Il primo giorno di scuola di Vallejo (Paco Yunque)

di César Vallejo (traduzione di Marino Magliani e Riccardo Ferrazzi)

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Paco Yunque guardò il maestro che scriveva sulla lavagna. Chi era il maestro? Perché era così serio e metteva tanta paura? Yunque continuava a guardarlo. Il maestro non assomigliava a suo padre o al signor Grieve. Assomigliava più agli altri signori, che venivano in casa a parlare col padrone e avevano la collottola piegata e il naso come un bargiglio di tacchino. E le sue scarpe, quando il maestro camminava molto, facevano riss-riss-riss-riss. Yunque cominciò a stare in pensiero. A che ora sarebbe tornato a casa? Uscendo dalla scuola Humberto l’avrebbe picchiato. E la mamma di Paco Yunque gli avrebbe detto: “No, piccolo, non picchiare Paquito, non fare il cattivo…” Non gli avrebbe detto nient’altro. E Paco, con la gamba tutta rossa per la pedata di Humberto, si sarebbe messo a piangere. Perché a Humberto nessuno lo toccava. Il padrone e la padrona volevanotroppo bene a Humberto, e Paco ci stava male perché Humberto lo picchiava sempre. Tutti, tutti, ma proprio tutti avevano paura di Humberto e dei suoi genitori. Tutti, tutti, tutti. Anche il maestro. La cuoca e sua figlia. La mamma di Paco. Venanzio col suo grembiule. La Maria che lavava gli orinali e proprio ieri ne aveva rotto uno in tre grossi pezzi. Il padrone avrebbe picchiato anche il papà di Paco Yunque? Che brutta cosa avere a che fare col padrone e con Humberto. A Paco Yunque veniva da piangere. E il maestro, quando avrebbe smesso di scrivere sulla lavagna?
“Bene!” disse il maestro terminando di scrivere. “Ecco l’esercizio. Ora prendete i vostri quaderni e copiate ciò che è scritto sulla lavagna. Dovete copiarlo esattamente uguale.”
“Sui nostri quaderni?” domandò timidamente Paco Yunque.
“Sì, sui vostri quaderni” gli rispose il maestro. “Sai scrivere almeno un po’?”
“Sissignore. In campagna me l’ha insegnato mio papà.”
“Molto bene. Allora, tutti a copiare.”
I ragazzi presero i quaderni e si misero a copiare l’esercizio che il maestro aveva scritto sulla lavagna.
“Non fate le cose in fretta” disse il maestro. “Bisogna scrivere piano piano, per non  fare errori.”
. . .

 

NdR: il brano è tratto dalla traduzione di Marino Magliani e Riccardo Ferrazzi del racconto di César Vallejo “Paco Yunque”, con illustrazioni di Federica Orsini, pubblicato da “Lo Studiolo” di Sanremo (2017). Il frammento che segue fa parte all’introduzione di Luigi Marfè:

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Con questo racconto, Paco Yunque (1931), lo scrittore peruviano César Vallejo (1892-1938), tra i più noti poeti del Novecento, narratore avanguardista, autore tra l’altro dei Poemas Humanos (1939) e del romanzo sperimentale El Tungsteno (1931), recentemente tradotto in italiano, si accosta a questa tradizione letteraria, creando uno spazio narrativo perfetto e originale, divenuto subito un modello generativo per altri scrittori d’area iberoamericana. C’è un brano delle Historias de cronopios y de famas (1962) in cui Julio Cortázar immagina delle strampalate “istruzioni per piangere”: chissà che tra i manuali di istruzioni di quell’inventore di istruzioni non si possa annoverare anche questo racconto di Vallejo.
Paco Yunque narra la cronaca di una sconfitta annunciata. Il personaggio che dà il nome al racconto è un bambino di umile estrazione sociale, che non sa come sottrarsi alle angherie e ai tormenti di un compagno di classe, Humberto Grieve, il figlio dei signori da cui sua madre lavora come donna di servizio. Vittima infelice, Paco è troppo introverso e spaventato per sfuggire al proprio destino: non risponde mai, non reagisce mai, non si rivolta mai. Il suo unico modo di ribellarsi è in un pianto silenzioso, ostinato, che ricorda sommessamente, nel suo inestinguibile grigiore, l’“I would prefer not to”  del Bartleby (1853) di Herman Melville.

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1 COMMENT

  1. “Sissignore.In campagna me l’ha insegnato mio papà.”
    “Molto bene”
    Di quando i maestri potevano parlare bene dei padri e viceversa.

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