Overbooking: Lorenzo Mazzoni

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di

Azra Nuhefendić

Nel 1993, sotto assedio, Sarajevo era considerata uno dei posti più pericolosi nel mondo. Eppure ho conosciuto molte persone che si ostinavano a voler tornare nella città. La signora Vinka, scappata da Sarajevo all’inizio della guerra, voleva ritornarci a ogni costo, con il figlioletto, perché le pareva che avrebbe potuto vivere meglio là che, da profuga, dai cugini in Vojvodina. Un certo americano di nome Terry, giocatore professionista di poker, non vedeva l’ora di rimettere piede a Sarajevo perché, mi diceva, durante l’assedio aveva giocato le partite migliori della sua vita. La scrittrice americana Susan Sontag tornava ripetutamente a Sarajevo, trovandovi all’epoca più vitalità che a New York.

Di questa gente e di molti episodi mi sono ricordata leggendo il libro “Il muggito di Sarajevo”. I personaggi di Mazzoni sono creati dalla sua eccelsa immaginazione, le azioni sono talvolta illogiche, le circostanze e le storie sembrano improbabili, i destini e i personaggi troppo esagerati per essere veri. Ma come accade nella vita (e nella morte) la realtà spesso supera ogni immaginazione.

“Il muggito di Sarajevo” è un intreccio di varie storie che sembrano, di primo acchito, scollegate tra di loro, dove Mazzoni introduce e segue i personaggi che, apparentemente, non hanno nessuna probabilità di incontrarsi.

L’autore porta o trova nella Sarajevo assediata una sfilza di personaggi, talvolta grotteschi, che sono sì il prodotto della sua fantasia, ma che per vicissitudini, stranezze, scherzi del destino, si avvicinano molto a certe persone che ho conosciuto nella realtà di allora.

La protagonista è una giovane ragazza, Amira, aspirante cantautrice, che scappa dalla città di Zenica e dalla prospettiva di finire, come musulmana, sotto lo chador. L’ispirazione per la sua musica e per le canzoni la trova girando tra “gli abitanti di Sarajevo che lottano contro… e la sopraffazione dei potenti che ci vedono solo come le povere vittime sacrificabili.”

Jack, meglio conosciuto come Mozambik, di origine bosniaca–irlandese, si divide tra il lavoro di spacciatore, fixer (quello che fa tutto per i giornalisti) e quello di contrabbandiere. Il contrabbando lo fa per aiutare la gente disperata a comprare i prodotti mancanti a un prezzo più basso rispetto a quello che pretendono i “veri” contrabbandieri. Ma non si spaccia né per buono né per patriota, e precisa senza scrupoli: “Mi piacciono le città assediate. Mi piacciono il disfacimento e l’agonia.”

C’è il veterano Ivan per il quale la guerra è il momento giusto per guadagnare e che non fa sconti a nessuno, a prescindere dalla religione, nazionalità o status sociale. E poi i giornalisti, indispensabili, che fanno parte di ogni guerra. Alcuni si trovano lì per guadagnare soldi o un po’ di notorietà (ne ho incontrati molti di più di quanto ci si possa aspettare), altri per scelta o per sbaglio, oppure involontariamente. Nel libro sono rappresentati dai due italiani Oscar e Carlo.

I motivi per stare a Sarajevo durante la guerra sono diversi, ma il discorso di uno dei giornalisti del libro è verissimo: “Spesso mi sento un avvoltoio, rischio la vita per fare il mio lavoro, ma quelli che vado a intervistare muoiono frequentemente… Questa continua moltitudine di immagini e di notizie che vengono mandate in onda in tutto il mondo servono solo per abituare le persone all’orrore altrui.”

I personaggi insoliti, una miscela di umorismo e violenza, la cronologia frammentata e la brutalità affrontata dai protagonisti con naturalezza, il grottesco che si sussegue con l’orrore, fanno pensare al film “Pulp Fiction” di Quentin Tarantino. Ma sotto-sotto tutto si basa su una profonda e dettagliata conoscenza dei fatti, della storia, della recente guerra, della mentalità e dell’umorismo tipico dei bosniaci. E, con il talento di un bravo scrittore di gialli, Mazzoni riesce a tenere viva l’attenzione del lettore fino alla fine, e solo nelle ultime pagine ci svela il nesso che unisce i personaggi e le varie storie. Proprio un bel libro da leggere!

 

Lorenzo Mazzoni, “Il muggito di Sarajevo”,

Caserta, Edizioni Spartaco, 2016, pp. 251

 

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francesco forlani
francesco forlani
Vive a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman e Il reportage, ha pubblicato diversi libri, in francese e in italiano. Traduttore dal francese, ma anche poeta, cabarettista e performer, è stato autore e interprete di spettacoli teatrali come Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, con cui sono uscite le due antologie Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Corrispondente e reporter, ora è direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Con Andrea Inglese, Giuseppe Schillaci e Giacomo Sartori, ha fondato Le Cartel, il cui manifesto è stato pubblicato su La Revue Littéraire (Léo Scheer, novembre 2016). Conduttore radiofonico insieme a Marco Fedele del programma Cocina Clandestina, su radio GRP, come autore si definisce prepostumo. Opere pubblicate Métromorphoses, Ed. Nicolas Philippe, Parigi 2002 (diritti disponibili per l’Italia) Autoreverse, L’Ancora del Mediterraneo, Napoli 2008 (due edizioni) Blu di Prussia, Edizioni La Camera Verde, Roma Chiunque cerca chiunque, pubblicato in proprio, 2011 Il peso del Ciao, L’Arcolaio, Forlì 2012 Parigi, senza passare dal via, Laterza, Roma-Bari 2013 (due edizioni) Note per un libretto delle assenze, Edizioni Quintadicopertina La classe, Edizioni Quintadicopertina Rosso maniero, Edizioni Quintadicopertina, 2014 Il manifesto del comunista dandy, Edizioni Miraggi, Torino 2015 (riedizione) Peli, nella collana diretta dal filosofo Lucio Saviani per Fefé Editore, Roma 2017