Messa in atto de L’Épuisé di Gioacchino Lonobile
Messa in atto de L’Épuisé
di Gioacchino Lonobile
La voce neutra, priva di qualunque intonazione e sentimento sembrava quasi essere slegata da quella ragazza, anche se di certo era la sua. Le sue labbra si muovevano, solo quelle. Erano l’unico indizio che quella voce fosse la sua, e non provenisse, invece, da qualche altra stanza, o da altri appartamenti che si affacciavano sullo stesso cavedio, che faceva da cassa di risonanza di segreti e litigi, rendendo pubblico il privato di ogni famiglia. Solo il movimento delle labbra.
L’uomo sdraiato sul letto aveva sentito ogni rumore come se arrivasse da un luogo remoto: le chiavi nella serratura, il fruscio dei sacchetti, il tintinnio delle bottiglie, l’aprirsi e il richiudersi dello sportello del frigo, i passi che percorrevano il corridoio fino alla stanza, la mano sulla maniglia, il cigolio, il silenzio, la scissione, forse dovuta all’aria rarefatta, tra le parole e il corpo, di chi era tornata da lavoro e aveva sistemato la spesa in cucina.
- Sei stanco? – chiese la ragazza.
- Il vecchio sta peggio di me – disse.
- Quale vecchio?
- L’ultimo – rispose indicando la scrivania vicino la finestra – Vedi sta là seduto, fermo, con la testa tra le mani, certe volte porta i palmi davanti al viso e li guarda, ma solo di rado. L’osservo da stamattina.
La ragazza strinse gli occhi per cercare di mettere meglio a fuoco, la stanza era immersa nella penombra, solo due lame di luce arrivavano dalle imposte fino al letto, mostrando nel loro percorso i granelli di polvere che avrebbero impiegato un’eternità a depositarsi.
- Sì, lui sta peggio – ripeté l’uomo sdraiato. La sua voce non era staccata dal corpo, anzi non riusciva a liberarsene, usciva dalle viscere solo dopo un travaglio che pareva essere senza pari – È esausto. Ha terminato. Nulla gli è più possibile.
- Che vuol dire? – chiese lei.
- Io avrei potuto fare la spesa, la doccia, avrei potuto cercare un lavoro, o anche solo affacciarmi alla finestra. Non l’ho fatto, ma avrei potuto. Il vecchio no, ha esaurito anche questa potenza. È esausto – tornò a dire.
La ragazza continuava a rimanere davanti la porta, né fuori, né dentro la stanza. Lo guardò per un minuto, un minuto intero, di certo in occasioni come quella un minuto non durava mai sessanta secondi. Sospirò e si chiese se c’era un limite al non far nulla. La gonna le scendeva lungo le gambe bianche fino al ginocchio, che s’intravedeva da un piccolo spacco laterale.
- Lui è l’ultimo. Vedi, sta seduto. Non si può morire da sdraiati.
La ragazza strinse di nuovo gli occhi, questa volta più che per vedere meglio, per meglio intendere le parole che stava per sentire.
- La messa in atto prevede uno scopo, alzarsi per cucinare, per andare in cantiere, preparare il caffè. La messa in atto ha un fine, pone di fronte a delle esclusioni, a delle scelte sempre diverse e queste alla lunga stancano. Si è stanchi di qualcosa… – fece una breve pausa a cercare la forza per continuare – Invece, si è esauriti di nulla. Solo l’esausto ha esaurito il possibile, perché non ha più bisogno di niente – disse muovendo appena la testa in direzione della scrivania.
La voce di un bambino entrò dalla finestra che dava sul cavedio.
- Ho finito! Ho finito!
- Arrivo, arrivo – gli fece eco la voce di una donna che doveva essere la madre.
Fuori non c’era un filo di vento, l’afa di quei primi giorni d’estate rendeva irrespirabile l’aria e sarebbe stato sempre peggio, al culmine il cielo si sarebbe colorato d’ocra per un pomeriggio intero e allora sì sarebbe stato tremendo, ogni volta sembrava dovesse finire il mondo, poi la pioggia, carica di sabbia del deserto, scendeva copiosa per qualche ora, sporcando auto in sosta e balconi, ma almeno regalava una notte di refrigerio.
- Stare sdraiati non è la fine, non si è ultimi, ma penultimi. Io sono il penultimo. Sta sdraiato chi è stanco, e così facendo può recuperare anche le forze per muoversi, rigirarsi da un lato o dall’altro. Quando ci si siede a quel modo è la fine. Lo vedi il vecchio? Non si muove da lì, ha la testa tra le mani, i gomiti appoggiati alla scrivania, fermo, esausto, l’ultimo.
La ragazza aprì un bottone della camicetta a pois neri e si passò una mano sulla fronte sudata, spostando da un lato la frangetta. Sentiva i vestiti pesargli addosso, forse presto sarebbe arrivata la solita fitta al fianco che da settimane la tormentava, quella notte aveva dormito poco e male, i ragazzi a scuola erano stati tremendi, gli esami di fine anno si avvicinavano.
- Il passaggio sarà rapido, forse istantaneo, chi può saperlo, di certo sarà inesorabile, e da stanco diventerò esausto anch’io, da sdraiato starò seduto. Guardalo il vecchio, sta sognando. Sogna la sua stessa insonnia, sogna sé stesso seduto con la testa tra le mani. Non ha nessun’altra possibilità, nessun altro sogno gli è consentito.
- Hai finito? – disse la ragazza spazientita.
- Non ancora, ma basterà poco, anche solo un attimo, e da penultimo diventerò ultimo come lui.
- Lui chi? – gridò. L’aria vibrò e solo allora la sua voce sembrò appartenerle, solo allora le sue parole uscirono dal suo corpo – Non c’è nessuno, non c’è nessun vecchio. Lo capisci che sono solo scuse le tue. Non c’è nessuno a parte me e te in questa stanza. Anzi non c’è nessuno a parte te! – la ragazza si girò di scatto e uscì sbattendo la porta.
L’uomo sdraiato alzò gli occhi verso la scrivania, la sedia in effetti era vuota, l’ultimo posto si era liberato.