Alla ricerca di una possibile concretezza # 1
[L’intero testo è apparso come postfazione a Lavoro da fare, uscito nel 2006 in e-book e in formato cartaceo nel 2017 presso la Dot.com Press di Milano. E’ d’uso, in NI, non postare recensioni che si riferiscono a libri pubblicati dagli indiani. Questo è infatti un saggio che, più che giudicare un libro, ambisce a riflettere su di una fase importante del percorso poetico di Biagio Cepollaro.]
di Andrea Inglese
1.
Nell’itinerario poetico di Biagio Cepollaro Lavoro da fare si colloca tra un libro del 2004, Versi nuovi (1998-2001) edito da Oédipus, e Le qualità uscito nel 2012, presso La camera verde. Lavoro da fare, prima di essere oggi pubblicato in edizione cartacea appare nel 2006 in formato e-book, autoprodotto dall’autore, con una postfazione di Florinda Fusco. In quello stesso anno, Cepollaro fa uscire un altro e-book, intitolato Letture di “Lavoro da fare”, in cui raccoglie diversi interventi critici. Gli autori di questi interventi, però, da Giuliano Mesa a Giorgio Mascitelli, da Jacopo Galimberti a Francesco Marotta, da Massimo Orgiazzi al sottoscritto, non sono dei critici, ma poeti o romanzieri loro stessi, giovani e non, noti e meno noti. Da un certo punto di vista, quindi, Lavoro da fare corrisponde per Cepollaro a un momento di estraneità nei confronti dell’ambiente poetico italiano, quell’ambiente, almeno, che possiede ancora un versante istituzionale, una sua ufficialità, e che fa capo a riviste, a critici universitari o militanti, a convegni e festival. Dopo esser stato per più di un decennio una figura attiva e importante della nuova generazione di scrittori, nonché condirettore di una delle ultime riviste militanti del XX secolo in Italia, Baldus, sembra essersi ritagliato un confidenziale spazio di manovra attraverso un blog letterario che dirige da solo. Si tratta di una scelta consapevole, nata da una crisi intellettuale ed esistenziale, che è venuta a coincidere grosso modo con la pubblicazione di Fabrica (1993-1997) nel 2002, terzo ed ultimo volume della trilogia De requie et Natura. Quest’ultima, che include anche Scribeide (1985-1989) e Luna persciente (1989-1992), entrambi usciti nel 1993, corrisponde al periodo di più intensa attività teorica e militante di Cepollaro in seno ai dibattiti animati dal gruppo ’93 e dalla rivista Baldus. Interlocutori di tali dibattiti erano, tra gli altri, autorevoli figure di critici quali Cesare Segre, Romano Luperini, Guido Guglielmi, Franco Fortini, Niva Lorenzini, Remo Cesarani, per citarne alcuni.
All’epoca di Fabrica si è già conclusa l’avventura del gruppo ’93 e anche quella di Baldus, il cui ultimo numero esce nel 1996. Cepollaro ha vissuto la fine di questa stagione non semplicemente come la chiusura di un capitolo particolarmente vivace e combattivo del suo percorso letterario, ma come l’abbandono di una certa postura intellettuale che aveva governato la sua attività di scrittore e, più globalmente, il suo rapporto con il mondo e con le persone. L’intransigenza e il furore polemico che lo avevano contraddistinto in seno all’ambiente letterario sono ora puntate contro se stesso e contro tutte le illusioni insite nel proprio ruolo di poeta. Nel 2002, Cepollaro ha quarantatré anni e ha avuto importanti riconoscimenti come autore. È stato inserito in antologie, tradotto, commentato da critici importanti. Ha partecipato a festival in Italia e in giro per il mondo. Tutto questo, però, gli appare ormai come un aspetto non solo inessenziale, ma addirittura fuorviante, rispetto alle esigenze più importanti del proprio lavoro. Cepollaro è alla ricerca di un’ulteriore vicinanza tra vita e scrittura. La sua formazione poetica, che si è realizzata attraverso un dialogo critico con le correnti moderniste e avanguardiste del Novecento, si era caratterizzata sin dall’inizio come tesa a rompere il cerchio della letterarietà e dell’autosufficienza della parola poetica rispetto al plurilinguismo della lingua vivente, in cui si riflettono i conflitti sociali e ideologici dell’epoca contemporanea. Tuttavia la consapevolezza teorica del poeta post-avanguardista non è in grado di renderlo immune da trappole di altro tipo, in particolare quelle legate alla costruzione narcisistica e alla cura quotidiana della propria figura di poeta. Da buon estremista quale è, per assicurarsi che quelle trappole siano davvero neutralizzate, Cepollaro decide in quegli anni di fare a pezzi ciò che rimane di prestigioso nel proprio ruolo di autore. Il bersaglio privilegiato diventano le istituzioni letterarie che, pur nella loro residuale esistenza all’interno dell’universo culturale italiano, testimoniano del progressivo svuotarsi di ogni funzione critica. Dietro a controversie di natura estetica e poetica sembrano ormai svolgersi soprattutto rituali di potere e carriera. Cepollaro di conseguenza decide di delegittimare le cerchie “professionali” del riconoscimento e, nel contempo, di quel valore che esse pretendono di individuare nel lavoro dell’aspirante scrittore. Egli giungerà poi, su questa linea, a sostenere tesi paradossali, quali l’idea di una scrittura senza pubblico, di una scrittura svincolata dalla preoccupazione di trovare ad ogni costo i propri destinatari.
