Lo “Shōbōgenzō” di Sergio Oriani disponibile online
[Il 22 marzo 2004 Dario Voltolini pubblicava su Nazione Indiana un’intervista a Sergio Oriani, monaco zen e traduttore dall’inglese dello Shōbōgenzō [Tesoro dell’occhio della Legge corretta], titolo sotto cui sono comunemente raccolti molti scritti di Dōgen (1200-1253). Su richiesta dell’amico Dario riposto qui quell’intervista, segnalando che da poco quella stessa traduzione è disponibile online a questo link. a.r.]
Intervista a Sergio Oriani di Dario Voltolini
Finalmente abbiamo a disposizione nella nostra lingua questo importantissimo testo, lo Shōbōgenzō. Lo ha tradotto e curato Sergio Oriani, al quale chiedo in primo luogo di illustrare le difficoltà di traduzione del testo e l’impostazione che ha dato al suo lavoro di traduzione.
Non vorrei deludere nessuno, ma la traduzione non è stata condotta sull’originale giapponese bensì sulla traduzione in inglese che il Maestro Nishiyama ha approntato con la collaborazione di alcuni suoi dotti allievi britannici. La scelta era inevitabile: di giapponese moderno conosco poche parole, di giapponese arcaico nulla, per il resto me la cavo discretamente, essendo di madrelingua inglese. Ritengo comunque importante che la traduzione sia stata effettuata da un monaco Zen e quindi (è auspicabile) da chi possegga una certa conoscenza della “materia”. Dal mio punto di vista ciò che mi prefiggevo era di permettere la lettura, anzi lo studio, di questo fondamentale testo del Buddhismo Zen a tutti quelle persone seriamente intenzionate allo studio della Via che non conoscono altra lingua se non la nostra. Per ciò che riguarda l’impostazione, in generale ho cercato di mantenere l’umanità e la genuità che traspaiono dagli insegnamenti del Maestro Dōgen evitando quindi di utilizzare un linguaggio eccessivamente erudito o specialistico e cercando di essere il più chiaro possibile. E’ ovvio che, data la materia, non può esserci la pretesa di una comprensione che risulti sempre facile o immediata.
Qual è l’importanza dello Shōbōgenzō nella letteratura Zen? In che senso si tratta di un’opera fondamentale?
Naturalmente non si deve generalizzare. Si tratta di un’opera fondamentale per chiunque abbia il desiderio di approfondire gli insegnamenti del Buddhismo Zen. Questo proprio perché riporta gli insegnamenti del Maestro Dôgen (XIII° sec.), maturati in Cina sotto il Maestro Tendô, e trasmessi poi – nell’arco di poco più di vent’anni – al suo ritorno in Giappone. E’ da sottolineare che fu proprio il Maestro Dōgen, nel 1244, a dare vita al primo e più grande monastero Zen del Giappone: l’Eihei-ji.
Quali rapporti ha questo testo con il Sutra del Loto?
Non credo che sia corretto parlare di rapporti tra lo Shōbōgenzō ed il Sutra del Loto: forse questo è più un modo di dire contemporaneo. Certo è che il Sutra del Loto avendo origini molto antiche ed appartenendo alla Scuola Mahâyana ha profondamente influenzato la cultura buddhistica del tempo. Moltissimi e continui erano i riferimenti ai vari testi Mahâyana, anche da parte dei Maestri cinesi che ne conoscevano diverse traduzioni e commenti. Ed infatti, anche nello Shōbōgenzō, e quindi negli insegnamenti del Maestro Dōgen, moltissime sono le citazioni ed i riferimenti al Sutra del Loto; tanti da spingermi a suggerire nelle note a pié di pagina, i relativi rimandi ad una traduzione italiana (a cura di Luciana Meazza) del Sutra del Loto stesso.
Come può un lettore avvicinarsi allo Shōbōgenzō oggi? Che tipo di atteggiamento richiede questo libro?
Avvicinarsi allo Shōbōgenzō oggi non è diverso dall’avvicinarsi a qualsiasi altro testo religioso, ovvero a tutto ciò che sia di nutrimento per lo spirito. Ci vuole l’umiltà di riconoscere la propria impreparazione al riguardo, abbandonando la pretesa di una facile e pronta comprensione. In poche parole, lo Shōbōgenzō è un testo che non possiamo affrontare con una lettura veloce e distratta ma che dobbiamo leggere, rileggere, investigare e poi ancora rileggere, soppesare ed investigare, e poi ancora … e ancora!
Insomma è una comprensione dinamica, proporzionalmente legata alla nostra crescita e maturazione. Non è certo una comprensione di tipo intellettuale quella che ci può essere d’aiuto. Si tratta di un piano diverso dal piano della logica e della razionalità, che non può prescindere da un corretto addestramento del corpo-mente. Il Maestro Dôgen non perde occasione di sottolinearlo. Il riferimento è ovviamente alla prassi dello Zazen o “Zen da seduti” e la figura di riferimento è quella classica: il Buddha nella tradizionale postura “del loto” …
E qui preferisco fermarmi, pur restando a disposizione di chi voglia approfondire l’argomento in modo più appropriato!
Non vorrei molestare la sua sobrietà, ma se vuole aggiungere qualcos’altro, questo spazio è a sua disposizione.
Per quanto riguarda il dire ancora qualcosa, direi che è già stato detto molto. Lo Zen (quello autentico, volendo introdurre un distinguo) non è fatto di tante parole. Basti infatti ricordare che la tradizione Cristiana ha insegnato che “la Parola si fece carne” … e questo è proprio il succo dell’insegnamento del Buddhismo Zen! Non sono le parole che contano, sono i fatti: i fatti delle parole, i fatti dei pensieri, i fatti delle azioni. (Apparente paradosso!)
In fondo anche le parole, soprattutto se pronunciate in determinati contesti (es. In ambito giudiziario), sono esse stesse fatti poiché dalle parole scaturiscono conseguenze nel mondo reale.
percepisco lo Zen come un ritorno a quel “silenzio” iniziale predicato nei miti gnostici; quel vuoto che avvicina la metafisica buddhista al pensiero di Heidegger… Una via talmente estrema che credo pochi possano frequentare; certamente non un’anima caduca come quella del sottoscritto, così vincolata al mondo e al desiderio insopprimibile di una buona torta di mele…