Radio days: Gianni Maroccolo
Altrove
di Mirco Salvadori
Lento sembra vagare per la tundra, lo sguardo calmo dal riflesso lucente. Da lontano appare come uno scuro batuffolo che si muove con leggera gentilezza, una delicata creatura giunta fin qui dopo miglia percorse nel lampo del tempo che trasforma lo zoccolo, da tenero supporto del sogno a possente appoggio capace di sostenere il lungo e faticoso viaggio di una vita attraverso il suono del proprio respiro.
I ricordi lo attendono acquattati tra i licheni che giacciono semi sommersi dall’umidità del terreno. Uno in particolare continua ad apparire in tutta la sua lucida violenza, un ricordo che risale alla sua gioventù, quando ancora l’innato bisogno di scoperta rendeva inutili i richiami e le raccomandazioni dei compagni. Era come un canto che all’improvviso iniziava a propagarsi lungo le pianure e i crinali delle montagne, una voce suadente che accarezzava tutto il corpo suscitando brividi di piacere. A volte si percepiva come armonia che scendeva leggera dal cielo azzurro, altre iniziava a farsi udire quando le nuvole si coloravano di nero, esplodendo in un furioso e incontenibile urlo. Impossibile resistergli, impossibile non cedere all’impeto della natura seguendolo per scoprire fin dove l’avrebbe trascinato. Iniziava così a filare precipitandosi verso i limiti invisibili, oltre le immense pianure che occupavano le stanze del suo mondo. Al galoppo, a testa bassa dentro il furore del vento del nord, sfidando le sue forze, mosso dall’incontenibile voglia di conoscere che rendeva inutili i moniti di chi prima di lui si era arreso, sfinito nella furia della tempesta.
Il suono dolcemente iterato degli zoccoli che sprofondano nel manto nevoso lo aiutava a concentrarsi. Come sempre aveva trovato una radura discosta nella quale cercare qualche verde arbusto. Tutti sapevano che era un tipo solitario, alle domande seguivano sempre le sue lente risposte che sembravano giungere da luoghi lontani, inaccessibili. Per questo che lo chiamavano Altrove. Quel nome non gli dispiaceva: conteneva l’essenza delle sue visioni, racchiudeva in poche lettere quanto di più vasto e sconosciuto possa esistere oltre il limite della tundra, lì dove pochi erano giunti. Il silenzio era totale nella bianca e luccicante radura che lo accoglieva, la natura e gli esseri viventi che la abitavano sembravano immersi nell’immobilità assoluta, una frazione di vita sospesa che mantiene le sue pulsazioni grazie a qualche fremito di brezza tra le poche foglie ancora visibili e il calore che usciva in forma di vapore dalle narici di possenti creature destinate a sopravvivere in condizioni estreme.
Il silenzio é suono, pensava Altrove, porta con sé impercettibili segnali, basta ascoltarlo. Qualcosa stava succedendo ma il cielo era ancora troppo azzurro e il suo istinto troppo rilassato per presagire altro se non ricordi.
La tormenta non gli permetteva di vedere oltre il suo passo, ma sapeva che la linea di confine non distava molto, tre quattro giorni di marcia. La determinazione nel procedere lungo il terreno impervio, contro l’affronto delle continue raffiche di gelo e la mancanza costante di pace lo avevano reso apparentemente insensibile alla stanchezza. Mentre procedeva faticosamente, ricordava quanto gli era stato paventato da chi aveva tentato di percorrere quella stessa via. Una volta varcata la soglia dei territori sconosciuti, avrebbe trovato paura, indecisione e solitudine, mortali compagne con le quali confrontarsi. Gli occhi oramai quasi serrati nella morsa del ghiaccio, i muscoli inutilmente tesi nello sforzo supremo, lui continuava a profanare l’urlo del vento, lo penetrava aumentandone l’ira feroce. Doveva fermarsi, cedere per qualche minuto raccogliendo le forze e poi nuovamente continuare per raggiungere quel maledetto confine oltre il quale… la stanchezza lo colse repentina manifestandosi con le fattezze di una bianca creatura che allargava le braccia accogliendolo.Gli occhi si chiusero, le forti zampe cedettero sprofondando nell’inconsistenza del sonno che tutto libera e trasforma. Riusciva a vedere sé stesso sommerso nella neve gelida, riusciva a sentire l’urlo insistente che vorticoso faceva scomparire le tracce rendendo impossibile il ritorno. Percepiva il sopraggiungere della fine, ma in quel luogo la pace regnava sovrana. Socchiudendo gli occhi riuscì ad intravvedere la bianca figura raggomitolata attorno al suo corpo che lo stringeva a sé parlandogli con calma, lentamente, sottovoce. Durò solo la frazione di un istante ma bastò per permettergli di affrontare sconsolato la lunga via del ritorno. Molti anni erano trascorsi da quel viaggio nell’ignoto ma il ricordo di quell’abbraccio non svaniva, anzi si rafforzava con l’andare delle stagioni.
Il silenzio é suono, pensa Altrove, porta con sé impercettibili segnali, basta ascoltarlo. Il primo strato di soffice coltre nevosa iniziò a danzare attorno ai suoi zoccoli, nel giro di pochi minuti l’azzurro nel cielo svanì cedendo il posto a cumuli di cupe nuvole gravide di nero intenso. Altrove le guardò ammassarsi sopra il piccolo angolo di mondo che conteneva il suo respiro e sorridendo accolse la bufera che improvvisa esplose, accompagnata del furioso urlo del vento. Era tempo di tornare lì dove la stanchezza lo aveva fermato, affrontando nuovamente l’instabile equilibrio dell’ignoto, doveva ritrovare quell’essere lucente per placare la sua inquietudine nel cristallino sussurro di quella voce.
Dopo giorni di duro cammino sentì di aver raggiunto un luogo oltre il quale era impossibile proseguire. Immerso nell’accecante fragore cercava di intravvedere qualcosa muoversi ma ciò che lo circondava era solo turbinio di neve.
La pesante testa lentamente si adagiò sulla soffice neve che l’accolse con calore inaspettato, il frastuono che da giorni regnava sovrano cessò all’istante e l’eco di un sussurro iniziò a vibrare nell’aria. Tu sei tempesta e tu sei l’urlo del vento. Tu sei la sterminata distesa nella quale vaghi da tempo immoto, tu sei la neve e tu sei il muschio che rigoglioso ricopre la terra. Tu sei l’acqua che si insinua sotto la sua superficie, tu sei il suo respiro, il suono che ne scaturisce. Tu sei un piccolo possente bue muschiato, sei l’universo che lo ospita, tu sei qui e tu sei Altrove. Lento sembra vagare per la tundra sconfinata quel poderoso e delicato bue muschiato, ma il suo sguardo ora sa dove posarsi. È giunto il tempo di seguire l’urlo della tempesta e il richiamo del silenzio, l’istinto che impone il balzo verso territori inesplorati, mantenendo sempre luminosa la scintilla della memoria che illumina il passo.
Visto da lontano ora appare come un bioccolo che procede avvolto nell’armonia che soffice lo accoglie nel perpetuo abbraccio della solitudine che stordisce, nutre e cura.