Post in translation: William Shakespeare

 

 

 

Sette Sonetti

di

William Shakespeare

traduzione di Massimiliano Palmese

 

 

 

15.

When I consider everything that grows
Holds in perfection but a little moment,
That this huge stage presenteth nought but shows
Whereon the stars in secret influence comment;
When I perceive that men as plants increase,
Cheered and cheque’d even by the self-same sky,
Vaunt in their youthful sap, at height decrease,
And wear their brave state out of memory;
Then the conceit of this inconstant stay
Sets you most rich in youth before my sight,
Where wasteful Time debateth with Decay,
To change your day of youth to sullied night;
And all in war with Time for love of you,
As he takes from you, I engraft you new

15.

Se penso che ogni cosa di Natura
resta perfetta solo brevi istanti,
che sulla scena siamo figuranti
a cui le stelle fanno una fattura;
se le creature al pari delle erbe
–  un solo cielo dà e toglie rigoglio –
dimenticando ogni passato orgoglio
si fanno marce, ed erano superbe;
allora so che un’incostante sorte
al primo sguardo ti offre giovinetto
ma che vorrebbe, il Tempo con la Morte,
dare ai tuoi freschi giorni un freddo letto.

Faccio la guerra al Tempo per tuo amore:
più lui ti strappa, io più ripianto il fiore.

 

18.

Shall I compare thee to a summer’s day?
Thou art more lovely and more temperate:
Rough winds do shake the darling buds of May,
And summer’s lease hath all too short a date:
Sometime too hot the eye of heaven shines,
And often is his gold complexion dimm’d;
And every fair from fair sometime declines,
By chance or nature’s changing course untrimm’d;
But thy eternal summer shall not fade
Nor lose possession of that fair thou owest;
Nor shall Death brag thou wander’st in his shade,
When in eternal lines to time thou growest:
So long as men can breathe or eyes can see,
So long lives this and this gives life to thee.

18.

Dovrei dire che sei un giorno d’estate?
Tu sei molto più amabile e più lieve.
Le gemme in maggio al vento van sciupate
e il corso dell’estate è tanto breve,
l’occhio nel cielo a volte scotta alto
che spesso quel suo oro vedi a stento,
e qualsiasi bellezza perde smalto
per caso o naturale mutamento.
Ma la tua eterna estate non sfiorisce
e mai tu perderai la tua armonia:
all’ombra della Morte non svanisce
chi sopravvive nella mia poesia.

E, fin che esisteranno occhi e sospiro,
tu vivo in questi versi avrai respiro.

 

 

 

23.

As an unperfect actor on the stage
Who with his fear is put besides his part,
Or some fierce thing replete with too much rage,
Whose strength’s abundance weakens his own heart.
So I, for fear of trust, forget to say
The perfect ceremony of love’s rite,
And in mine own love’s strength seem to decay,
O’ercharged with burden of mine own love’s might.
O, let my books be then the eloquence
And dumb presagers of my speaking breast,
Who plead for love and look for recompense
More than that tongue that more hath more express’d.
O, learn to read what silent love hath writ:
To hear with eyes belongs to love’s fine wit.

23.

Come a teatro chi è cattivo attore
scorda la parte colto da emozione,
come a una belva piena di furore
viene un collasso al più della tensione,
anch’io, insicuro, non so più affrontare
il bel cerimoniale dell’amore:
come se avessi un sasso sopra al cuore,
al culmine mi sento di mancare.
Saranno i versi miei la mia eloquenza,
i muti messaggeri del mio petto,
preghino maggiore ricompensa
di una bocca che sa parlare a effetto.

È sapere d’amore raffinato
capire un cuore che non ha parlato.

 

39.

O, how thy worth with manners may I sing,
When thou art all the better part of me?
What can mine own praise to mine own self bring?
And what is ‘t but mine own when I praise thee?
Even for this let us divided live,
And our dear love lose name of single one,
That by this separation I may give
That due to thee which thou deservest alone.
O absence, what a torment wouldst thou prove,
Were it not thy sour leisure gave sweet leave
To entertain the time with thoughts of love,
Which time and thoughts so sweetly doth deceive,
And that thou teachest how to make one twain,
By praising him here who doth hence remain!

39.

