Da “Sinopia” (e dintorni)
di Luigi Severi
[con una nota finale di Andrea Inglese]
mestiere dopo mestiere, ha tracciato
confini con il dito
(storia del bianco, dice,
che è un volo più perfetto,
dove la fiamma danza, a bassitudini
immaginiamo il cerchio:
per cominciare, dice, tra parentesi, riponendo con ordine gli ultimi tre
bicchieri di cristallo:
sempre stata così (dice ancora, poi sputa)
la storia delle cose:
parte, riparte, emula / da questo stesso punto / snoda riannoda
snida particole, dal nero – non più di due o tre
per cominciare
⁂
sembriamo in ascolto, lei sale sul mio gradino
e ridiscende: per un attimo, quel braccio
un primo incontro. questo era ritenuto accettabile, ricordati l’origine,
del tutto regolare (Pietà del mondo, ecc.), ma: ti ho vista in sogno,
con certe labbra nere, sopra il gorgo. se necessario, in ogni donna, a essere
più chiari / dove bellezza giace: per conservare al meglio, vetro resina
o anche, un sale che pietrifica, scarnisce, resistenza meccanica, e una luce
sufficiente a non urtare, in piedi, faccia a faccia: la sclera, bianco
dell’occhio, liquido per lo sguardo: per il resto, ricordati appena
amore è troppo giovane (c’è scritto) per sapere, e occorre una materia
resistente, limatura di vetro limatura di ferro, carta da filtro / evitare
assolutamente l’ingestione: per mettere in polito
(l’incanto delle braccia e delle voci, comincia a piovere:
da adesso tutti quanti in posizione
⁂
con certi gesti, a secco, con certe
soluzioni di luce a metà
alla fine ci siamo: due figure in piedi, che si incontrano,
le mie parole lisce nella sua mente, e senza dire, piccole pietre levigate,
il suo corpo indolore, di lei tutta in un passo, un quasi
fiore: blocca di più, concentra le risorse: la bella mano, ecc.
Così camminava davanti a
Così si avviava con semplice fierezza
Così restava immobile, libera da (fino a che morte
cessava il vento vivo, ora scolpito, perenne
in un panneggio
⁂
(ora consuma a festa, asciugati la bocca, poi più tardi,
quando intorno le voci (di quel cane paziente, quella donna
che non si scalmana, riconta i ragni rossi, sei sette dieci mille,
non li schiaccia) scegli bene il frammento, convoca, cogli le tracce
che hanno intriso la crosta, riproduci l’incontro, il fermento,
la polvere di ferro, il cretto, i colpi, e tutta quella vita
iugulata – appesa un’ora al gancio a dissanguare
⁂
aghi, resti di corteccia, terra e ghiaccio: trovi sempre quella scritta
nelle cose in frantumi. stare fermo è respirare cinque volte di più
(alle sei del mattino del 20 marzo, kartoshka / nota
sui problemi di traduzione:
ma il terreno ha memoria corta, la traccia premuta
scivola in un sorso, teneramente addentro
(mi ricordo più avanti quelle voci: si ammazza
troppo poco, che riuscirò a vendere la merce, riabbracciare presto
e attestarsi in file precisamente allineate, la cosa interessante è che la terra
continuò a muoversi per qualche giorno, come se qualcosa da sotto
(per le mani. facendo ciondolare la testa. così, da un lato, ora dall’altro. poco
tonfo. sboccerà meglio in foglia: è dimostrato
⁂
le ripeteva, ansando: tu
prega con più attenzione, la mattina quando
ti chini a dargli un bacio, quante
premonizioni, più fluido il gesto, armonico, e se anche sembra,
una di quelle mattine, poche ragioni, poche
razioni, tre candelabri, il gradino mancato,
il fumo il fuoco rapido lo sfiato, per cui quell’aria bianca,
vedendo un ragno al centro, per es., un’ala di piccione
sull’asfalto, quel verme tra miliardi tagliato bene in parti
tutte ugualmente vive, e le mandibole, tante feste di bocche
in un centimetro, cellule cellule cellule, fatiche di micrometri,
corse, rese, flagelli, dentro un covo, una spianata nera di
millimetri infiniti – bisogna saper pregare, dentro spianate nere,
anche un bagliore, riconoscere un amen – senza chiedere quanto,
(così, bene) sai come, eppoi, disabitando –a cinque o a cento anni,
e un giorno, quattro ore, e cammina cammina, sopra prati, da arare,
da rivestire, cogliendo fior da fiore, fino a quando, presso le acque di,
ma molto fredde, gelate da dicembre, (leggo scritto), portata
alla foce 450 m3 / s – pensa, fino a dove – si tratta di marciare sulla linea,
evaporare col garbo che, ma senza odore / este moartea, moartea, fără altă vină
decât aceea de a fi evrei (Filderman, 11 ottobre) – pseudomorfosi del
troppo salvato – prega però con più attenzione – nei
millimetri
⁂
Qui non è più questione
altro che di perimetro,
di posti in piedi, posizioni su carta
procedi allora così: togli anima allo spazio,
sottrai il rodio apocalittico, il passo presuntuoso delle piante
muoviti in un assedio rigido, composto,
non un grano che voli, o venti lievi
ma un’ipotesi assoluta di
(se cerchi bene, in quello sguardo annunciato, dietro le lenti
l’ossessione gracile della speranza
vivevano sotterra come formiche (v. 453
Introduzione, traduzione, note.
