Gli Apocalittici e Integrati di Umberto Eco nell’epoca della democrazia rappresentata
di Anatole Pierre Fuksas
La concatenazione di accadimenti, per molti versi intricati e casuali, che ha condotto alla vittoria di Macron su Le Pen alle Presidenziali francesi, determina nei fatti la transizione ad una nuova dimensione della politica. Parrebbe infatti compiuto il processo, suggerito da molta elaborazione post-moderna, che conduce alla fine del quadro politico marcato dalla distinzione tra una destra di matrice borghese e una sinistra di matrice proletaria, variamente evolute in termini sociali, economici e culturali attraverso i grandi sconvolgimenti prodottisi dalla caduta del Muro di Berlino fino ad oggi. Al suo posto sembrerebbe emergere una nuova tendenza di conflitto, ormai strutturata al punto da divenire visibile, al centro della quale si situa la contrapposizione tra il fronte degli Integrati e quello degli Apocalittici, secondo la felice formulazione di Umberto Eco, che dà il titolo ad una sua raccolta di articoli brevi e al volume del 1964 che essa conclude.
Questa coppia di concetti contrapposti ripensa nei termini di un cambiamento sostanziale di prospettiva il modo in cui la politica riscrive la realtà che si dispiega attorno a noi, ormai irriducibile alle formule di rito sulla sinistra che avrebbe perso la sua funzione originaria, sulla destra cedevole rispetto alle tentazioni populiste, sui movimenti dell’antipolitica contrapposti alla politica tradizionale e via dicendo. Vari elementi emersi dalla stratificazione del voto presidenziale francese consentono di sostanziare questa chiave di lettura in termini socio-economici piuttosto stringenti. Alcuni dei grafici proposti dall’imprescindibile articolo del Financial Times del 9 di maggio delineano la componente sostanziale del quadro, che certamente consiste nella divisione per educazione, censo e distribuzione geografica.
Come era prevedibile, l’apocalittico è più facilmente identificabile tra gli ignoranti a basso reddito, o comunque tra quelle figure impoverite dalla crisi, mentre l’integrato è con maggiore facilità il borghese più colto con qualcosina da proteggere, che sia la casa di proprietà o un lavoro di soddisfazione. L’apocalittico è concentrato nelle aree più in difficoltà, non trova cittadinanza nella dimensione metropolitana cosmopolita e quasi sparisce nel 10% delle comunità che denotano il maggior livello di educazione. L’integrato rappresenta solo la metà della popolazione nelle aree a minor tasso di educazione, come anche di quelle abitate dalla classe operaia, mentre è assolutamente egemonico nella grande capitale mondiale e in tutte le zone dove i livelli culturali sono più alti.
Come suggerisce Alessandro Lanni, «da una parte c’è un blocco sociale perdente e chiuso e una politica che non piace altrove, mentre dall’altra c’è un voto diffuso che attraversa varie fasce della società senza conquistarne nessuna, ma posizionandosi bene in tutte». È anche probabile che da questo punto di vista il quadro possa rimanere piuttosto mobile nel senso di una acuita tendenza alla polarizzazione, qualora la politica cavalchi questa contrapposizione fin dalle prossime legislative francesi, invece di lavorare per smussarla. Molto conterà in questo senso quanto forte sarà la reazione al “Modello Macron”, che appare estremamente popolare ad esempio in Italia, anche a seguito della grande affermazione di Renzi alle Primarie del PD.
La netta sconfitta di Andrea Orlando in Italia, combinata col fatto che ad oggi il socialismo europeo in senso tecnico vale in Francia l’8%, sembrerebbe dar ragione ad Emmanuel Valls (al quale rivolgiamo, per inciso, un sentito #adieuone, a mai più rivederci), quando dichiara apertamente che questa reazione non ci sarà, poiché secondo lui quella cosa che ancora proviamo a chiamare socialismo europeo non esiste più nei fatti. Si potrebbe a questo riguardo osservare che mentre un ex premier, cioè una roba tipo Prodi, Amato, Renzi, viene espulso dal Partito fratello Socialista Francese per aver sostenuto Macron contro il naturale candidato uscito dalle primarie, in Italia si totemizza l’operazione di En Marche, celebrandola come il modello politico da perseguire. Si potrebbe anche aggiungere che il PD è nel PSE da poco e certo si potrebbe quasi parlare di bacio della morte, che ovunque arrivi tu una cosa muore, anche perché, operando nel senso di cui sopra, contribuisci ad ucciderla.
