Dolore minimo

di Giovanna Cristina Vivinetto

 

La prima perdita furono le mani.
Mi lasciò il tocco ingenuo
che si addentrava nelle cose, le scopriva
con piglio bambino – le plasmava.
Erano mani che non sapevano
ritrarsi: mani di dodici anni,
mani di figli che tendono al cono
di luce – che non sanno ancora
giungersi in preghiera.
Mani profonde – come laghi
in cui nessuno verrebbe a cercare,
mani silenti come vecchi scrigni
chiusi – mani inviolate.

La prima scoperta furono le mani.
Ricevetti un tocco adulto che sa
esattamente dove posarsi – mani
ampie e concave di una madre
che si accosta alla soglia ad aspettare;
mani di legno e di fiori
di ciliegio – mani che rinascono.
Mani che sanno aggrapparsi anche
all’esatta consistenza del nulla.

***

La seconda perdita fu la luce.
La malattia mi tolse la vista
dei campi abbacinati dal sole,
la trama arsa e viva dei litorali
siciliani dei miei tredici anni.
Passai quegli anni tra i fili
di panni stesi divorati dal sole,
vasi sbriciolati di terracotta
dove steli di basilico e lavanda
si inerpicavano verso la linea
del cielo – quasi a raggiungerla,
a toccarla. La luce era tutto.

La seconda scoperta fu la luce.
Non la luce che accende i terrazzi
né quella che assottiglia le strisce
di costa, ma la luce delle case
al tramonto – che si mischia all’ombra,
la luce setacciata dall’intreccio
dei rami e quella che si schiarisce
a fatica dopo un temporale
– dopo un grave malanno.
Conquistai la luce intatta dei corpi
vergini – delle fonti d’acqua
perenni che nessuno sa.

 

***

La terza perdita fu il perdono.
Avrei voluto scusarmi per i toni
accesi verso il tuo non comprendere,
la rara gentilezza dei miei
quattordici anni quando parlavi
senza premesse. Ma la colpa
non era di nessuno: non era tua
che mi indicavi il corpo e mi dicevi
di stare attenta, che non sarebbe stato
facile – non era mia che non riuscivo
a perdonare il tuo insinuarti
maternamente tra pelle e nervi
a scovare tutte le incertezze, gli stalli
che a quel tempo non avevo.

La terza scoperta fu il perdono.
Quando fui grande abbastanza
per capire cosa volesse dire
essere madre, un perdono tondo
e commosso provai per te, e provai
per le altre donne-bambine come me
e lo provai per me, che tenevo
fino a quel punto il filo rosso dell’infanzia
e da un giorno all’altro, adultamente,
non tenevo più.

 

*Le tre poesie sono tratte dal libro Dolore minimo in uscita il prossimo aprile nella collana Lyra giovani (diretta da Franco Buffoni) per l’editore Interlinea

 

2 COMMENTS

  1. Semplicemente fantastica… Parole che lasciano il segno e, come musica, ritornano in mente continuamente

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mariasole ariot
mariasole ariothttp://www.nazioneindiana.com
Mariasole Ariot (Vicenza, 1981) ha pubblicato Anatomie della luce (Aragno Editore, collana I Domani - 2017), Simmetrie degli Spazi Vuoti (Arcipelago, collana ChapBook – 2013), La bella e la bestia (Di là dal Bosco, Le voci della Luna 2013), Dove accade il mondo (Mountain Stories 2014-2015), Eppure restava un corpo (Yellow cab, Artecom Trieste, 2015), Nel bosco degli Apus Apus ( I muscoli del capitano. Nove modi di gridare terra,Scuola del libro, 2016), Il fantasma dell'altro – Dall'Olandese volante a The Rime of the Ancient Mariner di Coleridge (Sorgenti che sanno, La Biblioteca dei libri perduti 2016). Nell'ambito delle arti visuali, ha girato il cortometraggio "I'm a Swan" (2017) e "Dove urla il deserto" (2019) e partecipato ad esposizioni collettive. Ha collaborato alla rivista scientifica lo Squaderno, e da settembre 2014 è redattrice di Nazione Indiana. Aree di interesse: esistenza.