I racconti del pastore di Montecuccoli
di Gregorio H. Meier
I racconti del pastore di Montecuccoli
La storia di un becco che non era buono
per la monta, dei pastori sardi
che è meglio non fidarsi (bevono, quelli
già dalle quattro del mattino), oppure
degli anni, quindici, a girarsi i pollici
in galera (una coltellata per un nonnulla, poi
la latitanza e il gran finale sulla Porrettana
– lo scontro a fuoco con la polizia,
il fumo dei proiettili che svapora su
dalla midolla dei faggi; anche lui beveva,
ai tempi). Ma soprattutto Giovanni –
che tiene un gregge e qualche bestia da macello
dalle parti di Montecuccoli – racconta spesso
dei suoi cani, specie di quelli che il mestiere ce l’hanno
nel sangue e allora meritano nomi: Rambo,
Rocky, Brigantino. A sentirlo
Quel satanasso – quanto mondo,
quanta vita! Certo la poesia
dev’essere balenata fuori
le prime volte dalle ciarle dei pastori.
Filius philosophorum
C’è un fanciullo scolpito nel fiume
nell’acqua che mi guarda; sembra quasi, ma non sono
io. Ha i boccoli, ali di colomba
una clessidra: Sono il figlio che muore e risorge, dice
giorno e notte nel ventre che invecchia
di mia madre – l’occhio che si osserva
mentre sbatto le nocche sulla pietra, le ginocchia
sporche d’erba al risciacquo. Sono il bosco, continua
L’autunno che sfilaccia vortici dai rami
sui tetti, questo spogliarsi di spettri rosso-rame
il rimorso che mi divora la faccia – fame.
La sete nascosta
Giulia, anche oggi la vita mi ripete
Io sono un pettirosso, qualche nota
che scapriccia dentro una siepe – la sete
di bacche nascosta nel bosco
Poi addosso è tutta una fame che ramifica
il sangue in una tagliola arrugginita, la vita
– denti: i polsi
E gli spettri inchiodati
ogni sera su uno specchio diverso,
al pub
Appunto su uno scontrino
Anche oggi mi punge
Scapriccia tra le dita
Come una castagna
Acerba nel suo riccio la vita.