Un nuovo ruolo per il soggetto agli inizi del Novecento, a proposito di arte e letteratura #4
di Antonio Sparzani
Vale la pena, per proseguire questa panoramica sul ‘nuovo ruolo del soggetto’ nel passaggio tra Ottocento e Novecento andando al di là della fisica, di accennare ad alcuni temi rilevanti per altre discipline che potrebbero meritare approfondimenti per interrogarsi, senza forzature, su quale modalità specifica assume, all’interno di ogni diverso settore, questa spinta all’espansione del soggetto.
Per quel che riguarda la storia dei fenomeni artistici, mentre rimandiamo al lavoro presente in questo stesso volume di Giacinto Di Pietrantonio, mi limito a far notare che il 1905 è forse anche per la storia dell’arte europea, un anno simbolico: la prima istanza organizzata di quel movimento in seguito assai più vasto e variegato che andò sotto il nome di espressionismo, fu la fondazione, nel giugno del 1905 a Dresda del gruppo “die Brücke” – il ponte – da parte di Ernst Ludwig Kirchner, Fritz Bleyl, Erich Heckel, Karl Schmidt (da allora in poi Schmidt-Rottluff), che aveva esplicitamente il fine di trovare nuove forme d’arte in opposizione alla tradizione accademica ricevuta, cercando anche, con il nome “il ponte” la possibilità di contatti positivi con altre forme di espressione artistica. Scrivono i fondatori del gruppo a Emil Nolde, invitandolo a unirsi a loro: ”Uno degli scopi della Brücke è di attirare a sé tutti gli elementi rivoluzionari e in fermento, e questo lo dice il nome stesso: ponte”. La volontà ormai emergente nei fermenti artistici nella Germania del primo decennio del secolo è quella di ribellarsi alla tradizione accademica classica, di ribellarsi anche alle conquiste dell’Impressionismo, che sembravano ormai inadeguate, e di acquistare una capacità nuova non solo di vedere la realtà, ma di modificarla intervenendo direttamente. Scrive l’allora celebre critico d’arte Hermann Bahr nel 1916 – con una prosa essa stessa espressionista – nel libro che si intitola, appunto, Espressionismo:
‹‹Un solo grido d’angoscia sale dal nostro tempo. Anche l’arte urla nelle tenebre, chiama soccorso, invoca lo spirito: è l’Espressionismo […] L’occhio dell’Impressionista sente soltanto, non parla; accoglie la domanda, non risponde. Invece degli occhi gli Impressionisti hanno due paia di orecchie, ma non hanno la bocca… Ed ecco l’espressionista riaprire all’uomo la bocca. Fin troppo ha ascoltato tacendo, l’uomo: ora vuole che lo spirito risponda›› (Hermann Bahr, Expressionismus, München 1916, trad. it. di Bruno Maffi, Espressionismo, Bompiani, Milano 1945, pp. 84-85)
indicando così in poche righe le caratteristiche del movimento: una volontà esasperata di comunicazione, di espressione, improntata alla forza del tratto e del colore e ricercata attraverso la violenta carica emotiva dello stile e dei soggetti. Su un altro pianeta, si direbbe, rispetto agli sviluppi della fisica, se non fosse che anche qui il bisogno primario era quello di esplodere i bisogni e le conquiste del soggetto. Esplosioni che certo l’arte non controllava in alcun modo con gli strumenti razionali che la fisica aveva a disposizione e che, più o meno accuratamente, utilizzava.
Per quanto riguarda la storia letteraria d’Europa al volger del secolo, mi limiterò a proporre la seguente interessante citazione di Broch, che all’uscita dell’Ulisse (1922) dedicò grande attenzione, tratta dal saggio James Joyce e il presente, discorso per il suo 50° compleanno, ampliato per la scrittura e pubblicato per la prima volta nel 1936:
“Non si reca alcuna offesa alla teoria della relatività tracciando un parallelo tra essa e la poesia. Il romanzo classico si limitava alla osservazione delle condizioni di vita reali e fisiche, si limitava cioè a descrivere queste condizioni servendosi del mezzo linguistico [ … ] Ciò che Joyce fa è essenzialmente più complesso. In lui si agita continuamente la convinzione che non è possibile porre semplicemente l’oggetto sul piedistallo della rappresentazione per copiarlo e descriverlo, ma che, al contrario, il ‹soggetto della rappresentazione›, vale a dire il narratore come ‹idea del narratore› , e in egual misura il linguaggio con il quale questi descrive l’‹oggetto della rappresentazione›, sono entrambi media della rappresentazione. Ciò che egli cerca di creare è l’unità di oggetto rappresentato e mezzo di rappresentazione inteso in senso lato, e questa unità si presenta spesso come se l’oggetto venisse forzato, violentato dalla lingua e la lingua a sua volta dall’oggetto fino alla loro completa dissoluzione.”
(Hermann Broch, James Joyce und die Gegenwart – Rede zu Joyces 50. Geburtstag, Herbert Reichner Verlag, Wien 1936, ora in Geist und Zeitgeist, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Mein 1997, trad. it. di Saverio Vertone in Poesia e conoscenza, Lerici, Milano 1965, p. 248).
Piccolo esempio di come Broch ‹‹scrittore e teorico … come Proust e Musil, [era] ossessionato dal pensiero di utilizzare la poesia ai fini della conoscenza e di innalzare l’arte sul piano della scienza e la filosofia nella dimensione dell’arte››, (Walter Jens).