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Il fascismo secondo Romain Gary

Lettera a Dominique de Roux

di

Romain Gary

(traduzione di Francesco Forlani)

Romain Gary mi scrive.

Ho letto il suo Gombrowicz. Contiene dei forti ‘pezzi di scrittura’.

Le dico allora… esiste in lei un autentico scrittore, indubbiamente degno di nota che però, me lo conceda, dà l’impressione di essere scampato soltanto per un banale inconveniente anagrafico, al vortice dei contraddittori eventi del ’45.

Leggendo Dominique de Roux, è impossibile non chiedersi cosa avrebbe provato nel ’41. La resistenza, forse umanamente, ma dal punto di vista letterario l’ira.

Non si tratta per nulla di una questione di fascismo di fondo:  è il gusto eccessivo della forma che sfiora il vuoto, l’aura del ‘detto’ che sembra esigere, reclamare, sbattendo e puntando i piedi per terra, il fondo fascista, il contenuto nazista.

Il fatto è che non esiste, né è esistito mai un contenuto fascista. Il fascismo è sempre stato un contenitore che soffre del vuoto interiore, del suo vuoto, ecco perché può trasformarsi facilmente in fossa comune. I cadaveri fanno sempre molto ‘contenuto’.

Che nel vostro caso si tratti solo di cadaveri letterari -J-J.S;-S, Nabokov o X,Y,Z, la musica non cambia.

Quando si è nel 1971 e si è troppo intelligenti per fare il Rebatet, ci si ammanta d’anarchia; è una nudità che immediatamente riveste. Quando si rifiutano del fascismo delle idee troppo vuote, in realtà le si sostituiscono con facce da prendere a schiaffi, anche quando non si prova niente per quelle facce: è questo che « fa contenuto ». Qualsiasi faccia andrà bene, poiché in base allo stile in questione, non sono le facce ad attirare gli schiaffi, ma gli schiaffi a creare e inventare le facce. A tutto ciò va aggiunta la sua mania di fare appello senza sosta alla faciloneria letteraria più vecchia del mondo, Céline o Gombrowicz: il nulla. Perfino il nulla -senza paradossi- fa “contenuto”. Eppure il nulla basta a tal punto a sé stesso da generare in filosofia o in letteratura  soltanto altro nulla.

Poiché reputo il talento del suo ‘scrivere’ degno di nota, e che da osservatore quale sono la trovo simpatico – mi piace starmene a guardare giovani talenti letterari che a ogni nuova generazione ricominciano questi balletti parigini, questi «Pomeriggi di un fauno» – e poiché l’avere sperimentato in svariate occasioni simili trabocchetti fa di me un esperto in materia, la metto semplicemente in guardia dal pericolo.

Lasci perdere questi regolamenti di conti personali per interposte personalità.

La vaghezza di contenuti che la mette in collera la spinge a riempire quel vuoto con facce che calpesta con l’impressione di sentire finalmente qualcosa di consistente sotto i tacchi.

Non ho mai conosciuto nessuno in letteratura che convinto di danzare sulla testa dell’ennesimo capro espiatorio della propria consapevolezza del vuoto interiore, dell’angoscia da derviscio turbinante, non si trovasse alla fine la propria faccia sotto i piedi.

Lei ha più talento di quanto non creda, e merita di più dell’essere il Tom Woolf delle piccole lettere francesi, del resto, come traspare nel suo Gombrowicz, lei passa per le armi Nabokov come il nano Woolf ha appena fatto con Leonard Bernstein in Radical chic.

In altre parole, lei dovrebbe affrontare non altri ma sé stesso con ferocia, coraggio e senza pietà.

Io è un contenuto che la chiama, il grande appuntamento letterario è con lui. Però non si va da nessuna parte se si è presi nel balletto intorno alla propria testa.

(21 octobre 1971.)

Nota al passo

Questo testo di Romain Gary è contenuto nel libro pamphlet Immédiatement di Dominique de Roux e che uscirà nella collana Tamizdat (ed Miraggi) quest’autunno. Di Dominique de Roux avevo già pubblicato su Nazione Indiana alcuni frammenti che è possibile leggere qui. Ho ritenuto importante pubblicare questa lettera in questi concitati giorni di furia post fascista perché con quasi mezzo secolo di anticipo sui nostri tempi, troviamo nelle parole del grande scrittore francese Romain Gary la migliore risposta a quanto sta accadendo in Italia. L’errore maggiore che si possa commettere  è allora quello di ostinarsi a pensare il fascismo come un contenuto e soprattutto tentare di riempire quel vuoto consustanziale al fascismo con la più fascista delle reazioni, ovvero, cercarsi delle facce da prendere a schiaffi.

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francesco forlani
francesco forlani
Vive a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman e Il reportage, ha pubblicato diversi libri, in francese e in italiano. Traduttore dal francese, ma anche poeta, cabarettista e performer, è stato autore e interprete di spettacoli teatrali come Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, con cui sono uscite le due antologie Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Corrispondente e reporter, ora è direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Con Andrea Inglese, Giuseppe Schillaci e Giacomo Sartori, ha fondato Le Cartel, il cui manifesto è stato pubblicato su La Revue Littéraire (Léo Scheer, novembre 2016). Conduttore radiofonico insieme a Marco Fedele del programma Cocina Clandestina, su radio GRP, come autore si definisce prepostumo. Opere pubblicate Métromorphoses, Ed. Nicolas Philippe, Parigi 2002 (diritti disponibili per l’Italia) Autoreverse, L’Ancora del Mediterraneo, Napoli 2008 (due edizioni) Blu di Prussia, Edizioni La Camera Verde, Roma Chiunque cerca chiunque, pubblicato in proprio, 2011 Il peso del Ciao, L’Arcolaio, Forlì 2012 Parigi, senza passare dal via, Laterza, Roma-Bari 2013 (due edizioni) Note per un libretto delle assenze, Edizioni Quintadicopertina La classe, Edizioni Quintadicopertina Rosso maniero, Edizioni Quintadicopertina, 2014 Il manifesto del comunista dandy, Edizioni Miraggi, Torino 2015 (riedizione) Peli, nella collana diretta dal filosofo Lucio Saviani per Fefé Editore, Roma 2017