Gli iceberg di Daniele Rielli (ed un Südtirol che sfugge)

di Roberto Antolini

copertina_ridLa copertina in un bel grigio metallico reca la fotografia di un iceberg che s’innalza incombente da acque altrettanto metalliche, e il titolo suona “Storie dal mondo nuovo”. La confezione Adelphi centra perfettamente la comunicazione del contenuto del secondo libro pubblicato da Daniele Rielli (il primo era il romanzo “Lascia stare la gallina”, Bompiani 2015). Daniele Rielli, classe 1982, prima misterioso blogger di gran risonanza (Quit the Doner) e quindi poi, nominalmente, anche giornalista (Il Venerdì di La Repubblica), è un campione esemplare – ma al meglio – della sua generazione, quella grillina. Ma non che sia grillo lui eh! Anzi, lui – nemico giurato di ogni ‘narrazione’ – deve la sua celebrità all’aver imbroccato su Linkiesta un pezzo precocemente puntuale sul fenomeno grillino, diventato rapidamente virale e messo all’indice da Grillo in persona (http://www.linkiesta.it/it/article/2014/05/24/a-san-giovanni-nel-discount-del-dissenso/21394/).

La copertina è centrata perché i 10 pezzi raccolti nel libro sono proprio iceberg che s’innalzano scarsamente visibili dal mare della liquidità post-moderna, segnalando ai navigatori attenti la pericolosa massa sottostante. Sono pezzi del genere oggi definito ‘longform’: né proprio giornalismo né letteratura, una cosa che sta fra l’uno e l’altra. Da un certo punto di vista sono inchieste: raccontano un problema, un complicato avviluppo di questioni, cercando di evitare semplificazioni e di coglierne invece l’irriducibile complessità. Dall’altra usano senza problemi le tecniche della narratologia, prendendo il lettore per mano per condurlo dove vogliono loro, fagocitando strada facendo un tal numero di battute da risultare indigeribile da (quasi) qualunque direttore di giornale, difatti in questa edizione libraria i pezzi compaiono di solito ampliati rispetto alle versioni originarie, uscite in edizioni periodico-cartacee, o anche in rete. Gli argomenti dei pezzi, apparentemente strampalati ma utilissimi per gettare un’occhiata obliqua sul ‘mondo nuovo’ (cioè sul mondo reale, quello col quale la sua generazione dovrebbe fare spietatamente i conti invece di trastullarsi – secondo Rielli  – con narrazioni elegiache rottamate dalle generazioni precedenti) sono: un ritrattino ‘ambientale’ della fauna da Transatlantico (parlamentare); idem su un convegno di start upper; vita da graffitari; ritratto sentimentale del quartiere ucraino di Brooklyn; che fine ha fatto Serpico?; panorama di Tirana con love-story italo-albanese; l’ultima corsa di Valentino Rossi in Mugello; giocatori professionisti di poker; dietrologia di un matrimonio indiano celebrato nel Salento; ed infine l’Alto Adige, luogo dove l’autore è nato.

Non potendo parlare qui di tutti – pena il cadere anche noi nella longform – e lasciando per ultimo l’argomento Alto Adige, di cui qualcosa ho da dire come quasi-compaesano, facciamo almeno un accenno al pezzo sui giocatori professionisti di poker, ammirati da Rielli per «la libertà delle loro vite, la loro capacità di convivere con il rischio» (p.166). Che avranno da dire i familiari dei ludopatici? Rielli non si cura di loro, passa indifferentemente oltre, si interessa alla metafora del mondo che vede nel gioco d’azzardo: «il poker, come tutte le discipline dove il denaro gira sui risultati e non sulle gerarchie e le incrostazioni di potere, è mobile e si sposta in fretta. È il lato ipercinetico della meritocrazia» (p.168). Certo che come espediente narrativo funziona: quale miglior ritratto del mondo contemporaneo? Della spettabile finanza in doppiopetto, messa sullo stesso piano dei desperados del poker, alla faccia di tutte le narrazioni neo-liberiste. Ma non manca neanche, sottotraccia, l’invettiva di un esponente della «generazione depauperata nonché colpevolmente incapace di difendersi» (p.166) contro il genius-loci italico, patria di ogni rendita di posizione e allergico ad ogni tipo di meritocrazia. Insomma la scrittura di Rielli sembra una esemplificazione da manuale della teoria della letteratura come metalinguaggio.