I pregi tuoi come potrei cantare,
se altro tu non sei che il meglio in me?
A cosa servirebbe il mio lodare?
Farei un elogio a me lodando te.
È un bene se divisi noi si vive,
che il caro amore in due metà si spezzi,
così che io, nel vuoto che divide,
ti possa offrire quello che ti spetti.
O assenza, saresti un bello strazio,
se un vuoto amaro non mi desse spazio
di oziare ragionando sull’amore,
per Tempo e mente dolce ingannatore.

Tu m’insegnasti a vivere sdoppiato
lodando lui, che invece è già passato.

71.

No longer mourn for me when I am dead
Then you shall hear the surly sullen bell
Give warning to the world that I am fled
From this vile world, with vilest worms to dwell:
Nay, if you read this line, remember not
The hand that writ it; for I love you so
That I in your sweet thoughts would be forgot
If thinking on me then should make you woe.
O, if, I say, you look upon this verse
When I perhaps compounded am with clay,
Do not so much as my poor name rehearse.
But let your love even with my life decay,
Lest the wise world should look into your moan
And mock you with me after I am gone

71.

Non mi piangere quando sarò andato,
non più a lungo del tocco di campana
che tetro annuncerà che ho traslocato
da questo mondo ai vermi, nella tana.
L’uomo che qui ti scrive puoi scordare.
Io t’amo così tanto da sperare
di non restarti affatto nei pensieri
se fossero per te pensieri neri.
E, se cadrai lo sguardo a queste rime,
ascoltami: l’amore tuo sigilla,
non rivangare il povero mio nome
quando sarò tutt’uno con l’argilla.

Io temo il mondo, spiandoti, lui possa
burlare te per me, già nella fossa.

 

 

73.

That time of year thou mayst in me behold
When yellow leaves, or none, or few, do hang
Upon those boughs which shake against the cold,
Bare ruin’d choirs, where late the sweet birds sang.
In me thou seest the twilight of such day
As after sunset fadeth in the west,
Which by and by black night doth take away,
Death’s second self, that seals up all in rest.
In me thou see’st the glowing of such fire
That on the ashes of his youth doth lie,
As the death-bed whereon it must expire
Consumed with that which it was nourish’d by.
This thou perceivest, which makes thy love more strong,
To love that well which thou must leave ere long.

73.

In me tu vedi un mese, uno di quelli
quando resistono poche foglie d’oro
sopra il ramo tremante, un tempo coro
dove prima cantavano gli uccelli.
In me tu vedi il giorno discendente
che al tramonto svanisce ad Occidente
e a poco a poco si fa notte e tace:
un’altra morte che dispensa pace.
In me tu vedi il fuoco che si spezza
sulle ceneri della giovinezza,
come se fosse al capezzale, ucciso
da cose che lo avevano nutrito.

Ma tutto ciò più forte fa il tuo amare
per me, che prima o poi dovrai lasciare.

 

90.

Then hate me when thou wilt; if ever, now;
Now, while the world is bent my deeds to cross,
Join with the spite of fortune, make me bow,
And do not drop in for an after-loss:
Ah, do not, when my heart hath ‘scoped this sorrow,
Come in the rearward of a conquer’d woe;
Give not a windy night a rainy morrow,
To linger out a purposed overthrow.
If thou wilt leave me, do not leave me last,
When other petty griefs have done their spite
But in the onset come; so shall I taste
At first the very worst of fortune’s might,
And other strains of woe, which now seem woe,
Compared with loss of thee will not seem so.

90.

Odiami quando vuoi, perché non ora?
Ora che tutto il mondo mi vuol male
aggiungi il colpo tuo alla mia sventura,
ma prego non sia tu il colpo finale.
Tu, se del cuore poi qualcosa resta,
non rivangare la ferita aperta,
non far seguire pioggia alla tempesta,
non prolungare una disfatta certa,
non lasciarmi alla fine del cammino
quando sofferto avrò tutti i dolori:
vieni per primo, lascia che assapori
il peso che ha la forza del destino.

Ogni altra pena non sarà gran che,
paragonata all’aver perso te.

