeno la fattoria. Prima che Ruth nascesse, a ogni modo, l’ambizione di famiglia era già passata dalla terra natia all’attività commerciale nella cittadina di Hargrave, complice il mito della prosperità imminente che aleggiava sulla confluenza dei due fiumi. Ma la prosperità che la cittadina attendeva, in realtà, non derivava affatto dal traffico fluviale sui fiumi Kentucky e Ohio: che se ne rendesse conto o meno, dipendeva già dalla ferrovia – la quale, quando giunse, scansò Hargrave di parecchie miglia. L’attività dei Lightwood, in ogni caso, sembrava promettere loro una comodità e una ricchezza che era impossibile aspettarsi dall’agricoltura, e una volta diretta l’attenzione verso la città non si voltarono indietro. Visto che abitavano poco fuori Hargrave, divennero a tutti gli effetti gente di città. L’abbondanza rurale rappresentata da cucina, orto, frutteto e affumicatoio serviva semplicemente a intrattenere gli ospiti cittadini: commercianti e professionisti, giovani e brillanti ministri di varie chiese. E dunque, quando divenne marito di Ruth, Jack non occupò un vuoto: usurpò il posto di qualche giovane pastore, avvocato o dottore ben istruito, il cui nome e volto madre e figlia forse non conoscevano ancora, ma la cui collocazione era tuttavia già stabilita. Quella figura ipotetica e nebulosa aveva fornito a Ruth il modello da esibire a Jack. Lui non era certo uomo su cui fosse possibile nutrire sogni grandiosi: aveva i piedi troppo piantati in terra. Così le illusioni e le false speranze del corteggiamento non sopravvissero all’intimità del matrimonio, e nel fallimento del corteggiamento fallì anche la loro unione. Dai piaceri ignari della giovinezza, la prima notte di nozze la scaraventò nel martirio della santità sessuale. Quello fu quanto. E quanto sarebbe stato – anche se a lui ci sarebbero voluti anni a darsi per vinto. Il giorno del matrimonio, da parte di Ruth non c’era stato alcun arrivo gioioso, alcuna riconoscente accettazione del luogo e di lui stesso e dei suoi preparativi per l’ingresso della sposa. Una volta conclusi matrimonio e festeggiamenti e allontanatisi dalla folla beneaugurante della casa paterna, infine liberi dai vincoli delle convenzioni e delle cerimonie, era rimasto soltanto un vuoto terribile, in cui entrambi capirono, prima che il calesse percorresse le due miglia di strada sterrata che conducevano al luogo remoto in cui lei aveva accettato di vivere, di essere completamente estranei l’uno all’altra, di non conoscersi affatto. «Spero che la casa ti piaccia», disse lui improvvisamente a disagio, vedendo l’edificio da lontano, come pensava lo vedesse lei per la prima volta. «Oh, sono certa che mi piacerà, – disse lei. – Mi piacerà perché è tua». Ma lei non guardava Jack. Era distante da lui. E lui se ne accorse, e si rese conto che ciò che aveva fatto cominciava a vacillare dentro di sé. «Ma è tua, – replicò. – Non deve piacerti soltanto per educazione». Lei non disse nulla, e lui guidò per un altro mezzo miglio prima di riuscire a parlare di nuovo. «Aspetta e vedrai. Con zia Ren e zio Henry, l’abbiamo rimessa a posto da cima a fondo». Quando raggiunsero l’edificio lui l’aiutò a scendere, si caricò del suo bagaglio e le fece strada in casa. Il sole era basso sull’orizzonte: la vecchia casa, silenziosa come se non fossero là, era piena d’ombre senza forma e dell’odore di vuoto delle stanze a lungo disabitate. Avvertì l’improvviso sconforto della moglie. Posò i bagagli nell’ingresso e aprì la porta di una stanza ai piedi delle scale. «Questo è il soggiorno. Devo andare a occuparmi del cavallo. Torno subito. Tu intanto mettiti comoda». Pochi minuti più tardi, quando tornò dalla stalla e si affacciò alla porta della cucina, Jack trovò Ruth seduta su una sedia scostata dal tavolo su cui zia Ren aveva apparecchiato e coperto con un panno la loro cena di matrimonio. Guardava in basso in campo aperto, in direzione