È certo che nessuna di queste argomentazioni avrà la minima capacità di incidere su un processo in corso, quello di ristrutturazione delle categorie dalla politica, che potrebbe forse trovare ancora un argine in Germania, qualora Schulze riuscisse a spuntarla sulla Merkel, ma sarà da vedere. La contrapposizione tra “forze sane” della società, cioè gli integrati a maggior livello di istruzione e censo, e i più poveri e ignoranti sedotti dalle lusinghe del populismo, dalle fake news, dalle medicine alternative e dalle altre leggende metropolitane, in una parola gli apocalittici, è appunto l’effetto di questa transizione dalla dimensione della democrazia rappresentativa a quella della democrazia rappresentata. L’elemento sostanziale e costitutivo di questa seconda dimensione è quello che potremmo chiamare “Effetto Dumbledore”, prendendo come definizione quella che il mentore offre ad Harry Potter nella scena che lancia il finale dell’ultimo episodio della saga: «Of course it is happening inside your head, Harry, but why on earth should that mean that it is not real?»
Cosa sia questo “Effetto Dumbledore” lo ha spiegato con grande onestà Renzi nel suo discorso di incoronazione, dicendo apertamente che certi problemi sono reali anche se soltanto percepiti come tali e quindi in una qualche maniera vanno affrontati. Per parte nostra si è molto argomentato insieme a Lorenzo Declich a proposito delle tante storie uscite attorno al complottismo negli ultimi anni (ad esempio in conclusione di uno degli interventi su Nazione Indiana). Abbiamo provato a far presente che la realtà nella quale abitiamo non è soltanto il prodotto di dati fattuali e trascende la cronaca, dialoga con la verità assoluta, ma anche con un sacco di altre cose, che sono vere solo in senso molto relativo (perché ad esempio qualcuno le pensa) o non lo sono proprio.
A nostro modo di vedere era ed è altamente improbabile che il populismo possa essere sconfitto senza bonificare le fonti dell’angoscia, magari immaginando di riassorbirlo con operazioni demagogiche, ad esempio armando il cittadino angosciato o abolendo i gradi di giudizio per i migranti. In sostanza, non è inseguendo Chi l’ha visto? o direttamente le fiction di Raiuno che si farà meglio di quando invece si costruiva un’agenda sulla base del pastone del Tg1, per citare di nuovo il Renzi del discorso da ari-neo-segretario. Anzi, in questo modo si favorirà lo spostamento definitivo della conflittualità politica nel campo della realtà percepita, secondo modalità che con tutta evidenza Umberto Eco spiegava già nel remoto 1964 meglio di come mai potranno farlo Baricco o Recalcati.
Riletto oggi, Apocalittici e integrati sconcerta per la straordinaria attualità dell’impianto e delle singole argomentazioni che lo sostanziano. Eco tematizza nei vari capitoli del saggio sull’affermazione della cultura di massa i salti di livello comunicativo, la predominanza del cattivo gusto, la mescolanza di cultura mischiata al gossip, l’incoscienza di classe, il pensiero per slogan, l’omologazione e la ricerca del gusto medio, lo schiacciamento sul presente e l’impoverimento delle conoscenze storiche, una conseguente visione passiva e acritica del mondo, l’emergere di un marketing politico e culturale centrati su una ἔνδοξα caratterizzata da paternalismo e conformismo, il divismo delle élites senza potere, arrivando quasi a prefigurare l’automarketing “qualcunista”, come l’abbiamo definito insieme a Lorenzo Declich in varie circostanze (ad esempio in quest’altro articolo su Nazione Indiana). Se in questo libro di Eco ci sono moltissimi degli aspetti che caratterizzano il mondo odierno, è forse perché il mondo di oggi è stato effettivamente costruito a partire da quel libro.
