Il 23 agosto – un piattello di segreti. Gianluca Garrapa
Incipit del nuovo romanzo di Gianluca Garrapa
Pomeriggio
I
Ambiente sonoro: il frinire delle cicale.
In macchina si muore dal caldo. Giulio tarderà, come al solito, almeno mezz’ora.
Vado a prendermi un caffè in ghiaccio. Lo aspetterò al bar.
Uscire di casa nella fornace che traspira odore di asfalto e cicale. È sempre un ambiente ostile. Scendere dalla macchina e affrontare il sonno pomeridiano apparente. Le case sono casse mortuarie piombate e le finestre socchiuse nascondono occhi crudeli di indifferenza. Il pettegolezzo è un congegno ben oleato che tradisce piccole e grandi nevrosi, accidenti dell’animo e inciampi della psiche. Un chiacchiericcio che non smette mai, che cementifica, con il trascorrere degli anni, i rapporti falsi e retorici, di autodifesa, di protezione reciproca, di patti, di leggi non scritte.
Immobile, l’organismo sociale conserva muffe e pregiudizi atavici.
Al Castello, come dovunque ormai, non esiste vera amicizia né amore, si coltiva l’interesse personale con la stessa cura e pervicacia con cui i contadini, gli ultimi sopravvissuti, non si arrendono alla mestizia della terra brulla e al mistero dell’olivo fecondo che secca senza l’affezione della Xylella Fastidiosa: è forse la malinconia che uccide gli alberi? Sia come sia, gli uomini inseguono un’ideale bellezza sacrificandosi ottusi nella speranza nostalgica, e sanno l’abisso barocco che li attende. E ci si consacra al gruppo, innanzitutto tacendo. Ignorando le storture dei rapporti di vicinanza, che variano, oscillano, barcollano ma si mantengono saldi per via di un mutuo opportunistico soccorso: ci si può sempre trovare nella condizione d’aver finito la panetta di fumo, di avere la macchina dal meccanico, a esempio, di aver bisogno di.
C’è sempre il parente del tuo amico, che è un meccanico, che è come tuo fratello e ti fa prezzi scontati aumentandoli all’estraneo: aiuta te per fottere un altro.
Sono a questo tavolino, a sorseggiare il caffè col ghiaccio velenoso del rancore. Mia moglie e i figli sono lontani. Si usa solo da questi parti, il caffè in ghiaccio.
L’altro anno, mia moglie, a Torino, chiese un caffè con ghiaccio.
E il tizio: «Come, scusi?»
E mia moglie ripeté, con il candore più puro del mondo: «Caffè… con ghiaccio.»
E il tizio le poggiò sul bancone una tazzina di caffè normale e un bicchiere di plastica con dentro due cubetti di ghiaccio.
Rise.
Io no, finsi di nulla.
Dietro il bancone, qui, c’è il figlio del proprietario. Ha quindici anni, le occhiaie così accentuate da vanificare il brillante lago blu degli occhi, è alto, un viso affilato e piacevole.
Suo padre m’ha preso in simpatia, per via del mio carattere schivo e intelligente.
Non mi lusingano i suoi apprezzamenti, è un postmoderno padre-padrone. Offre a turni massacranti di lavoro il figlio, spesso maltrattato dagli altri dipendenti, che sfogano sul quindicenne il loro disastro totale di quarantenni che non hanno ancora trovato la moglie giusta da bastonare dopo averle dato alla luce, cioè alla morte in vita, i figli su cui sgravare la repressione subita, le angherie dei padri e dei nonni. Il Castello, come tanti altri luoghi, è fascista. Non è luogo di solidarietà. Né di sincero confronto. C’è lo storico cinema chiuso ormai da anni. Una biblioteca fornitissima frequentata solo dai cervelli natii dei feudi circonvicini. Gli abitanti del Castello sanno già tutto e hanno visto il mondo: per loro non è necessario alcun supplemento di conoscenza.
Si mangia, si beve, si balla e si sparla. A volte si muore, e il clima diventa pesante. Specie se si muore giovani. Ma a nulla vale la consapevolezza della morte, non a risvegliare coscienze, non a distillare la cattiveria, non a incoraggiare all’autoanalisi, alla consapevolezza.
Liberarsi della propria pagliuzza che impedisca di vedere le reali dimensioni della pagliuzza altrui, simile alla nostra e che la semi-cecità ci fa traveggolare per trave, ma la trave non ce l’ha nessuno, tranne chi ce l’ha voluta mettere nell’occhio dell’umana convivenza. E chi ce l’ha messa questa trave? Non so. Non c’è nessuna pagliuzza, nessuna trave, nessun io che possa permettersi di azzardare giudizi e pregiudizi.
Gianluca Garrapa abita al terzo piano di un condominio di fronte a Porta Pisana che ha resistito ai bombardamenti della Seconda Guerra e attualmente in totale quasi stato di abbandono. Per questo ama dicembre.
Penso a certi paesi del Sud.
Anche ☺ Grazie per la lettura Vincenzo
Bravo, Gianluca. Auguri!
Grazie Corrado, un abbraccio !