Insomma, se non proprio a una rinuncia siamo di fronte a un ripiegamento. Esso si manifesta nel privilegio accordato al lavoro in rete, che in quegli anni è ancora marginale all’interno dell’ambiente letterario. Siamo agli albori della stagione che vedrà nascere e moltiplicarsi blog e siti di letteratura. Nel 2006, quando Lavoro da fare viene autoprodotto, Nazioneindiana, uno dei maggiori blog in Italia di scrittori, esiste solo da tre anni. Coevo a tale blog collettivo è il suo blog Poesia da fare, mentre il suo sito-archivio La poesia di Biagio Cepollaro, del 2004, è tra i primi in Italia a editare online ristampe di testi ormai introvabili e inediti.
A quell’epoca, per la critica letteraria, la rete è ancora una realtà sospetta: poco conosciuta, troppo orizzontale e democratica, dissipativa e banalizzante. Ci vorranno ancora cinque o sei anni, perché una giovane generazione di critici riconosca che la rete è un crocevia indispensabile, miniera di autentici talenti e non solo carnevale del sottobosco letterario. Cepollaro aveva compreso che proprio in virtù delle tante incertezze legate all’uso del nuovo medium, un’attitudine rigorosa e una visuale ampia avrebbero prodotto effetti benefici e duraturi. Io stesso venni coinvolto in un progetto connesso con il suo sito e intitolato Per una critica futura. Quaderni di critica letteraria. Il primo di questi Quaderni uscii proprio nell’ottobre 2006. Riporto qui le prime righe dell’editoriale da me redatto:
“Biagio Cepollaro da alcuni anni sta sperimentando una singolare forma di pratica poetica che lo vede artefice solitario di un spazio corale dedicato alla poesia, alla riflessione su di essa, alla memoria di opere poetiche del recente passato, all’ascolto delle voci poetiche odierne. Il blog di Cepollaro, Poesia da fare www.cepollaro.splinder.com è un esempio di solitudine dialogante che ha saputo mostrare la forza di un progetto svincolato completamente da quegli esigui, e non sempre felici luoghi d’incontro e visibilità, che i poeti e i critici di poesia usano frequentare. E d’altronde molti di noi ormai hanno una chiara percezione di quanta poesia esista in rete, sia animando direttamente dei blog sia partecipandovi come ospiti. Poiché il cosiddetto sottobosco poetico circola indistintamente per infime casi editrici a pagamento o per collane di Mondadori ed Einaudi, poiché le riviste militanti latitano, poiché le “pagine culturali” sono ovunque moribonde, o già decedute per quanto riguarda la poesia, la vita dei testi poetici in rete è spesso l’unica vita concessa, l’unica pubblica, almeno. Questo a ricordare quanto poco gli addetti ai lavori dovrebbero trascurare questo versante dell’attività poetica, che spesso non ha efficaci o sufficienti repliche in forma cartacea e stampata.”
L’avventura dei Quaderni di critica si è conclusa nel 2010, dopo cinque pubblicazioni, ognuna delle quali molto nutrita. Nell’editoriale di chiusura, in cui tentavo di tracciare un bilancio dell’esperienza, mi parve di constatare il fallimento di uno almeno degli obiettivi più ambiziosi che Cepollaro ed io ci eravamo posti. Mi riferisco alla costruzione di un campo sufficientemente condiviso di temi, strumenti, riflessioni, che permettesse di stratificare i discorsi intorno e sopra la poesia contemporanea. Insomma, il lavoro fatto nel corso di quattro anni ci sembrava, o almeno sembrava soprattutto a me, ininfluente. Nato nel margine, per volontà strategica, nel margine restava inchiodato, per fatalità.