Coi frammenti
⁂
tutto quel pullulare, nascono in forma e rientrano
nel taglio della terra, che inghiotte e si gonfia, di corpi e vanno in fila
raccontando al giudizio: quante voci
fatte e disfatte, innocue, tutto quel gorgheggiare
di corpi esaminati sul pendio, nervi, epiteli sfoderati, osserva
giunzioni, connettivi, fibre, placche – tutto rientra in frammenti
dallo stesso taglio, beve la terra, succhia dallo scarico, placido
scolatoio, ringloba il frattanto, le tutte quante storie,
aduna bocche e denti
in un quieto perfosfato, utilizzabile fresco, zero scorie
(al centro la cattedrale, pezzi di
[…]
camminiamo su tele
di tegumenti, tegole, corpi abbracciati, armati
(vedi il nibbio posare, dopo preda
rametti terra e lana, un lento sonno
⁂
ai particolari occorre più attenzione
ai gradi del nero: somma di tutto o sua sparizione
(libro, elsa, geometria impeccabile: più altero
(genesi in immersione:
ridurre forse al vero
ma anche: «siederò come un vecchio re in un dramma
all’antica» (an humorous day’s mirth, scena II), senza altri re consiglieri nessuno
e io sottostò perché ho quattro pareti,
quattro passi da ripetere intorno al punto,
per questo bastano piccoli fatti come: inquadratura stretta,
volto sottile, porta socchiusa, legno di noce e
particolarmente belle le impiallacciature ottenute con le parti basse (calcio di noce) e in prossimità delle radici
⁂
dal legno filtra, scricchiola il ponteggio sotto l’inchiostro bianco
della luce, si sentiva uno fredo velenoso, e ancora
nelle vertebre del sonno
penetra quieto il veleno
subito a lato della bufera
ecco la stanza vuota, ancora più vuota
dell’ultima volta: puoi osservare:
impasto di colla animale e gesso, una tavola di pioppo,
poche setole per le finiture, un piatto solo,
detriti talmente piccoli, a milioni, e pulviscolo, come dopo
l’esplosione / fu bellissimo dì e fe’ la luna: però quei sette gradini
da scendere, e dentro la torba potresti trovare:
fili di sottoveste, fibre
di carta (parole), sicuramente qualcuno dei tuoi capelli di ieri
(ti svegli, da cosa?