 

Nota del traduttore

La somma di due lunghi apprendistati, quello poetico e quello drammaturgico, ha reso possibile il mio incontro con la traduzione di Shakespeare. Mi ci sono avvicinato quando mi è stata commissionata una versione del Sogno di una notte di mezza estate, poi una nuova veste per Romeo e Giulietta. Sono state per me esperienze laboriose ma felici. In entrambe le traduzioni ho mantenuto la prosa lì dove Shakespeare usa la prosa, ma un irresistibile istinto mi ha chiesto la fedeltà al ritmo dei versi, lì dove i personaggi parlano in versi. Divinità come Oberon e Titania, spiriti come Puck, amanti come Demetrio, Ermia, Lisandro, Elena, Romeo, Giulietta, eroi tragici come Mercuzio, non parlano in prosa, per Shakespeare la lingua del popolo; parlano la lingua del Libro, ovvero quella della cultura e della poesia. La sfida è stata, dunque, restituire a questi personaggi la musicalità dei versi e delle rime: che non sono solo versi e rime ma indici di cultura, consapevolezza, gioco linguistico.

La stessa cultura e consapevolezza del personaggio che dice Io nei Sonetti, del cui lavoro di traduzione presento qui un’anteprima. I temi dei Sonetti – la tragicità della Sorte, la mutevolezza delle cose al pari delle stagioni, la delicatezza del Bello, la Poesia come guerra al Tempo, l’omoaffettività tra adulto e giovane – sono quelli classici della tradizione poetica occidentale, a partire dai lirici greci; mentre il gioco linguistico – complicato, avventuroso, cerebrale – è tipicamente rinascimentale. Un gioco che tradurre in altra lingua è allo stesso tempo pericoloso ed elettrizzante. Ma è un gioco che Shakespeare sembra ancora invitarci a giocare, lanciando ai poeti il suo guanto di sfida da una distanza di quattrocento anni.

 

2 COMMENTS

  1. Il testo originale non é perfettibile ovviamente. La traduzione varia nel tempo. Il traduttore uomo di teatro (e deve essere un piú che notevole uomo di teatro) ha ‘sentito’ Shakespeare, presumibilmente Sakespeare si é fatto da lui sentire, ha optato per la mission impossible, la rima. A costo di sacrificare l’aderenza al lessico. E a mio parere ha vinto. Anche sulle traduzioni di due grandi: Ungaretti e Montale. Ma allora era mezzo secolo fa. Ma quando vi é, in poesia, la triade lessico, assonanze e rima si puó non rispettare in toto il lessico ma, a conti fatti, vale il gioco delle assonanze e la rima. Geniale quindi.

  2. Eppure non poco va perduto dell’afflato originale… Se è ammirevole e commendevole il gioco (e lo sforzo) di rendere in perfetti endecasillabi il contenuto dei blank verses shakespeariani, rispettando in toto la (nostra) forma sonetto, tuttavia mi/ti chiedo se non sia preferibile in simili casi lasciar respirare di più il verso, in rispondenza della sua natura primigenia, senza per forza dover sacrificare anche lo schema rimico.
    Io, con molta probabilità, avrei optato per questo compromesso. Ritengo che lo spirito del testo sia la prima e ultima cosa da salvaguardare in traduzione, finanche a discapito della forma. Ciò detto, non posso che complimentarmi per il lavoro.

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francesco forlani
francesco forlani
Vive a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman e Il reportage, ha pubblicato diversi libri, in francese e in italiano. Traduttore dal francese, ma anche poeta, cabarettista e performer, è stato autore e interprete di spettacoli teatrali come Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, con cui sono uscite le due antologie Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Corrispondente e reporter, ora è direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Con Andrea Inglese, Giuseppe Schillaci e Giacomo Sartori, ha fondato Le Cartel, il cui manifesto è stato pubblicato su La Revue Littéraire (Léo Scheer, novembre 2016). Conduttore radiofonico insieme a Marco Fedele del programma Cocina Clandestina, su radio GRP, come autore si definisce prepostumo. Opere pubblicate Métromorphoses, Ed. Nicolas Philippe, Parigi 2002 (diritti disponibili per l’Italia) Autoreverse, L’Ancora del Mediterraneo, Napoli 2008 (due edizioni) Blu di Prussia, Edizioni La Camera Verde, Roma Chiunque cerca chiunque, pubblicato in proprio, 2011 Il peso del Ciao, L’Arcolaio, Forlì 2012 Parigi, senza passare dal via, Laterza, Roma-Bari 2013 (due edizioni) Note per un libretto delle assenze, Edizioni Quintadicopertina La classe, Edizioni Quintadicopertina Rosso maniero, Edizioni Quintadicopertina, 2014 Il manifesto del comunista dandy, Edizioni Miraggi, Torino 2015 (riedizione) Peli, nella collana diretta dal filosofo Lucio Saviani per Fefé Editore, Roma 2017