come faccio senza te (1/3)
di Giacomo Sartori
come faccio
senza te
giorno dopo
dopo giorno
dimmi come
faccio senza
senza te
trova tu
la soluzione
io mica
la vedo
tu la
sei così bella
così bella
così lucida
e i tuoi occhi
i tuoi occhi
mi fanno pazzo
come farò
ora che
ora che
tu resti
son io che vado
le cose cessano
anche quando
quando paiono
eternamente eterne
di botto
giù il sipario
s’ha da sloggiare
la vita è così
bisogna ubbidirle
bisogna
sarà amore
sarà abitudine
sarà quel che sarà
ma per me
per me
ci sei solo tu
solo tu
il resto è tedio
e seccature
senza fine
senza fi
fi fi
quando ti vedo
mi si sbraca il cuore
come posso pensare
di non trovarti
di non toccarti
toglietemi tutto
tutto salvo
salvo te
te te
il trilocale è venduto
mica posso restare
verranno i nuovi occupanti
a vivere la loro vita
lui è corso
lei non so
io devo smammare
fosse per me resterei
anch’io son fedele
ai muri e ai vasi
che san di pipì
di pipì di gatto
di gatto
to to
dimmi come faccio
se non ci sei
come posso pensare
gli anni a venire
o anche solo i domani
tutti questi domani
senza domani
senza te
dimmi come
come posso
posso fare
senza za za
le cose si ripetono
e si ripetono
si ripetono ancora
sembrano eterne
poi un giorno
un giorno poi
emerge che
sono caduche
così caduche
marciranno
(appare la datina
di scadenza)
ci si mette un po’
a farsene una
una ragione
una
come faccio
tutte le notti
tutti i giorni
(e i minuti
i minuti
i più lenti
son i minuti!)
senza te
ma anche i mattini
(oddio i mattini!)
era così bello
trovarti trovarti
sparapanzata
sul cemento
della corte
così nera
così lucida
così verdi
gli occhi
così verdi
come fo ora
tutti questi giorni
senza occhi verdi
è la massa
ch’ammazza
uno alla volta
li sfiderei
uno alla
alla alla
a volte le cose
mica vanno
come s’aspettava
ora casa nostra
la nostra casa
è svuotata
(i chiodini divelti
i ricordi scardinati)
mia moglie ha deciso
di venderla
(d’altro canto
d’altro canto
è sua
sua di lei
lei lei)
come faccio senza
la mia stella
quando torno
torno a casa
ti svoltoli
e ti strusci
mi fai impazzire
sento che per te
per te conto
conto tanto
la mia vita
ha senso
ha ha
certe volte mi mordi
mi mordi forte
per gioco o forse
un po’ di rabbia
ma le unghie
ma le unghie
mi sfiorano e basta
le sento appena
non le conficchi
conficchi nella
carne nella
carne
come fare senza
senza te
per vivere occorre
sentirsi amati
o almeno accolti
occorre sapere
che qualcuno
avrà piacere
quando rientriamo
qualcuno si struscerà
tra muri sporchi
di ricordi
non si può restare
sempre fuori
sempre fuori
mia moglie
ha detto ch’era
venuta l’ora
di vender casa
(esauriti i sorrisi
decimati i baci)
ha venduto al corso
e alla smorfiosa
rifaranno tutto
hanno pretese
e aspettative
intendono soggiogare
la loro vita
la loro
come faccio
senza i tuoi approcci
e strofinamenti
dimmi come mai
mi fai tant’effetto
perché t’amo tanto
tanto tanto
(forse perché sei nera?)
prima del corso
e della smorfiosa
son sfilate altre coppie
con figli e senza figli
facce scaltre
facce coi schéi
(il quartiere ora
ora è di moda!)
miravano dall’alto
le crepe dei muri
i parquet rovinati
le unghiate del tempo
sulle nostre cose
i miei libri
con commiserazione
(un bagno tanto angusto!)
è così la gentrificazione
io ero ancora lì
tra le croste di
di ricordi
sentivo che
sentivo che
durava poco
una di quelle
agguerrite coppiette
coppie ascendenti
(dentini affilati
di squali)
avrebbe comprato
ora toccava a
a loro
loro loro
eh già… loro, pelo morbido lucente, occhi di biglie smeraldine, nel mosaico delle vite paiono una cosa piccola, per molti inessenziale, una tessera minuscola, ma in certi momenti ti accorgi che permette a tutte le altre tessere di stare unite, buone e quiete al loro posto.
I traslochi sono tutti uguali nello svuotarsi malinconico delle stanze, nelle sindoni di mobili e quadri che restano alle pareti, nell’immiserirsi delle nostre quattro carabattole ora tutte ammucchiate in un punto, prima di essere portate via, nella scelta dolorosa di doverne buttare molte, emerse dalle profondità della casa, ma qui, in queste foto del disarmo, non so perchè mi colpiscono molto gli scatoloni cinesi. Unico segno forse di cambiamento… dell’avanzare di tempi e mutamenti.
,\\’
d’accordissimo su entrambi i punti, Orsola, e non si potrebbe dire meglio; io appunto causa spostamenti continui ho dovuto contentarmi delle biglie dei vicini (poi viene detto), e certo, gli scatoloni sono anch’essi globalizzati;
E’ un tutt’uno, compreso il sommesso controcanto delle cose negli scatoloni/globalizzati. Ma sul tutto…le parole. Che nelle lasse o sequenze mi sono parse assai belle, evocative in un sorta di spoglia nuditá. Di questo. Di null’altro.