I giochi di Ryan. Analisi di un video su youtube

di Alberto Brodesco

Ha avuto una certa risonanza la notizia, pubblicata da Forbes, che una delle star più ricche di YouTube è un bambino di sette anni. Grazie al suo canale, “Ryan ToysReview”, Ryan ha guadagnato in un anno, secondo la stima di Forbes, 22 milioni di dollari. Il canale di Ryan contiene essenzialmente recensioni di giocattoli e video di “unboxing”, ovvero spacchettamento di regali – un genere, destinato in particolare ai bambini in fascia pre-scolare, che gode di un’enorme popolarità su YouTube.

Più che ragionare sul turbocapitalismo, sugli eccessi del mercato, sulla brandizzazione di un bambino, sui dilemmi etici del consumismo o sui meccanismi di divizzazione precoce, vorrei qui analizzare nel dettaglio un video che si intitola “Ryan Surprise Toys Opening Challenge with Toy Jellies”. Dura 13’15”, ed è stato pubblicato il 9 dic 2018 su un canale gemello, “Ryan’s Family Review”, rispetto a quello principale. Ha ricevuto (a febbraio 2019) circa 3.800.000 visualizzazioni.

Il video inizia con qualche secondo di riprese sfocate del soggiorno-cucina della casa dove Ryan abita con madre, padre e due sorelle, gemelle omozigote. La mamma di Ryan, che regge in mano la videocamera, torna a casa e chiama a voce alta il figlio, e poi il padre. Si sente una musica di fondo rockeggiante – basso, accordi di chitarra, batteria. A livello enunciativo, il fuori-fuoco e la ripresa in soggettiva connotano immediatamente il video come amatoriale, domestico.

Appena Ryan e suo padre arrivano di fronte a lei, la madre appoggia sul tavolo una borsa di plastica: “I’ve found something at Target” (una catena di supermercati). Ryan e il padre ne svuotano il contenuto, 10 sacchetti di “Ryan’s jellies”, bustine con dei regalini “a sorpresa”, dei pupazzetti gommosi schiacciabili. La madre si rivolge al figlio per dirgli: “Ryan’s jellies… Are you a jelly?”. Si tratta in effetti di oggetti di merchandising ispirati al canale di Ryan, la serie 1 delle “Mystery Jellies Figures” di marca “Ryan’s World” (TM). Parte ora la piccola sigla del canale.

In quello che si può definire un flashback, ritorniamo da Target, dove osserviamo la madre di Ryan mettere nel carrello le dieci bustine. L’espositore segnala che si possono trovare dieci figure diverse, che vanno da un mini-Ryan a un panda (di nome Combo) segnalato come raro. Il costo di ogni bustina è 5.99 dollari. Mentre è al supermercato, la mamma si imbatte anche in altri giocattoli di marca “Ryan’s world” – un triceratopo sonoro, un gioco da tavolo, macchinette di plastica, slime. Uno stacco di montaggio ci porta alla cassa automatizzata del supermercato, dove la mamma di Ryan passa una delle bustine sotto il lettore del codice a barre. Questa breve inquadratura funge da conferma indessicale, sonora (“bip”), del fatto che quel prodotto è stato effettivamente acquistato.

Il flashback finisce e si torna, dopo 2′, al punto in cui il video è iniziato. Si rivede la mamma che chiama Ryan e il papà. È una scelta enunciativa molto cinematografica: una sequenza (ben 20”) vista poco prima viene riproposta allo spettatore alla luce della competenza cognitiva acquisita grazie al flashback al supermercato. Lo spettatore rivede il sacchetto sapendo già, ora, cosa contiene.

La videocamera inquadra il tavolo pieno di giochi in primo piano. Ryan sta a sinistra, il padre a destra. Lo sfondo mostra la cucina della loro casa, ordinata ma non troppo: non si tratta di un set, è una casa vera. Nell’inquadratura sono a questo punto già presenti diversi Ryan: il bambino in carne e ossa e la sua fotografia che appare in ognuna delle dieci confezioni. Un ulteriore Ryan è raffigurato in forma di fumetto sulla t-shirt che Ryan indossa. Si assiste insomma a una proliferazione di Ryan, il quale, come un Gremlin, continua a moltiplicarsi da qui alla fine del video. Il primo sacchetto che viene aperto da Ryan contiene infatti un pupazzo gommoso di Ryan vestito da super-eroe. È un mulinello, una creazione di effetti a cascata che producono una mise en abyme del soggetto rappresentato. Ryan tiene in mano una bustina con la sua faccia dentro la quale c’è un pupazzetto con la sua faccia.

Il padre aprendo il pacchetto trova invece un gelato (“Ice cream guy”). Il terzo sacchetto recapita in mano a Ryan un altro Ryan. “Un duplicato!”, commenta la mamma fingendo entusiasmo. “Non sapevo che avessi un gemello”, aggiunge mentre colloca i due Ryan fianco a fianco. I successivi giochi sono un gaming controller (“Il mio preferito, finora”, nelle parole della mamma, che privilegia stranamente quest’oggetto al simulacro di suo figlio); un altro controller; poi il pupazzetto “raro”, il panda; un altro gelato. L’allegria si propaga contagiosa. Il gioco successivo, l’ottavo, è una provetta da laboratorio antropomorfa. Gli ultimi due regalini sono un coccodrillino (Gus) e un doppione del pur raro panda. La madre commenta che mancano, per completare la collezione, la pizza, il cartone di latte, le patatine fritte e il pallone da calcio.