Non sorprende che una così densa descrizione del mondo che ci circonda, formulata con più di cinquant’anni di anticipo, offra nel titolo una efficacissima articolazione categoriale, che delinea il conflitto tra diversi posizionamenti rispetto ad una medesima rappresentazione di realtà percepita, invece che su quello della rappresentanza di istanze collegate alla vita vissuta. Una tradizionale interpretazione nella chiave “destra contro sinistra” porta infatti a pensare agli attori di questo scontro come tutti simili tra loro, se non proprio uguali. Per dire, cosa differenzia la propaganda xenofoba di Salvini sugli immigrati che vengono a stuprare le nostre donne dalle argomentazioni di Serracchiani sulla maggiore gravità dello stupro perpetrato da un profogo iracheno ai danni di una giovane italiana rispetto a quello di un italianissimo marito sulla moglie di origine nigeriana?
Se ci limitiamo ad una lettura “destra contro sinistra” si tratta di due posizioni ugualmente di destra. Ma Serracchiani e Salvini non sono la stessa cosa anche se dicono le stesse cose. Parlano nella stessa maniera della stessa realtà percepita sulla base di paure ancestrali, collegando quella dello stupro e a quella dell’immigrazione, ma si situano, in realtà, ai due poli opposti dello scontro per l’appropriazione di quella realtà, data per intesa indipendentemente dalla verità dei fatti. Da una parte, Serracchiani, chiede che ci sia una normativa che regoli questi casi in maniera diversa da quella che regolamenta la vita dei cittadini italiani, e la legge Minniti in parte già lo fa, dall’altra Salvini chiede di chiudere le frontiere indiscriminatamente.
È ben evidente che a chi scrive, come a tutti coloro che ancora ragionano nella dimensione di conflitto tra destra e sinistra, questa sottile differenza appaia irrilevante. Siamo abituati a vedere il mondo nei termini di uno scontro tra chi è a favore della società cosmopolita e chi è contro, tra chi è a favore dei diritti delle donne e chi è per il ripristino dei tradizionali ruoli di genere. Per questa ragione non ce la possiamo fare a capire come sia possibile che la dichiarazione di una dirigente nazionale del Partito Democratico si trovi sulla stessa linea di Casa Pound, al punto che Di Stefano le dia pubblicamente ragione, stigmatizzando l’ipocrisia dei grillini che la ingiuriano, quando fino a dieci minuti prima avevano incitato al segregazionismo su altri canali.
Ma questa è la realtà e, per capire la politica che da adesso in poi sempre più ci circonderà, si tratta di indossare nuovi occhiali, quelli della paura in base alla quale il marketing politico confeziona oggi la realtà percepita. Appare forse più limpido il caso delle grandi pulizie che Renzi ha ordinato al PD romano, parlando non già in senso figurato di epurazioni tra i capibastone, quanto piuttosto proprio di andare a combattere il populismo in strada con la ramazza. Questa opzione politica, perché come tale ci si richiede di intenderla, se non altro perché è un ordine che il Segretario di un Partito dà ai suoi militanti, è un’offensiva contro il complottismo di Raggi, secondo la quale il PD dissemina Roma di frigoriferi (come si raccontava in quest’altro articolo di Nazione Indiana).
Apocalittici contro integrati, pulito pulito, no pun intended! Ma certo il terreno di conflitto è tale che ad un occhio non addestrato le posizioni che si contrappongono non saranno riconoscibili come davvero antagoniste l’una all’altra nella più parte dei casi. Fortunatamente il terreno di scontro sul quale questo conflitto tra Apocalittici e Integrati si svolge è esplorabile comodamente da casa, rileggendo i cinque articoli che compongono la sezione conclusiva così intitolata dell’omonimo volume di Eco, ognuno dei quali pone questioni nodali, che aiutano ad orientarsi in questa nuova dimensione del politico.
Il primo, dedicato a I Nichilisti Fiammeggianti, elabora uno scenario operativo per l’intellettuale nell’epoca delle comunicazioni di massa sostanzialmente modellato su suggestioni nietzschiane. Di particolare rilievo è la sottolineatura ancora attualissima del fatto che «lo sviluppo tecnologico ha fatto sì che se dialogo e cultura potranno ancora sopravvivere (e c’è chi ne dubita) tutto questo non avverrà che sullo sfondo di una comunicazione intensiva di dati, di notizie, di aggiornamenti circa ciò che sta accadendo». L’elemento della sovrabbondanza di informazione determina un effetto che non faticheremo a riconoscere come attualissimo anch’esso, considerato che «messo in rapporto con una infinità di situazioni delle quali è costretto a prendere atto, se vuole muoversi e progettare, e delle quali nessuna gli appartiene, nessuna gli si presenta in prospettiva privilegiata, l’uomo contemporaneo vive in una permanente insicurezza».