Parlo di quello specifico progetto, perché meglio di altri mostra l’itinerario scelto da Cepollaro, e che io definivo allora di “solitudine dialogante”. Per certi versi, era una forma aggiornata della politica del ciclostile di Roversi. Quello che inizialmente si presentò come un ripiegamento, un ritiro fuori dalla mischia, ha assunto poi negli anni il carattere di uno spostamento strategico. Valutandolo, oggi, questo spostamento mi sembra abbia prodotto indubitabili e potenti frutti. E lo dico, rivedendo il mio stesso giudizio, così come lo espressi nel 2010. Tutto il lavoro dei Quaderni di critica, assieme a molto altro fatto individualmente da Cepollaro dentro e fuori dal blog, ha fruttificato preziosamente in quel drappello vario e disordinato di autori più giovani, che si affacciavano allora sullo stagnante ambiente poetico. Per molti di questi autori, il dialogo con Cepollaro ha costituito un percorso di iniziazione non tanto alla scrittura poetica, ma al rigore che essa implica, alla generosità umana che essa richiede, all’esigenza di verità che la ossessiona.
Per altro, e non casualmente, proprio in quegli anni Cepollaro si riavvicinò ad un vecchio amico, Giuliano Mesa, che si era volutamente tenuto in disparte durante la stagione “ufficiale” del gruppo ’93, pur avendo esordito nelle edizioni Tam Tam di Adriano Spatola e situandosi, quindi, nell’eredità delle avanguardie. Mesa, infatti, ha costituito a suo modo, e nel suo stile, un’altra forma di ripiegamento estremamente fecondo. Egli pure ha svolto una funzione di magistero per molti giovani e meno giovani autori. Solo ora che scrivo mi rendo conto come entrambi abbiano realizzato in quegli anni un lavoro discreto, poco visibile, ma di grande costanza ed efficacia. Un lavoro indispensabile basato sulla lettura e il commento dei testi, sul dialogo schietto ed esigente, mai opportunistico, soprattutto con le generazioni più giovani. Cepollaro e Mesa, infatti, hanno costituito anche una memoria vivente, un ponte con esperienze precedenti, quelle degli anni Sessanta e Settanta innanzitutto, caratterizzate sul piano letterario dallo sperimentalismo e su quello politico dall’impegno di gruppo e dall’esigenza di studiare e comprendere la società capitalista. Se oggi esistono ancora giovani poeti, che hanno saputo nutrire la loro esigenze espressive con la cultura critica e il modernismo del secolo scorso, ciò lo si deve anche a persone come Cepollaro e Mesa.
La poesia, forse più di ogni altro genere letterario, all’inizio del XXI secolo è apparsa spesso come un’attività irreale, di cui pare arduo verificare consistenza, peso, vitalità. Assumendo solo sbiaditamente forma di merce, essa sopravvive con tratti ectoplasmatici nei circuiti editoriali, nelle pagine di cultura, nei festival letterari. Di fronte a tale circostanza, la tentazione di gettarsi in una sorta d’instancabile servizio, di zelante e isterica attività, che deve rassicurare soprattutto sé ancor prima che gli altri sulla natura effettivamente esistente della poesia, è estremamente diffusa. Cepollaro non ha ceduto a questo volontarismo angosciato, ma non ha nemmeno optato per una sorta di atteggiamento distaccato e scettico, che trasforma la scrittura in versi in una sorta di sofisticato ed elitario passatempo. Egli ha dimostrato semplicemente di avere completa fiducia nella sua necessità di scrivere, e ha fatto di questa necessità personale il più sicuro mezzo per riconoscere e accogliere altre e somiglianti necessità. Dopo aver messo in crisi le difese e le protesi teoriche della prima fase, non gli rimaneva che questa sottile, ma precisa evidenza: non poter vivere al di fuori della scrittura. Non perché credesse o creda possibile un’aderenza tra vita e scrittura, ma perché la deficienza della vita, la sua tragica fragilità, la spinge a chiedere continuo soccorso alla scrittura. E Cepollaro, per primo, ha constatato e continua a constatare quanto questo soccorso non possa essere risolutivo, e quindi salvifico. Ciò nonostante la scrittura assiste, è presente, non si dissocia dalla vita, dai suoi disastri, dalle sue desolazioni quotidiane, dai grandi moti passionali che inevitabilmente la scuotono. La scrittura, in Cepollaro, assiste in un duplice significato: di testimonianza impotente e di limitato ma pur sempre reale sollievo.
(Fine prima parte)
Un percorso interessante che tocca vissuti e tematiche familiari a chi pratica il linguaggio poetico anche solo per un “limitato ma pur sempre reale sollievo”. Indispensabile l’aver sottolineato il passaggio in “rete” dell’esperienza poetica, soprattutto alla luce della proficua evoluzione del mezzo sul piano critico e su quello editoriale.
[…] [Pubblico la seconda parte di un testo apparso come postfazione a Lavoro da fare di Biagio Cepollaro, uscito nel 2006 in e-book e in formato cartaceo nel 2017 presso la Dot.com Press di Milano. La prima parte qui.] […]