Il sogno politico di un’azione poetica: su “Sonnologie”
di Gianluca Garrapa
(Se ti pare di scorgere una qualche opacità nella lettura delle poesie di Sonnologie, tale difficoltà di intendere immediatamente le immagini di questa scrittura, è da ascriversi al soggetto-cittadino stesso che ne ritrae in scrittura-contro-politica l’operazione politica della dissocietà del mediale quando cerca di colonizzare l’inconscio con savoir faire subliminale.)
Sonnologie è l’ultima raccolta poetica di Lidia Riviello, postfazione di Emanuele Zinato, edita del 2016 per Zona contemporanea.
Sonnologie, i cui versi qui compaiono in corsivo, procede con un andamento onirico e racconta il plagio globale e l’asservimento mentale dell’individuo comune alla violenza subliminale del sistema socio-politico. La scrittura è un vero e proprio esercizio mentale che pare dire: vedi? È questa la lingua dei sogni indotti dal capitalismo che respiri.
Non è forse un continuo sogno, o forse incubo, a occhi aperti, quello che ci troviamo costretti a vivere giorno per giorno? Sogniamo per voi! l’addestramento al sonno / un’attività che può dirsi del momento // ma nel bosco si fa fatica a convincere tutti / dell’infondatezza di un qualsiasi prodotto / pensato per il suo tramonto.
E come è importante ‘del momento’, una poesia che rinunci all’universale, al lirismo nostalgico, o alla profezia che non sia l’avverarsi del presente nel futuro. Una poesia politica da rintracciare nel momento, che non è nemmeno situazione, o situazionismo, ma lo supera. È il momento adesso di risvegliare coscienze. Perché forse l’istituto vuol riproporci memorie sfalsate e impedirci i giusti ricordi. Ricordiamo per voi! Un’indeterminata genìa di ricordi pone così un problema / di arredamento forzato della mente.
Eppure il passato torna in qualche maniera nella manipolazione dei sintagmi e delle parole: una certa insofferenza petrarchesca, nello sguardo torna a splendere / il canzoniere di petrarca, la banalità del male di Hannah Arendt torna: il soggetto e l’oggetto resistono alla banalità del mare, e guarda caso, a privilegiare la dimensione geometrica del sogno torna un richiamo al Quattrocento: andrea mantegna non viene esposto / per un equivoco fra prospettiva e / orizzonte di attesa. Nomi che tornano a contornare il vuoto però e per un equivoco, come la musica dei grandi classici a pubblicizzare l’effimero del consumo.
La processione delle immagini: i farmaci sono immagini, le televisioni sono immagini, il sogno è un’immagine, ma di altra natura, espansione biologica della saggezza primigenia: nessuna produzione li riguarda, / le immagini vivono di continuo, oggetti da regalo,/ sospese nel dossier del tempo libero: e si progetta, gettando alla mercé della merce, ogni possibile buco. Ogni beanza del libero pensiero. Del tempo, poco, che ci è concesso fuori dal lavorio sistematico del sogno globale a renderci marionette. Alla base, infatti, dell’interpretazione possibile del sogno di Sonnologie, non pare esserci più il libidico e desiderante Freud, quanto il geometrico e rivoluzionario Finzi che in un suo recente testo, Le giunture del sogno, chiarisce come i sogni si incontrino tra loro nella modalità dialettica e non tanto come espressione di desideri reconditi insoddisfatti, che il sogno sia un linguaggio e abbia una struttura autonoma, che i sogni, infine, ci sognino, tanto che il finale è una critica all’interpretazione dei significati e un chiarimento, invece, sull’uso e non sul significato dei sogni.
Eccoci allora nell’istituto che provvede a confezionare i sogni del capitale. A guidarci in macchine da fantascienza reale: la seconda parte della raccolta è tutta per Sebastian Thrun, (copio-incollo da Wikipedia): “Waymo (ex progetto Google driverless car) è un’impresa di Alphabet che utilizza la tecnologia per creare autovetture autonome. Il progetto è attualmente guidato dall’ingegnere Sebastian Thrun, direttore del Laboratorio di Intelligenza Artificiale Stanford e co-inventore di Google Street View”: resta accesa la mail di sebastian thrun quando il cliente disorientato / cade. È qui, in questo scenario fanta-onirico che la coscienza individuale cova il suo desiderio di ritorno beato al grembo materno che per assurdo segna la sparizione di ogni madre, di ogni donna: si raffigura nel binocolo il naufragio del materno, all’utero calmo e rassicurante, il dissimile è annientato, è tutto voluttà mortale, nessun pericolo, vegetale alimentato dal liquido amniotico: dentro la cabina di guida / nessuna curiosità per l’assenza dell’uomo al motore.
Linguaggio da chat, mail, tag, si fa presto a sostituire questo trattato visivo, / la ventraia dipinta in un angolo della sala / con il panorama delle Seychelles / taggato alle spalle, post, IA, televisione: non può non ridirsi il linguaggio di questa dissocietà del mediale: in essa la poesia, per essere politica, si fa atto poetico e linguistico, si fa virus e spin: si abbarbica nel sistema linguistico dominante contraffacendolo, lo colonizza e lo giustifica allo stesso e opposto modo dell’azione sistematica che colonizza il nostro inconscio attraverso innesti mentali inconsapevoli: ingenera paure, sospetti, sospensioni. Una guerra tra poveri in spirito e in inconscio, bramosi di una misera ricchezza da pane quotidiano: alla battaglia si va senza metodo, souvenir si chiama / la piaga o la pratica del sistema.
