Radio Days
Megahertz stralunati e frequenze postdigitali
di
Mirco Salvadori
Febbraio 1976 – Diretta per l’inaugurazione di Radio Alice
Buongiorno. Lunedì 26 gennaio. Ieri nevicava. Stanotte c’era la luna e il 31 sarà piena. Siamo sotto il segno dell’acquario e i nati in questo giorno sono tendenzialmente azzurri, spiccata tendenza agli scioperi felici…E qui siamo sempre a radio Alice, nella nostra tana piena di esseri strani. Un quantitativo di megaertz di tipo acquario. Occhi un po’ stralunati e i nostri impianti sono sperimentali quanto noi.
…a seguire White Rabbit dei Jefferson Airplaine
Aprile 2017 – Live streaming USMA Radio
Guardo nello schermo del portatile, oltre il logo dell’emittente dell’Università degli Studi di San Marino scorgo le immagini filmate da Man Ray mentre il live streaming mi propone David Sylvian che dialoga con la tromba di Arve Henriksen. Navigo in assenza di peso e agisco creando multimedialità. Clicco sul podcast e alle diverse voci che già riempiono il mio percorso radiofonico si unisce quella di Bruno Munari in podcast, durante una sua lezione di design. Al pari di un dj mixo ciò che la rete mi rimanda, rimescolo le carte creando nuove realtà d’ascolto, artistiche ed invisibili strutture sonore che riempiono lo spazio fisico della stanza e quello indefinito del mio pensiero.
1976 – 2017, come si è evoluta la radio nel corso di questo lungo periodo? Questa breve disamina tenterà di descrivere il lungo percorso che ha trasformato la rivoluzionaria spontaneità di alcuni sperimentatori underground in efficace ricerca di contemporaneità espressiva. Lo spunto giunge da un incontro svoltosi nelle colline marchigiane, all’interno della residenza artistica SPRING ideata e curata da House Creative Agency nella cornice di Villa Tereze Holiday House and Creative Hub. Una giornata nella quale il compositore e musicista, regista e autore Roberto Paci Dalò, ha presentato il progetto USMA Radio di cui è direttore.
Ho scelto di scrivere queste poche righe immergendomi nell’ascolto della musica, una materia plasmabile, in continuo cambiamento, da sempre anima portante del palinsesto radiofonico. Ho deciso di farmi accompagnare dal suono per il mio costante rapporto con un elemento che radiofonicamente mi ha accompagnato per più decenni e tuttora è parte integrante del mio percorso. Userò musica e suono come mezzi attraverso i quali tentare un breve viaggio dentro il mondo delle frequenze modulate e del segnale in streaming.
White Rabbit: al tempo stesso nulla di più lisergico e materiale, testimone di un periodo di eccezionale fermento creativo. Un’emittente in prima linea come Radio Alice non poteva non iniziare le sue trasmissioni, durate ahimè ben poco, con un brano che non avesse lo stesso tenore. Mettersi davanti al microfono di una radio libera negli anni ’70 significava provocare, smuovere l’apatia e il perbenismo diffusi. Erano periodi tragicamente semplici, bastava girare di domenica in eskimo, indossando i soliti jeans sdruciti per sentire di appartenere ad un’altra realtà, quella alternativa, la stessa che si collegava costantemente con la propria piccola emittente di riferimento per ascoltare musica impossibile da trovare altrove. Il rock come colonna sonora costante con la quale imbastire tavole rotonde e discussioni politiche, il rock alternativo come unico comune denominatore per riconoscersi ed accettarsi, fidandosi l’uno dell’altro. Forse una delle poche nobili usanze tramandate nel corso del tempo: dimmi che ascolti e saprò chi sei.
Per decenni il mezzo radiofonico è stato usato con queste modalità, ciò che cambiava era la musica. Con il tempo però il rock subisce un mutamento, si trasforma in classico intrattenimento omologato. La voce suprema dell’antagonismo culturale di matrice popolare viene abbandonata dai più attenti ricercatori radiofonici che abbracciano altre forme sonore, in grado di rappresentare in modo più contemporaneo la continua e diffusa volontà di appartenenza altra. Nascono nuove trasmissioni sempre più specializzate: punk, new-wave, post-punk, indie-rock, industrial, programmi dedicati al suono elettronico e al suono di ricerca. Decine di nuovi segnali musicali iniziarono a fluire dagli altoparlanti di emittenti seguite da un pubblico che richiede sempre maggiori informazioni, ascoltatori che hanno sete di novità. La spinta data dal bisogno di controcultura stava scemando, l’esperienza dell’improvvisazione radiofonica si era trasformata in altro, l’ascolto si faceva più esigente e la conoscenza della materia trasmessa diventava basilare per un’emissione che fosse realmente degna di questo nome. Questo uno dei motivi per cui gran parte dei critici, degli artisti o dei curatori che si occupano di musica sulle pagine dei giornali e in rete, hanno avuto o hanno tutt’ora esperienza radiofonica.
