Più dolore, più violenza in questa città

di Carola Susani

Non so se ho tenuto bene il conto. Il Baobab ha subito a mia memoria 22 sgomberi. Perché allora esiste ancora? Perché dopo il primo sgombero – quello della struttura di via Cupa – è diventato un’altra cosa, una organizzazione agile e leggera che dà aiuto, l’aiuto base, minimo, una tenda, sacco a pelo, coperte, abiti, cibo, relazione, a chi non ha dove andare, gente che arriva, perché la gente arriva ancora, gente ricacciata indietro dai paesi europei, gente che non ha più la tutela umanitaria e così via. Volontari, sostenuti nel tempo dalla solidarietà diffusa, dalle persone comuni, dalle pizzerie, ai supermercati, sono riusciti in questi anni a dare pasti ogni giorno, a proporre visite guidate, corsi, aiuto a stendere curriculum, ma sono riusciti anche a giocare a calcio, a correre maratone, ad ascoltare musica insieme. Moltissimi passati dal Baobab hanno trovato la loro strada, in Italia o all’estero, è un posto dove si sta per un tempo limitato, un posto di transito. Chi ci passa dirà magari: ma è spaventoso, gente senza un tetto, nelle tende, esposta alle piogge torrenziali, e poi al freddo. È vero, non è un posto dove desidereresti vivere. Ma le istituzioni che dovrebbero trovare posti migliori, tetti e possibilità, non lo fanno, non l’hanno fatto finora e sempre meno vogliono farlo. Il Baobab permette di trovare una socialità, non lascia le persone preda inerme dei pericoli della città, vittima dei delinquenti, senza speranza, con l’unica strada possibile per sfangare la giornata la delinquenza; permette persino di fare piani, visto che almeno non devi pensare ogni giorno a dove andrai a dormire. Avere la possibilità di fare piani, è la condizione per uscire dalla povertà, senza non puoi. Il Baobab è stato sgomberato. Come sempre le tende e gli oggetti del campo sono stati distrutti. Ma allora perché ne parlo al presente? Perché il Baobab è inevitabile, finché ci sarà gente che ha bisogno, ci sarà grazie a Dio gente che aiuta chi ha bisogno. Nessuno riuscirà a farci smettere; ormai abbiamo esperienza. Il Baobab aiuta a contenere il disagio, evita la violenza, rende più sicura la città. Se il Baobab non ci fosse, il dolore e la violenza sarebbero maggiori. Ce n’è già tanto, non si combatte rendendolo più atroce, ma risolvendo i problemi delle persone: il tetto, la socialità, il lavoro, la cultura, la possibilità di fare piani, la speranza. Chi sgombera il Baobab vuole evidentemente più dolore e più violenza in questa città.

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mariasole ariot
mariasole ariothttp://www.nazioneindiana.com
Mariasole Ariot (Vicenza, 1981) ha pubblicato Anatomie della luce (Aragno Editore, collana I Domani - 2017), Simmetrie degli Spazi Vuoti (Arcipelago, collana ChapBook – 2013), La bella e la bestia (Di là dal Bosco, Le voci della Luna 2013), Dove accade il mondo (Mountain Stories 2014-2015), Eppure restava un corpo (Yellow cab, Artecom Trieste, 2015), Nel bosco degli Apus Apus ( I muscoli del capitano. Nove modi di gridare terra,Scuola del libro, 2016), Il fantasma dell'altro – Dall'Olandese volante a The Rime of the Ancient Mariner di Coleridge (Sorgenti che sanno, La Biblioteca dei libri perduti 2016). Nell'ambito delle arti visuali, ha girato il cortometraggio "I'm a Swan" (2017) e "Dove urla il deserto" (2019) e partecipato ad esposizioni collettive. Ha collaborato alla rivista scientifica lo Squaderno, e da settembre 2014 è redattrice di Nazione Indiana. Aree di interesse: esistenza.