Vita di Alice
di Francesca Fiorletta
Alice aveva quattro anni, e non sapeva ancora parlare.
I genitori erano molto preoccupati, perciò la portavano dal pediatra prima una volta al mese, poi una volta a settimana, e poi addirittura tutti i giorni.
La mamma andava a riprenderla da scuola alle quindici e trenta, puntuali, ogni pomeriggio; parcheggiava l’auto in doppia fila all’imbocco del vialetto, bussava con due nocche alla porta a vetri, e s’accertava con la maestra degli eventuali miglioramenti della figlia. Alice mangiava tutto, giocava con gli altri bambini, era attenta e ordinata, disegnava farfalle e le colorava d’azzurro, senza uscire dai bordi. Ma non parlava mai.
La mamma le dava allora un bacio sulla fronte, la caricava in macchina, e la accompagnava dal pediatra, ancora con lo zainetto calcato sulle spalle.
Alice era una bambina molto serena e affabile, si lasciava manovrare in quel teatrino quotidiano come una marionetta ubbidiente e disinteressata, e nella sala d’aspetto del dottore continuava a giocare col suo giocattolo preferito, un peluche a forma di balena di nome Dolly.
Il medico era un uomo sulla cinquantina, onesto e competente, che mostrava un vivo interesse per la situazione di Alice, ma tendeva a non allarmare troppo i genitori, anzi li rassicurava con compostezza e una certa dose di severità; a volte sottoponeva loro degli articoli scientifici di logopedia infantile, che aveva scaricato gratuitamente dal sito dell’Università della California o di Ginevra.
Di quando in quando, era il papà che andava a riprenderla dall’asilo; anche lui chiedeva sempre alle maestre se avessero notato qualche miglioramento, e poi l’accompagnava diligente dal pediatra, prima di rincasare. Alice giocava con Dolly, o continuava a colorare le farfalle.
Un giorno la mamma ricevette una telefonata dalle maestre dell’asilo: Alice aveva parlato. Erano le quattordici e dieci, circa, e fuori pioveva un poco.
*
Alice s’era innamorata del corriere espresso.
Ordinava centinaia di articoli su internet, dai libri alla piastra per capelli, dalle borse ai prodotti per lavare i pavimenti. Un giorno aveva ordinato anche un piccolo televisore e un pappagallo indiano, ma le era subito arrivata una notifica dalla sua banca, perché quell’importo superava la soglia massima di spesa consentita.
Quando arrivava mezzogiorno, iniziava a prepararsi: si pettinava per bene i capelli, indossava abiti casual ma con un tocco di femminilità, si dava un filo di trucco sulle guance e attorno agli occhi, e spruzzava un alone di profumo alle rose lungo il corridoio.
Il suono del citofono le procurava sempre un breve tuffo al cuore, e allora raggiungeva tutta emozionata l’ingresso, e restava con la porta socchiusa ad aspettare il suo corriere espresso.
Poteva indovinare i passi di lui lungo le scale, e persino riconoscere il suo tocco, quando per caso sceglieva di prendere l’ascensore. Il palazzo di Alice aveva molti appartamenti, e il via vai condominiale era continuo.
Non si scambiavano che pochi cenni, lei apponeva la firma di rito che certificasse l’avvenuta consegna, lui la salutava svelto, col berretto calato sulle tempie, e poi spariva nuovamente, veloce come il vento, dentro la tromba delle scale.
Alice allora tornava nella sua stanza, e prima ancora di spacchettare l’oggetto ricevuto, avviava già la successiva procedura d’acquisto. Era sempre stata una persona meticolosa, fin da quand’era bambina.
Un giorno suonò il citofono, ma lei riconobbe subito che qualcosa era cambiato. I passi sulle scale erano più lenti, il ragazzo delle consegne era diventato una donna riccia, corpulenta e senza berretto.
Fu quello il giorno in cui Alice chiuse il suo conto in banca.
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Delizioso.
:-) grazie!
L’amore sa esprimersi anche nei gesti più insignificanti.
oh, sì!
come mettere fine a una dipendenza
con l’aiuto del precariato (che cambia il lavoro alle persone) o del destino…
:-)) e l’amore si sa è tenero e imprevedibile
eh eh! dipendenza crea (e distrugge) dipendenza