E veniamo all’Alto Adige/Südtirol, cioè alla provincia bilingue italo-tedesca di Bolzano (in realtà trilingue, perché ci sarebbero anche i ladini), nel capoluogo della quale è nato Rielli, incrocio fra una madre trentina ed un padre del Salento. Origine ‘niente di che’ per gli italiani di Bolzano, arrivati tutti da fuori dopo l’annessione della provincia all’Italia in seguito alla Prima guerra mondiale, che si trovano però di fronte una maggioritaria (quasi al 70%) ed etnicamente compatta popolazione originaria di lingua tedesca, annessa all’Italia sulla punta delle baionette. Per tutto il libro di Rielli si viaggia in un eterno presente, senza sbavature. È un libro pieno di storie ma da cui è totalmente assente una Dimensione Storica, una prospettiva temporale che non sia quella quotidiana dello scorrere della vita individuale. Ma a Bolzano questa mancanza di prospettiva storica gli gioca brutti scherzi. Rielli si stupisce di ogni conflitto etnico come di assurda strampalataggine, nella globalizzazione che è il suo orizzonte generazionale. L’Alto Adige è per lui «l’ultimo parco naturale delle etnie» (p. 306) e ci vede solo rendita di posizione e clientela. Che naturalmente ci sono, ma sono un effetto secondario, radicato nei disastri prodotti dalla annessione bellica e dall’ineffabile pretesa fascista di “italianizzare” il Sudtirolo, che hanno prodotto un conflitto psichico in grado di allungarsi molto concretamente da una generazione all’altra, dal passato nel presente. Per decenni sono scoppiate le bombe del terrorismo sudtirolese, ed altrove – Irlanda del nord, Paesi baschi, per non dire Jugoslavia – la violenza etnica ha fatto disastri, inimmaginabili all’inizio. I conflitti etnici, apparentemente così ‘arcaici’, sono stati i più difficili da appianare, anche nell’Europa del Novecento. Non a Bolzano, dove una autonomia speciale, basata certamente su una dose di separazione etnica, ha disinnescato questo effetto, ma certo non ha fatto scomparire il conflitto identitario come potrebbe fare solo una bacchetta magica. Rielli, ritornato – per un reportage commissionato – nel posto dove è nato e cresciuto, ma da cui se ne è andato appena possibile, gira la provincia, parla con persone di vario tipo, e comincia a scoprire qualcosa che all’inizio sembrava ignorare. Parlando con lo storico ‘alternativo’ Leopold “Poldi” Steurer, erede, in campo storiografico, di Alex Langer, scopre la persistenza: «forse le tradizioni, i retaggi e le culture di appartenenza sono concetti che si possono smontare con sagacia in un saggio universitario, in un post su facebook o a un comizio, ma per le persone reali, nel mondo reale, continuano e continueranno sempre a rivestire un ruolo importante» (p.310). Comunque sempre apodittico il ragazzo, passa dal «parco naturale delle etnie» al «sempre». Quello che manca è ‘sempre’ la Storia, gli effetti storici di eventi traumatici come le guerre e l’idiozia del fascismo. Non è detto che durino per sempre – nella Storia i conflitti etnici vanno e vengono – ma devono essere presi sul serio. Disinnescare le bombe è già stato un risultato, e non era scontato. Il bilinguismo che, secondo Rielli, «al di fuori dall’ambito istituzionale, dove è obbligatorio, segnala solitamente posizioni di sinistra e per la convivenza» (p. 275) è l’unica altra possibilità rispetto al cacciarsi reciprocamente via, con le buone o con le cattive (come prima avevano tentato di fare con le opzioni Mussolini ed Hitler alleati, e poi con le bombe i terroristi).

 

Daniele Rielli, Storie dal mondo nuovo, Milano, Adelphi, 2016, 316 p., € 19,00

 

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2 COMMENTS

  1. Sono pezzi del genere oggi definito ‘longform’: né proprio giornalismo né letteratura, una cosa che sta fra l’uno e l’altra [ecc.]

    Vedasi alla voce saggio (s.m.), accezione 4, del vocabolario Treccani.

    […] giocatori professionisti di poker […] ludopatici […] desperados del poker […]

    Come equiparare sommelier a alcolizzati.

    Irlanda del nord […] I conflitti etnici

    Cioè: cattolici e protestanti sono due gruppi etnici?

    […] effetti storici di eventi traumatici come le guerre e l’idiozia del fascismo […]

    Sì, ma qual è la causa e quale l’effetto?

    ***

    Diciamo che su N.I. se ne sono lette di migliori di recensioni.

    • La recensione é intelligente e fatta di molto bene. Ma che ´cattiveria’ la frase conclusiva….Antolini….non ci badi….

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