La distanza dal contenuto dell’informazione, della quale bisogna appunto prendere atto, ingenera una insicurezza, a seguito della quale, potremo aggiungere col senno di poi, si pone il problema di posizionarsi pro o contro, in maniera entusiastica o deprecatoria, a fronte di una cosa di cui in realtà non frega niente. Nell’articolo successivo, intitolato Da Pathmos a Salamanca, Eco elabora un nuovo capitolo della bibliografia fittizia di Milo Temesvar ( a proposito del quale si veda ad esempio Ecophilia di Oliverio Diliberto su Insula Europea), autore albanese mai nato del mai scritto saggio «originale, irritante e provocatorio, dal titolo The Pathmos Sellers», mai uscito a Washington (DC) per i tipi della mai esistita SevenTypes Press nel 1964. Il volume concepito dall’immaginazione febbrile di Umberto Eco sarebbe un’inchiesta sociologica che «propone delle succulente ipotesi interpretative, senza offrire alcun elemento di verifica sul campo, ma in tale senso Temesvar si dimostra coerente con le idee che a suo tempo aveva esposte in una memoria all’Accademia Sovietica delle Scienze, dal titolo La verifica come falsificazione dell’ipotesi».
Il riferimento a posteriori, con cinquant’anni di ritardo diciamo, al tema attualissimo delle fake news, implicato fin dalle premesse, cioè dall’invenzione dello studio che falsifica l’ipotesi grazie alla sua verifica, configura un altro nodale terreno di conflitto tra Apocalittici e Integrati. Il riferimento a Borges che apre l’articolo incornicia senza meno le premesse letterarie del tema in maniera ancora più che valida e l’intero ragionamento sul riciclo della forza lavoro, degli esuberi, degli esodati, che rappresenta l’argomento principale del ragionamento, denota anch’esso una stringente pertinenza rispetto alle attuali dinamiche del conflitto. La conclusione relativa al riciclo dell’intellettuale, che diventato obsoleto trova una nuova missione, ritrae mirabilmente aspetti salienti della propagandistica corrente, quando Eco nota che «si hanno allora i tecnici dell’Apocalisse, specializzati nel dimostrare che il nuovo orizzonte di problemi è radicalmente equivoco, antiumano, e che occorre rifarsi al culto dei valori di un tempo per garantire all’umanità la sopravvivenza».
L’articolo Sulla Fantascienza, il terzo, parla appunto del racconto o romanzo di fantascienza come di «letteratura allegorica a sfondo educativo», dunque dei suoi prodotti come degli «unici manuali di devozione» che la civiltà industriale concede all’occhio distratto di chi si addormenta sul treno o sul bus tornando dal lavoro. L’enfasi sul futuro, nel quale la propagandistica corrente proietta scenari apocalittici o edificanti a seconda del caso, prende certamente la forma di un discorso ideologico, capace in un modo o nell’altro di tamponare l’ansia prodotta dalla sovrabbondanza di informazione. L’argomento proietta direttamente al quarto degli articoli in questione, dedicato alla Strategia del Desiderio, ovvero al volume omonimo di Ernest Dichter, fondatore dell’Institute for Motivational Research, dunque alle tecniche di persuasione già enucleate all’epoca da Vance Packard nel celebre libro sui Persuasori occulti.
L’argomento forse più stringente rispetto alla riconfigurazione del conflitto destra vs sinistra in quello che vede contrapposto un fronte di Apocalittici ad uno degli Integrati è quello che in questo caso prova a sganciare il rapporto tra individuo e autorità, dunque il concetto di ordine e quello di sicurezza, da una dimensione psicologica, proiettandolo in una di carattere storico. Eco osserva che «un atteggiamento verso le autorità può avere radici storiche profonde (instabilità del potere, dittature, malgoverno, eccetera) e che quindi non può essere mutato con una tecnica psicologica, ma solo da una evoluzione delle strutture politiche e sociali». È ben evidente che un approccio alla questione incentrato sull’emergenza percepita tende invece ad enfatizzare il piano della minaccia secondo quello che abbiamo chiamato «Effetto Dumbledore», abolendo ogni dimensione storica, dunque ogni piano conoscitivo utile a bonificare le ragioni dell’ansia che favorisce la polarizzazione.
