Poesie da “L’origine” di Domenico Cipriano

(per Sofia)

C’è sempre un risarcimento
un ciottolo di selce levigato
una disposizione del carbonio che scintilla
o il fuoco addomesticato
a sedimentare la memoria del cosmo. L’istante
dove spunta l’inizio dei pensieri
la nascita.

Ci saranno dissolvenze, la grazia di frammenti
provenienti da lontano, nelle foto
nei diagrammi dei ricordi. Solo una scena si ripete
sbucando da un’epoca scolpita
nel tepore di un’auto in partenza, in un viso trasformato.

Un dettaglio marginale – sepolto o inaccessibile –
che compensa l’angoscia
la distanza sconfinata dalle stelle.

***

Per legge fisica e per dinamica del tempo
dovrà accadere che questo sterminato fiorire di stelle
verrà a riflettersi nel vuoto oscuro
restando sottopelle. La singolarità delle parole dette

riaffiorerà – insieme ai silenzi laboriosi –
dalla polvere smossa dei deserti
con una presenza che affollerà la mente
più di ora che il respiro ci fa forza.

Un nome circonderà le soste
e i segni sulle pietre rimosse
saranno dilatati, restando ai margini dei volti.

Ci stringeremo in un più breve spazio
e violeremo la nostra segretezza
cercando l’eterno
in ogni fotogramma del ricordo
nell’indaco del cielo che si rinnova agli occhi.

***

(per Maria Teresa)

Ti invito a pensare al microcosmo degli eventi
come induzione della vita
e se l’estensione svilisce
reclamane la forma nelle tue azioni giornaliere
e il taglio netto dello sguardo sulle cose.

Hai mura spesse
che ti vincono e proteggono,
tutti i sogni ciclostilati in questi oggetti
(dalle giunture perfette) sbiadiscono
se arrendi i tuoi pensieri e le parole.

Sei noi
scaraventati dal temporale,
la grandine che ha reso i suoi fregi alle piante
e spezzato i fiori.
Cerca – nell’acqua fragile – l’amicizia del sole.

***

Nota critica di Salvatore Ritrovato

Domenico Cipriano, L’origine, L’arcolaio, Forlì, 2017 (su: PUNTO – Almanacco di Poesia, 3 gennaio 2018).

Quello che mi ha da sempre colpito della poesia di Domenico Cipriano è la sua versatilità, una dote non comune fra i poeti di oggi. Versatilità soprattutto formale, che non discende da una indecisione stilistica, bensì dal dubbio che la poesia non debba inseguire il verso, se mai il contrario. Rispetto a Novembre (Transeuropa, 2010) e a Il centro del mondo (Transeuropa, 2014), alcune delle più importanti raccolte di Cipriano, L’origine (L’arcolaio, Forlì, 2017) spicca per una più marcata estensione della sonorità timbrica del verso che non si appaga più di misure metrico-ritmiche fisse e regolari, ancorché chiuse, e predilige invece il taglio obliquo, sghembo, di una voce che si ferma e ricomincia proprio nel punto in cui l’immagine, quale si snoda nel verso, ad ogni ripartenza fino all’a-capo, libera ormai lo slancio lirico.

Ne deriva una “forma-testo”, per questa nuova raccolta, che non possiamo dire del tutto inedita nella poesia di Cipriano, dal momento che si apparenta, almeno nella costruzione del fraseggio, a quella della musica jazz, le cui forme compositive, di là dai differenti generi – sia qui lecito semplificare – si caratterizzano per una sviluppo della linea melodica fra sincopi ed extrasistoli, e per quella capacità propria di improvvisare di volta in volta (ed è qui il senso di libertà che esso procura) un’idea musicale. D’altronde, Domenico Cipriano, cultore di musica jazz, da molti anni è impegnato a esplorare la frontiera tra poesia e musica con varie formazioni di jazz-poetry, in particolare il progetto JPband, insieme al musicista Enzo Orefice e all’attore Enzo Marangelo, con i quali ha realizzato il CD JPband: le note richiamano versi (Abeat records, 2004). Non saprei dire quanto questa esperienza abbia influito sulla poesia di Cipriano, e non credo sia necessario in questa sede stabilirlo; senz’altro, i brani concepiti per JPband rispecchiano la costruzione di un “assolo” con note e sillabe legate tra loro, secondo un preciso sistema di rispondenze, in una nuova avvolgente forma-testo che si protende, come ora dimostra L’origine, ad accogliere il mondo nel suo «intimo inizio», ovvero con uno sguardo in grado di coglierne l’incanto “incipitario”, ancorché disposto a non sottovalutarne gli aspetti meno appariscenti, i dettagli più nascosti, e insomma a restituire la realtà (ricordi, episodi, incontri) nella sua articolata e non di rado sottovalutata complessità.

Lirica? Sì, una lirica da eseguire sulla traccia – come avverte l’autore nella Nota al testo – di brani jazz (citati in apertura alle tre sezioni) che danno il la ideale alla lettura, senza forzarne la lettera: una sorta preludio emotivo che la parola assorbirà nella sua ostinata calorosa fiducia, traducendolo in un segno orfico di salvezza («Di ogni gesto di delicatezza o gemito / scegliamo la grazia per ricondurci al mondo»).

3 COMMENTS

  1. Schivo. Ho conosciuto un “poeta”, mi ha dato dimostrazione di essere un arrivista. Poeta non è chi pubblica e aspira al successo, poeta e’ chi lo è con cuor sincero, anche nel silenzio.

    • Buongiorno Sergio. Leggo il tuo commento sotto le mie poesie. Non capisco il senso del tuo post… e a chi ti riferisci…

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mariasole ariothttp://www.nazioneindiana.com
Mariasole Ariot (Vicenza, 1981) ha pubblicato Anatomie della luce (Aragno Editore, collana I Domani - 2017), Simmetrie degli Spazi Vuoti (Arcipelago, collana ChapBook – 2013), La bella e la bestia (Di là dal Bosco, Le voci della Luna 2013), Dove accade il mondo (Mountain Stories 2014-2015), Eppure restava un corpo (Yellow cab, Artecom Trieste, 2015), Nel bosco degli Apus Apus ( I muscoli del capitano. Nove modi di gridare terra,Scuola del libro, 2016), Il fantasma dell'altro – Dall'Olandese volante a The Rime of the Ancient Mariner di Coleridge (Sorgenti che sanno, La Biblioteca dei libri perduti 2016). Nell'ambito delle arti visuali, ha girato il cortometraggio "I'm a Swan" (2017) e "Dove urla il deserto" (2019) e partecipato ad esposizioni collettive. Ha collaborato alla rivista scientifica lo Squaderno, e da settembre 2014 è redattrice di Nazione Indiana. Aree di interesse: esistenza.