del bosco. Era una sera tranquilla e tiepida di tarda primavera. Jack ne avvertì l’incanto ed entrò in casa piano, arrestandosi appena oltre la soglia. Per un attimo lei rimase immobile. Poi si alzò, si volse e camminò verso di lui senza guardarlo, come seguendo qualche vaga istruzione. «Hai dato un’occhiata in giro? Va tutto bene?». Lei annuì. «Tutto bene». Ma evitava di guardarlo. E continuò a farlo anche quando lui allungò il braccio per attrarla a sé e abbracciarla. Un anno e mezzo dopo, quando Jack vendette il raccolto, tornò a casa e mise il documento di estinzione del prestito nelle sue mani, si ripeté la stessa scena. Sperava che lei gioisse, che si voltasse ad abbracciarlo felice. Sapeva che la donna era consapevole del suo desiderio. Ma lei non ne fu capace. Conscia delle sue mire, non ebbe il coraggio di guardarlo in faccia. A quel punto Jack capì che la moglie provava una sorta di paura morale nei suoi confronti. Aveva imparato a riconoscere quella paura e a percepirla. Capì che il tocco delle sue mani era diventato ripugnante per lei, e capì perché. Le mani di Jack non erano schizzinose, e lei ne aveva conosciuto i modi, la disponibilità a compiere qualsiasi gesto: ad afferrare qualunque presa fosse loro offerta, a castrare e macellare animali, a imporre l’obbedienza a muli e cavalli, a ricoprirsi di qualsiasi porcheria, sporcizia o sangue fosse necessario. Erano mani che non esitavano e non cercavano di blandire. Che facevano con convinzione, e addirittura con entusiasmo, ciò che prima lei aveva visto fare soltanto di malavoglia da mani nere. Jack aveva scelto liberamente di compiere azioni che lei credeva un uomo potesse fare soltanto per obbligo. Che adesso lui la toccasse, posasse le mani su di lei in modo altrettanto aperto e convinto, con lo stesso entusiasmo che manifestava nel posarle su qualunque altra cosa gli garbasse toccare, lei non poteva sopportarlo. Sotto la sua mano, la carne di lei si contraeva. L’avvertiva ritrarsi al suo tocco. Lui la opprimeva. Il suo corpo curvo su di lei nell’oscurità era come una foresta di notte, affollata di vasti spazi e ombre, e grida di creature distanti di cui non conosceva il nome. Rappresentava per lei un mondo del tutto estraneo e isolato. E si sentiva doppiamente sola perché lui non aveva paura di nulla: apparteneva a tal punto al posto in cui l’aveva condotta, che neppure l’isolamento del luogo significava solitudine per lui. Jack era un uomo tutto d’un pezzo, sostenuto da una tradizione cui lei aveva rinunciato, o cui qualcun altro aveva rinunciato per lei prima della nascita – la tradizione di autosufficienza del piccolo proprietario terriero, di fedeltà al proprio luogo d’origine. Il fatto che si trovasse a suo agio in quelle condizioni di vita, e di conseguenza di fronte alle proprie necessità si comportasse in modo del tutto diretto, senza finzioni o eufemismi, lo rendeva alieno agli occhi di Ruth. Lui non faceva caso agli abiti da lavoro che puzzavano di letame, sudore di cavallo e del suo stesso sudore. Lei scoprì con sgomento che d’estate Jack andava in giro senza calze, e in inverno dormiva con la camicia addosso. Glielo fece notare cercando di modificare le sue abitudini, e lui, finché ci riuscì, fece ciò che gli era stato richiesto. Studiò i desideri della moglie e cercò di esaudirli meglio che poteva. Ma era plasmato troppo in profondità per poter cambiare, a meno di obbedire a una deferenza che non nasceva dal desiderio per lei, ma dalla propria delusione. Deferenza che per giunta diventava sempre più superficiale e svogliata, perché, incapace di mascherare la sua disaffezione e disapprovazione per i modi rozzi del marito, lei cercava semplicemente di costringerlo a smettere di essere ciò che era, spingendolo così ad assumere un atteggiamento provocatorio. Ruth invece possedeva la spietata integrità ideologica nata dall’ambizione, la calma severamente ordinata