La poesia di Lidia Riviello appartiene, ci par di capire, a quel genere di poesie del dopo-la-poesia (secondo la formula del teorico francese Jean-Marie Gleize citato da Christophe Hanna in un suo saggio estratto da Poesia azione diretta. Contro una poetica del gingillo, a cura di Michele Zaffarano e Gherardo Bortolotti), una poesia che scrive delle e nelle mutate condizioni bio-tecnologiche e mediatiche, poesia che si colloca oltre la lirica, inscenando il disagio degli utenti attuali di fronte all’informazione disinformata. Non lettori, ma utenti. Che usano, usati, abusati.
Sonnologie, oltre a una fondamentale etica di fondo, restituisce un estetico affresco alla David Lynch, che non può evitare di affascinare per l’assenza dell’invece intramontabile narcisismo che accompagna gran parte della produzione letteraria e artistica attuale. Chi è il soggetto che scrive Sonnologie? Noi, la collettività, perché i sogni, per tornare al saggio di Finzi, sono comunisti, non hanno nulla di individualista.
Semmai l’individualismo è quel terreno fertile che l’istituto socio-economico globale coltiva per instillare bisogni da soddisfare come fossero realtà naturali intrinseche al biologico: l’istituto chiede di amministrare mitologie utili per questo sistema.
Eppure, nonostante sia fuori da ogni lirica, v’è una metrica propria alla poesia di lotta e desiderio di Lidia Riviello, una sorta di energia che alberga in corpi criogenati e pronti a risvegliarsi in un ambiente teatrale. Se per teatro intendiamo il luogo del vedere oltre, se poi, soprattutto, come scrive uno dei titoli del decalogo in corsivo: la performance divora l’azione politica.
La poesia, che per una sorta di idealizzazione muti lo stato mentale del lettore, non è un gioco di prestigio, ma lo specchio poetico infranto della coercizione politica di plagio continuo che divide la verità. Non possiamo non scorgere in Lidia Riviello quell’aspetto poetico di cui parla il succitato teorico francese Christophe Hanna sempre nel suo saggio (Poesia azione diretta): l’autore-P’, invece, non vive in UNA lingua (o in una lingua unificata), ma vede o immagina di vedere dispiegato di fronte a sé un mondo in frantumi e costituito da molteplici linguaggi, tutti artificiali, di cui, nella sua stessa pratica, sperimenta l’incommensurabilità logica.
Le scene del sogno poetico di Lidia Riviello sono la denuncia e l’annunciazione laica del procedimento segnico del potere: spezzoni di notizie a raffica che bombardano il cervello semisveglio. Se ci svegliamo, come lettori e come cittadini, non possiamo che annotare il blog informatico e virale della disinformazione cronachistica: nel supermercato della morte, della violenza, delle carni squarciate, informare è solo un modo di anestetizzare e abbruttire, il mimetismo non avviene per accostamento alla sostanza saggia della parola, ma per occultamento della medesima dietro la maschera dell’immaginario supposto collettivo. Immaginario inoculato fin dalla nascita come secondo linguaggio del potere, che però, se non fosse per la portata rivoluzionaria della poesia, sia essa in prosa che in versi che in silenzi e spazi, se non fosse per l’azione disobnubilante della parola, scambieremmo per nostro proprio immaginario e se la folla si assoggetta completamente il mare non calmerà il cane / mentre dorme.
A fronte della informazione che allucina le coscienze, la parola di Riviello scardina le pretese invasive e colonizzatrici della giornalistica e della pubblicistica estetica e glam, per ristabilire l’etica. Occorre un valore simbolico riconosciuto dagli altri utenti per far arretrare questa occupazione illegittima del potere nelle nostre menti. Non dissimile è l’idea freudiana di sublimazione artistica per i fatti artistici riconosciuti socialmente. E chi o cosa, più del sogno, è collettivamente riconosciuto come forza probante dell’immagine-parola legata al profondo desiderio? si tratta però di concepire un sogno che ci sogna e non che provenga da chissà quali dei, ma dai demoni dell’impazienza oppressiva che altro non ci augurano di dormire lunghi sonni privi di volontà e rappresentazione.
Dunque una lotta di parole e di atti che Lidia Riviello, come ogni poesia attuale e dell’atto vorrebbe, non rassegna al silenzio o al copia-incolla, all’imitazione mimetica del maestro, tipica di certa soporifera poesia epigonale, semmai poetica posturale della mente e del pensiero, del movimento corporeo e dell’atto politico.
Intanto, in questo irrefrenabile vuoto, galleggia un mondo che non potremo più trascrivere, la mancanza di coscienza di molti, e il distacco dalla realtà, o meglio dal reale, sta predicendo forse un futuro peggiore, un domani di continua neve, un disturbo universale.
Testimoni noi di un fracasso che verrà nell’insensibile indolenza dell’individuo-immagine: resta sul punto lacrimale la rimessa in moto d’uno stupor per ora / appena sgranato. Ma anche testimoni del nostro stesso atto di resistenza, magari minimo, eppure sempre critico e presente: la lettura, la poesia.