⇔
Leggere Luigi Severi
di Andrea Inglese
Luigi Severi è un poeta ancora da leggere, pur essendo al suo terzo libro. Io per primo, che scrivo, sono colpevole di questo ritardo, ma ne è colpevole, in parte, anche Severi stesso. Potrei attribuire questo ritardo dei lettori di poesia nei confronti di Luigi Severi a un tratto caratteriale dell’autore che, a differenza di molti di noi, non è entrato nel risibile e assillante mondo dell’autopromozione permanente. Autore discreto, appartato, si dirà. Io preciserei: scrittore tremendamente indaffarato, soprattutto, tra lavoro, famiglia e studi non finalizzati. Sì, certo. Lo si vorrebbe più presente, data la ricchezza della sua strumentazione culturale e l’autonomia del suo giudizio. La colpevolezza di Severi, però, dipende anche dalla densità e dalla non facile classificabilità del suo lavoro poetico. Invito, dunque, partendo da questi testi, che in gran parte appartengono a Sinopia, libro inedito che si è aggiudicato il Premio Lorenzo Montano di poesia nel 2016, invito – dicevo – a realizzare un percorso retrospettivo di lettura, che prenda in considerazione anche i libri precedenti: Terza persona (Edizioni Atelier), libro d’esordio del 2006, e Specchio di imperfezione / Corona (Camera Verde) del 2013. Si scoprirà una ricchezza di temi, figure, forme (e una finezza di tono) quasi stordente. Innanzitutto, fin da Terza persona, non prende la parola l’io del poeta – più o meno autobiografico – ma una quantità di voci che cercano di parlare attraverso la storia. Con ciò non intendo dire che le voci delle sue “terze persone” parlino grazie alla storia, utilizzando le nozioni storiche che permettono di individuarle; queste voci cercano di parlare malgrado la storia, come si cerca di parlare “attraverso un muro”. E io sento bene che in Luigi Severi circola da qualche parte, ben viva ed elaborata in profondità, la lezione di Giuliano Mesa. E forse è a questo che bisogna guardare: come già in Mesa, la storia è portatrice di necessità, violenza, disordine, ma nello stesso tempo non c’è voce che possa rivendicare un proprio timbro, un proprio gesto di petulanza, e quindi di contraddizione viva, se non a partire dal peso delle circostanze che tendono a uniformare i destini, a piegarli a esigenze più generali. Nella storia sempre ricadiamo, nei suoi eventi e crimini incancellabili, ma la storia chiede di essere ogni giorno riscritta e liberata dalla sua fatalità. E la straordinaria cultura di Severi è tutta orientata non a santificare l’archivio, seguendo la pulsione feticistica dell’erudito, ma a liberarlo, a sottrargli schegge di discorso da rianimare, portandole altrove, dentro contesti differenti, mescolando tempi e spazi, in modo da fornire a loro una sorta di secondo tempo di parola, fuori da quello a cui l’archivio storiografico le ha consegnate. Quest’operazione è una delle cose che la letteratura, e la poesia in particolare, può ancora fare, è in grado – nel migliore dei casi – di fare, anche se tutto ciò può toccarci forse molto poco, noi che siamo impiombati nel presente, anzi nell’attualità. C’è senz’altro una straordinaria presunzione, nella volontà di far parlare i morti, d’altra parte è una presunzione antica quanto la letteratura stessa. Bisogna semmai chiederci quanto Severi sia efficace nell’esercizio, e perché mai noi si sia comunque coinvolti da esso. Nel suo secondo libro – un dittico – Severi fornisce la parola alla mistica duecentesca Angela da Foligno in Corona e a un Tartaglia plurimo (Ferdinando Tartaglia, matematico novecentesco e sacerdote scomunicato, Niccolò Tartaglia, matematico cinquecentesco che per primo utilizzò il volgare nei suoi trattati, e il Tartaglia della Commedia dell’Arte, una figura di servo insolente) in Specchio di imperfezione. Rispetto al primo libro, Severi perde cantabilità, soprattutto in Specchio di imperfezione, dove la dizione si fa più convulsa e spezzata. Certi componimenti, con strofe compatte di 15-20 versi, sono veri labirinti, costruiti più attraverso una tecnica dell’intarsio che del montaggio modernista. Nelle sezione dedicata, invece, ad Angela da Foligno, abbiamo strofe e versi brevi, piccole litanie inframezzate da strozzature e silenzi. Già in questo libro si prepara il lavoro sui tessuti di materialità che dominano i componimenti di Sinopia, gremiti come altrettante Wunderkammer di oggetti, frasi, figure. Le singolarità meravigliose lasciano però il posto a sedimenti storici, variamente solidali tra loro non per articolazioni narrative evidenti, ma per giustapposizione e accumulo. A questa passività dell’enunciazione poetica, che sembra “ingombrarsi” di materiali eterogenei, risponde però un movimento ritmico, che separa e spazia, che interrompe e ritaglia. Sotto la spinta di questo doppia istanza, si organizza una dizione controllatissima, nitida e enigmatica al tempo stesso.
A questa, che non è una nota di lettura, ma una semplice esortazione a procurarsi e a leggere interamente il lavoro poetico di Luigi Severi, aggiungo due dati desunti dal dialogo con l’autore stesso. “I testi editi di Sinopia, unitamente a un’equivalente (per numero) quantità di testi mai editi, andranno a comporre un libro diviso in cinque sezioni.” Dei testi qui presentati, tre fanno parte della serie ancora inedita (“mestiere dopo mestiere, ha tracciato”; “aghi, resti di corteccia”; “dal legno filtra, scricchiola il ponteggio sotto l’inchiostro bianco”). “I testi sono dialoghi con tele di quel genio di Pontormo” e anche con la sua vicenda autobiografica, in parte filtrata dai “Diari” da lui redatti durante gli ultimi tre anni di vita.
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Immagine: I diecimila martiri di Pontormo (1529-1530).