Da qui in poi si entra nella parte meno interessante del video, puramente pubblicitaria. Ryan si fa seguire dalla videocamera della madre in una stanza che raccoglie tutto il suo merchandising (“Ryan’s world merch toy room”), disposto in una libreria. Posiziona i nuovi giochi in uno spazio libero. La madre passa in rassegna e pubblicizza gli altri prodotti esposti. La proliferazione di Ryan diventa ora parossistica, quasi un delirio narcisistico che vede l’inquadratura riempirsi di Ryan di ogni tipo, in versione pilota, astronauta, karateka, scienziato, eccetera. Il finale è promozionale, con la madre che suggerisce dove si può comprare cosa e lancia un concorso per trascorrere una giornata di gioco con Ryan.

In un sol colpo, Ryan’s Family Review riesce a metter in moto due fonti di guadagno, pubblicizzando il suo merchandising e promuovendo il suo canale. La pubblicità non serve più solo a vendere il prodotto ma anche a vendere se stessa. Si osserva una sovrapposizione inestricabile fra pubblicità dell’oggetto esibito (il giochino) e pubblicità (generatrice di visualizzazioni) del canale YouTube. Il prodotto esposto in vetrina viene mostrato anche per vendere l’intero negozio. La vetrina in cui esporre le merci è una merce essa stessa.

La strategia enunciativa, il particolare tipo di vetrinizzazione che abbiamo osservato, combina amatorialità e professionismo, linguaggio dell’home movie e linguaggio del cinema: narrazione piatta più flashback; camera a mano, soggettiva, fuori fuoco più alta definizione; improvvisazione più studiatezza; spontaneità più recitazione; piccola manualità più regole del marketing; ingenuità più posa; dimensione del gioco più business. Non sembra simulata la stupefazione del bambino mentre apre i regali marchiati con il suo brand. Mentre certo appare forzata la reazione degli adulti, appare finta la loro eccitazione. Ma non recitiamo tutti, nella vita, la parte degli entusiasti di fronte all’entusiasmo dei bambini?

In questa tensione tra artigianato e industria, tra creazione e algoritmo, il piccolo Ryan diventa una sineddoche. Nella mediasfera contemporanea il soggetto è ridotto al ruolo di un Umpa Lumpa nella fabbrica di cioccolato di Roald Dahl, immerso in ciò che gli piace eppure alienato, incapace di allontanarsi dal suo feticcio e di riconoscerlo come tale. Come gli Umpa Lumpa venivano pagati in cioccolato, quindi con il frutto stesso del loro lavoro (al netto ovviamente del plusvalore), il guadagno personale di Ryan coincide almeno per il momento con i giochi, ovvero con la merce che deve vendere.

 

4 COMMENTS

  1. Ma davvero nessuno che abbia niente da dire rispetto a questa deriva preoccupante?

    Mi dispiace sinceramente che questi pezzi direi fondamentali per comprendere la società e le sue derive, sembrino scivolare nel dimenticatoio.

    • tragicità che toglie la carne, stoltezza dilagante, il frutto di una relazione tradita, una disgrazia caduta bell’e pronta nel corpo di un neonato, la baraonda di genitori naturali mossi da gesti innaturali. chissà se reggerà il colpo? chissà se eviterà la radicazione di ferite immedicabili? mi pare una offesa originaria che serpeggerà a lungo.

      • Un’offesa originaria che serpeggierà a lungo e forse non andrà mai in muta: il corpo del serpente che esce dalla sua bocca. Ma qui il serpente, anziché aprire la bocca per lasciare la pelle vecchia, ne costruisce una sopra. Questo mondo nuovo spaventa, e purtroppo ci rappresenta.

  2. Ho appena letto l’articolo e visto il video….confesso di essere piuttosto stordita, faccio fatica a commentare perché le questioni in ballo qui sono davvero tante. La prima cosa che mi sono chiesta, ancora mentre leggevo, è quanto la rappresentazione di questo bambino (ambivalente come tutte le rappresentazioni) sia preponderante sull’evoluzione del bambino stesso e lo costringa in qualche modo ad allinearsi all’icona (o forse le icone) che i genitori hanno creato a partire dalla sua spontaneità. Ryan fa la parte di Ryan, non so se mi spiego. Ma allora dov’è Ryan?!?

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mariasole ariot
mariasole ariothttp://www.nazioneindiana.com
Mariasole Ariot (Vicenza, 1981) ha pubblicato Anatomie della luce (Aragno Editore, collana I Domani - 2017), Simmetrie degli Spazi Vuoti (Arcipelago, collana ChapBook – 2013), La bella e la bestia (Di là dal Bosco, Le voci della Luna 2013), Dove accade il mondo (Mountain Stories 2014-2015), Eppure restava un corpo (Yellow cab, Artecom Trieste, 2015), Nel bosco degli Apus Apus ( I muscoli del capitano. Nove modi di gridare terra,Scuola del libro, 2016), Il fantasma dell'altro – Dall'Olandese volante a The Rime of the Ancient Mariner di Coleridge (Sorgenti che sanno, La Biblioteca dei libri perduti 2016). Nell'ambito delle arti visuali, ha girato il cortometraggio "I'm a Swan" (2017) e "Dove urla il deserto" (2019) e partecipato ad esposizioni collettive. Ha collaborato alla rivista scientifica lo Squaderno, e da settembre 2014 è redattrice di Nazione Indiana. Aree di interesse: esistenza.