Era la guerra
di Fabio Chiusi
Come ti avvero
nulla. Come ti posseggo
nel nostro cercarci oltre le frasi
è forse una gura che brilla
oltre noi, è forse una voglia
irraggiungibile, una veduta:
potresti domani avere pace?
Oppure non servirebbe a contenerla, materia
che si nutre di te; di questo, purtroppo, ho parlato
e non risponde una voce, non di questo scaffale
dispongo, me ne addoloro: non posso inverarlo.
Ma se siamo desiderio e preghiera,
se miserabili e possenti per tutta la potenza delle mani
appresa da chi con altre, più forti,
ha violato il possibile
lascia sia vero il riposo, vera
la benedizione.
scura nell’abito, di inseguimento parziale:
di te che spegnendoti cerchi e al contempo
chiedi di scappare oltre il tuo fiato,
oltre la corsa che ancora potresti produrre.
Mancano giorni o forse anni, o forse ancora
il tempo ti conduce senza fermate
all’abisso: veste, in quel caso, l’abito nero di tutti
i giorni che perderemo; sono cerimonie
per ciò che non avrai, formule per la memoria
e il pianto? L’abisso che ho chiesto in un gesto
è arrivato, era troppo l’amore, era troppo
ciò che, creando, ho scatenato.
E un sorriso confonde
col tracciato esile della tua anima
il buio e il tempo.
sento il ricordo del calcolo temporale:
era forse un giorno d’estate improvvisa,
di quelli che sorprendono come il tuo male:
il riempire d’impegni l’agenda e raccogliere,
in poche parole, un senso millenario
per la nostra fragilità: «a me piace far niente»
«anche a noi scatta nel cuore un serraglio».
E, come ogni volta, il poggiarsi delle maree
bagnava i passi residui verso casa per solamente
risvegliare un più assurdo deserto, fatto
dei passi futuri che ancora avrò tempo di spendere
mentre tu come me, annoti la distanza coperta
dai cocci del calice infranto.
Viaggeremo nella confusione, tra porte che sbattono
e altre che avanzano memoriali bruciati,
sempre tra loro coordinate, sempre spazialmente
disposte a ventaglio, per raggiungerti la fronte
di te medesimo, libero come l’arco infinito,
come il libro che si crede mondo?
Permettimi di aprirlo tra le tue mani
ora che sei disposto a generazioni ulteriori,
e guardo la pace del prato come potesse contenerti,
sciocco; permetti che in essi conduca
un gesto d’amore sopra il tuo amore ultimo,
che spinge nell’odio la vita, che della vita stessa
è rifiuto, incapace com’è di amarti così ribelle,
così caduta, interamente.
*
Era la guerra, Internopoesia, Interno Libri 2017