Viviamo in un’epoca che solo in rari casi permette alla creatività di svilupparsi dentro canali non massificati. Ogni nuova esperienza artistica appartenente a qualche genere di sottocultura musicale appetibile viene subito trasfigurata e diffusa in modo virale attraverso milioni di clic. Un fenomeno che mette non poco in crisi coloro che da sempre ricercano unicità e possibile innovazione nell’ascolto. Un problema che porta con sé mancanza di produzione musicale intelligente, che sappia sorprendere. Da par loro, gran parte delle emittenti ‘antagoniste’ ancora in vita non riescono a sciogliere questo nodo, seguono pedissequamente un modello tardo-indie d’antan non riuscendo ad attraversare quella soglia che conduce dalla musica al suono.
Esistono però delle realtà che hanno compreso l’importanza di questo passaggio, iniziando a sperimentare un uso radiofonico non convenzionale.
Mi viene da citare Radio Papesse di Firenze, patrocinata dall’Associazione dei Musei d’Arte Contemporanea Italiani, una web radio nella quale le emissioni si colorano di musica convenzionale ma anche e soprattutto di suono, quello dei talks e degli avvenimenti trasmessi in streaming o delle registrazioni dei soundscapers che collaborano con la webradio fiorentina. L’uso del mezzo radiofonico diventa ancor più ‘trasgressivo’ nel caso di USMA Radio, l’emittente dell’Università degli Studi della Repubblica di San Marino: “La radio non è solo la scatola dalla quale escono i suoni e le voci ma la radio è lo spazio, per questo abbiamo ideato un’emittente che è composta da una serie di cose non direttamente associabili all’idea che tutti abbiamo della radiofonia…”, così esordisce Paci Dalò nell’introduzione al talk marchigiano.
L’idea che sta alla base del progetto USMA Radio, così come di altre emittenti innovative sparse nel globo, si rifà al principio base della missione radiofonica, ovvero la trasmissione. Un’idea se vogliamo condivisa dal resto dell’antico mondo dei megahertz ma completamente mutata nella narrazione e nella messa in scena. Si parte dal concetto dell’universalità radiofonica: tutto può essere trasmesso, siamo tutti transmitters, la radio non è più un luogo preciso ma diventa il non luogo nel quale poter ascoltare suono e trasmetterlo. Con le e nuove tecnologie possiamo ‘fare radio’ da qualsiasi luogo attraverso l’uso di devices un tempo impensabili. Esistono applicazioni che permettono di creare e inviare trasmissioni attraverso un semplice smartphone, in questo modo si possono tessere reti di scambio a livello globale. Ecco quindi che la famosa barriera tra suono e musica viene abbattuta, oserei dire superata. Quel ‘transmission’ di curtisiana memoria che invitava a danzare con la radio, viene terribilmente ridimensionato dalle potenzialità sonore di un universo in pieno movimento, registrato magari a Mumbai e ascoltato in Groenlandia, in tempo reale. Il paesaggio sonoro, il soundscape stesso entra prepotentemente in gioco e ci aiuta a meglio comprendere i cambiamenti nello spazio che ci circonda.
In Italia esiste una rete di artisti che hanno deciso di mappare e campionare il territorio della penisola, questa associazione fa capo all’Archivio Italiano dei Paesaggi Sonori che si prefigge di promuovere la cultura del paesaggio sonoro usando i risultati ottenuti come base di scambio culturale tra varie realtà territoriali, compresa USMA Radio, attraverso la messa in onda delle performances sonore dei vari soundscapers.
“Accostarsi ad un territorio attraverso la pratica dell’ascolto implica una profonda immersione nelle situazioni, negli eventi, nelle storie, negli elementi che le raccontano. E’ un processo che richiama modalità di sentire che invitano ad espandere la ‘percezione del suono, includendo il suo continuum spazio-temporale e facendo esperienza della sua vastità e della sua complessità nella maniera più ampia possibile’…”. Così Pauline Oliveiros, teorica e storica ricercatrice musicale, fautrice del deep listening qui citata da Leandro Pisano nel suo testo dedicato agli spazi e ai territori nell’epoca postdigitale, quel Nuove Geografie del Suono – Meltemi Edizioni 2017, da molti adottato come testo guida per la comprensione del fenomeno culturale legato al mondo del field recording e alla sua conseguente elaborazione sonora.
Ecco quindi che la radio torna a svolgere il suo primario compito di informazione, aiuta a ‘sentire’ quanto ancora non è diffusamente conosciuto. Seleziona ascoltatori necessariamente e volutamente altri, quella minima parte di pubblico che inizia a percepire stanchezza nel consueto ascolto musicale, ma anche coloro che amano indagare nello spazio sconfinato che ancora si cela dietro i semplici circuiti di una radiolina a transistor.
Link Utili
http://www.archivioitalianopaesaggisonori.it/
http://www.terezehouse.com/
“agli scioperi felici…E qui siamo”
errata corrige [indico un refuso, per l’archivio]: manca lo spazio dopo i tre puntini – “agli scioperi felici… E qui siamo”
Suvvia, come sei pignolo, AZ! …mi sembri quasi un editor serio :P.
CAll – andiamoci piano con le offese ;-)
<3
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