della propria famiglia e delle proprie abitudini. E Jack le minacciava entrambe con la sua sregolatezza, la sua passione per l’oscurità, che lei non provava né capiva, e dunque temeva. Non poteva seguirlo nelle tenebre. Non poteva lasciarsi andare a ciò che non conosceva, a ciò che non vedeva e non prevedeva. Non perché lui le usasse violenza, ma perché le chiedeva di fare violenza a sé stessa: quando la mano rude s’infilava nel corpetto o s’insinuava all’interno della coscia, mentre l’occhio vigile, prima con allegria e poi con trepidazione, scrutava la reazione della donna alla sua mano – tutto le chiedeva di lasciarsi domare, di desiderare ciò che non poteva offrire, di aprirsi a un compimento di cui sarebbe stata in seguito sempre e soltanto un frammento. E così, pur se la mano di Jack procedeva nel suo cammino, esplorava i crepacci e i luoghi più remoti della sua carne ed entrava in lei con la soggezione di un pellegrino, pur se lui penetrava in lei come il conquistatore di una città e la burrasca del desiderio infine lo gettava a riva su di lei, docile e senza forze come un bambino addormentato, lei continuò a trattenere una ricompensa, un dono vitale per sé. Gli negò gli occhi. Come già prima del matrimonio, rimase per lui un continente sconosciuto. Non gli offrì alcun approdo, alcuna via tracciata. Ogni volta che lui si faceva largo verso di lei, avveniva come per caso, come l’ultimo arrivato che brancola nel buio. Le si avvicinava ogni volta con maggiore trepidazione, e sempre maggior fatica. Tra le sue braccia, sorpresa e trattenuta nelle ultime, violente folate del suo desiderio, Ruth si sentiva tradita e vittima: le sembrava che il tetto e le pareti della vecchia casa crollassero, lasciandola esposta alle stelle e all’oscurità distante. Le sembrava di non essere affatto là, ma sola, persa, esule nel mezzo di una landa buia, dove aveva persino terrore di alzare le mani per toccare gli alberi. E restava paralizzata, col timore che qualche creatura o cosa la potesse udire, ad ascoltare il vento e le grida lontane. Lui era la sua croce, e lei lo sopportava con una sottomissione che più tardi gli ha fatto gelare le ossa. Stesi in solitudine uno a fianco all’altra, i due giacevano rigidi e con gli occhi sbarrati come effigi. Fu così che Jack, quando gli consegnarono nel lenzuolo inzuppato di lacrime della madre il corpicino dell’unico figlio maschio, morto, vi scorse il proseguimento di un’infelicità pregressa e familiare.

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francesca matteoni
francesca matteonihttp://orso-polare.blogspot.com
Curo laboratori di poesia e fiabe per varie fasce d’età, insegno storia delle religioni e della magia presso alcune università americane di Firenze, conduco laboratori intuitivi sui tarocchi. Ho pubblicato questi libri di poesia: Artico (Crocetti 2005), Higgiugiuk la lappone nel X Quaderno Italiano di Poesia (Marcos y Marcos 2010), Tam Lin e altre poesie (Transeuropa 2010), Appunti dal parco (Vydia, 2012); Nel sonno. Una caduta, un processo, un viaggio per mare (Zona, 2014); Acquabuia (Aragno 2014). Dal sito Fiabe sono nati questi due progetti da me curati: Di là dal bosco (Le voci della luna, 2012) e ‘Sorgenti che sanno’. Acque, specchi, incantesimi (La Biblioteca dei Libri Perduti, 2016), libri ispirati al fiabesco con contributi di vari autori. Sono presente nell’antologia di poesia-terapia: Scacciapensieri (Millegru, 2015) e in Ninniamo ((Millegru 2017). Ho all’attivo pubblicazioni accademiche tra cui il libro Il famiglio della strega. Sangue e stregoneria nell’Inghilterra moderna (Aras 2014). Tutti gli altri (Tunué 2014) è il mio primo romanzo. Insieme ad Azzurra D’Agostino ho curato l’antologia Un ponte gettato sul mare. Un’esperienza di poesia nei centri psichiatrici, nata da un lavoro svolto nell’oristanese fra il dicembre 2015 e il settembre 2016. Abito in un borgo delle colline pistoiesi.