Eco osserva che la strategia del desiderio non può essere una tecnica neutrale usata per la felicità di tutti, poiché «nella misura in cui i mezzi di produzione non mi appartengono, ed io ne sono o l’oggetto o lo strumento di persuasione – e nella misura in cui non sottopongo questo rapporto a una critica costante – sarà sempre il potere a persuadere me, non io a persuadere il potere». Quindi, «poiché le pagine di Dichter non sono state sfiorate da questo sospetto, il suo libro diventa una sorta di utopia negativa, la descrizione di un agghiacciante paesaggio industriale abitato da automi felici e irresponsabili». Col senno di poi potremmo sopraggiungere che la demagogia corrente ha determinato un paesaggio post-industriale abitato da automi ugualmente irresponsabili, ma rabbiosi invece che felici, parlando, ad esempio dei social network, popolati da troll agiti da una medesima strategia del desiderio, apocalittici o integrati che siano.
Potremmo spingerci oltre col parallelo introducendo l’ultimo degli articoli della sezione specificamente intitolata Apocalittici e integrati del libro omonimo, quello dedicato a Il nostro mostro quotidiano. Disaminando il ruolo e il significato profondo della letteratura e del cinema horror nella società delle comunicazioni di massa, Eco fa riferimento allo studio di Siegfrid Krakauer del corpo sociale tedesco prima dell’arrivo di Hitler «e come questo stato d’animo trovi la sua espressione più chiara e inquietante nel film espressionista […] dal Dottor Caligari di Wiene, al Golem di Wegener, Dottor Mabuse di Lang, Nosferatu, il vampiro di Murnau». Si tratta di un racconto della crisi, che sviluppa «un tema ossessivo nel quale si riflette tutta la sindrome nevrotica della società germanica che vede il crollo dell’Impero, la sconfitta bellica, il fallimento dei moti proletari, la crisi di una società borghese che troverà poi in Grosz il suo accusatore spietato, in Brecht il suo anti-vate».
La reazione «all’insorgere di queste inquietudini, di queste angosce, di questi fantasmi» produce da un lato «un conato di distruzione», che potremo senza meno situare nel campo degli Apocalittici, dall’altro ingenera «una sorta di autoritratto a sfondo sadomasochistico», che rappresenta il suo perfetto controcanto sul versante degli Integrati. Istinto di distruzione e rabbia furiosa da una parte, sadomasochismo e atteggiamenti passivo-aggressivi dall’altra: l’unica sintesi possibile, stando alla conclusione di Eco, è tanto sinistra, quanto stringente, di attualità, viene da dire, spaventosa, tecnicamente mostruosa. Anticiparla sarebbe irriverente e banalizzante nei confronti di una descrizione così lucidamente anticipatoria di quello che viviamo, della nostra società e del modo in cui la politica la sta interpretando e per questa ragione la lasciamo all’apologo col quale Eco conclude il suo libro (per i più pigri comincia con D, finisce per A e ha denti molto aguzzi):
in un numero di “Mad” (una rivista goliardica, dell’anticonformismo di maniera, ma che talvolta coglie nel segno) appare una storiella in otto vignette, senza parole: un tipo di uomo medio legge allarmato il giornale che parla di guerra atomica e vede scene inquietanti alla televisione. Corre in giardino e si mette a scavare, raduna mattoni, lavora di calce e cazzuola; costruisce un rifugio, lo copre di terra (ne fuoriesce solo il filtro antiradiazioni per l’aria), lo chiude, lo blinda, gli attacca un cartello “proibito entrare” (ricordate le polemiche sul diritto morale di sparare al vicino di casa se tenta di occupare il vostro shelter?) ansimando dà gli ultimi tocchi mentre cala la notte. Passa di lì un reporter con la macchina fotografica, vede la scena, scatta una foto col flash. L’uomo si volta di colpo, viene investito da un bagliore accecante (i manuali antiatomici danno istruzioni sul come comportarsi se si scorge una luce abbagliante seguita da uno scoppio): tenta di urlare e stramazza. La storia termina mentre un medico ne copre il corpo con un telone e il reporter guarda perplesso chiedendosi come mai. Finisce così l’apologo di una sicurezza inutile. Ma è curioso il volto del cadavere, coi tratti esasperati dal disegno umoristico: pare succhiato da dentro. Dracula quando vede la luce del sole.
Dentiera? Dracula? Drosera?