Medusa
di Luca Bernardi
Saltellando sugli scogli conto quattordici granchi nel secchiello arancio. Gliene avrò già visti spiaccicare altrettanti nell’ultima settimana. Il moccioso afferra un neonato minuscolo, tenendolo con due dita al centro, dove le chele non possono arrivare. L’uovo copre il sole. Gli agguanto la testa castana, ora ti faccio vedere io…
Il ciccione me lo tira via, poi mi molla un altro calcio nel costato. La moglie urla, il marmocchio le frigna addosso. Ondeggio con il respiro spiaccicato.
Dove pensi di andare?, grida il padre.
A chiamare la polizia, bluffo.
Abbiamo le vene pulsanti. Inspirare ed espirare, diceva l’Omeopata, visualizzare i grumi d’aria come fossero caramelle.
La chiamiamo noi la polizia, dice la madre, se non ti fermava cosa facevi, lo ammazzavi?
La possibilità si posa battendo i denti. Divarico le gambe. Il ciccione tampona il sudore e rimira la chiazza di peli lucidi sul polso. Avanzo per saggiare reazioni. La madre raccoglie il retino del pargolo sputando parolacce. Faccio un altro passo. Sono a meno di tre metri dal padre, ho il cuore nella trachea. Centottanta pulsazioni al minuto. Rovescio il secchiello in un pertugio e proseguo senza voltarmi.
Oh Guevara dei crostacei! Ma racconti piuttosto di quando ha preso la testa dell’altro biondino e l’ha tuffata nel…
Avvertenza al primo fascicolo del Dizionario Semiologico Abissale
Pare vada ganzo sgamare ufo nei Veda, marziani nelle pitture neolitiche, sberleffi extraterrestri nel rapporto fra i cateti di ogni sasso di Stonehenge. Tipo che gli australopitechi lo sapevano, comunque, qualunque sia il quizzone in cui noi trogloditi ci di-battiamo a colpi di microonde, loro scimmioni lo sapevano, fin da prima che al primissimo King Kong venisse la fregola di alza-re il grugno verso le orbite del caos, non solo cos’è lo spin negativo o perché risulta infalsificabile l’ipotesi di Pasadena ma addirittura nomi e cognomi di chi prima dell’invenzione dei giorni ha trifolato la terra di coriandoli al carbonio, e paffete, la primavera!
Oggi qualunque mentecatto può ammorbare l’homepage con inciuci fra la supersimmetria e il mignolo di suo cugino, il motore a curvatura gravitazionale e la tinta sbiadita del rosario al polso di una gattara in un pomeriggio bolzanino dell’inverno ’95-’96, rendendo sempre meno improbabile l’eventualità di scovare, in pole position sopra un album di residui placentari, elucubrazioni sulla permutabilità di concetti quali anima ed energia, radiazione e angelo, Dio e qualsiasi-roba-va-bene-basta-che-sia-vaga.
Poiché nel presente studio non ci si prefigge di sputar sentenze bensì di apportare metasignificazioni, proveremo a fornire di tale fenomeno un’interpretazione il più possibile pretestuosa. Per esempio che talvolta tocca concordare con i massimi dottori dell’evo moderno, secondo cui chicchessia invece di procacciar serata incisti sul divano e devii in epistemologemi tipo boah il big bang è shiva e shiva è l’uovo no?, segnala la cosiddetta vacanza dei valori, che del resto è sempre un po’ sottendere che il mondo sia squagliato insieme agli idoli, e ciò come è noto alla teoresi giova, e anche questa cosa della figa, che i giovani svezzati in temperie decadenti non desiderino più saltare sulle mine bensì timbrare imeni non costituisce forse un campanello d’allarme per società in cui con i valori non compri neppure la roba maltagliata, quella che poi la gente poco adattabile ci finisce secca al tiggì regionale?
Oppure hanno ragione loro, i tabaccai della trascendenza in centoquaranta caratteri, le Upanishad sono un precoce trattato di fisica subatomica licenziato da un geniere di Alpha Centauri, basta leggere il Corano al contrario seicentosessantasei volte e sbuca un et olografico a recitare la composizione della pietra filosofale, e se solo ci si prendesse la briga di abradere ogni settima parola su tredici l’Apocalisse diventerebbe un apologo sulla diversità interspaziale, e in alcuni Mandala tibetani a scrutar con cognizione si palesano leggi dei gas tutt’ora ignote oltre alle canoniche di Gay-Lussac, e nelle bende di Tutankhamon, se guardi bene, sono incisi in Garamond l’anno e il mese e l’ora della marcia su Nettuno… Insomma l’universo, quel gran burlone, sarebbe un network al cui interno l’umanità, da troppo intenta a covare estinzioni universali (1) e perciò bannata dagli altri utenti, veleggerebbe ai margini, consentendoci di concludere, sic et simpliciter, che effare assurge a più temeraria sfida di qualsiasi coincidenza fra flauto di Krishna e moto perpetuo delle ghiandole di Rihanna in ambiente privo di gravità.
(1) Termine indigeno per indicare i contorni della cuccia.
La Twingo tossisce nella pioggia appenninica.
Insomma, a loro interessano le emozioni, dico agli altri, che chiamano amore non ho capito se per convinzione o fraintendimento. Già dopo una dozzina di incontri hanno smesso di parlare di fini scientifici. Devono essersi informati sul mio spaziotempo e aver optato per una retorica imprenditoriale.
O magari è la verità. Potrebbe esserci tutta un’economia bislacca che tira avanti grazie a personaggi come me, Elia, Trismegisto o l’anonimo schizzato che per quarant’anni impila lemmi fantasma su un muro di manicomio. Ogni tanto, mentre li aspetto, immagino la trafila snodarsi fra gli universi, navicelle piene di emozioni all’ingrosso camuffate da riserve di idrogeno che allo spuntare della madama aliena si fiondano dentro un quasar, l’occhio accecante di amori umani clandestini della navemadriluna circondata da file di shuttle monoposto i cui occupanti scorporati fremono nella solitudine dell’astinenza interstellare.
Non ho capito una roba, dice Loriz, ma ’sti alieni… Esistono?
Il Prozzio russa. Il Ginger si specchia beffardo.
Sicuro, se te lo dice lui…
tratto da: Luca Bernardi, Medusa (Tunué, 2016)