Tempi bui per la storia

di Giorgio Mascitelli

Tra i frutti che la sua luminosa vita ci offre il deciso impegno di Liliana Segre per evitare il ridimensionamento dello studio della storia nella scuola non mi sembra certo il meno importante. Non deve ingannare l’apparente minuzia dell’oggetto del suo intervento, ossia l’eliminazione del tema storico dalle prove per l’esame di maturità, perché Segre ha colto perfettamente che esso non è che la spia di un progressivo ridimensionamento dell’insegnamento della storia nell’ambito di una riduzione di tutte le materie ‘inutili’ alla formazione del perfetto lavoratore e del perfetto consumatore.

Sarebbe bello poter affermare che questo provvedimento è opera esclusiva del ministro dell’istruzione Bussetti e dell’attuale governo, ma la verità è che questo disegno viene da lontano ed è connesso all’idea di una scuola retta dalla pseudo razionalità economica promossa dall’Unione europea, dall’OCSE e dalle politiche bipartisan di tutti i governi precedenti, in particolare dalla riforma della Buona scuola. In questa prospettiva la scuola deve fornire solo competenze utili al mercato del lavoro e, in questo contesto, lo studio della storia è fatica sprecata. Coloro che ora denunciano da Bruxelles la diffusione dell’antisemitismo e di altre forme di odio razziale sono spesso quelli che hanno lavorato per creare una scuola totalmente incapace di difendere la memoria storica, magari pensando e perfino affermando esplicitamente che oggi per informarsi su questo genere di cose basta andare su internet.

In una società democratica lo studio della storia è fondamentale innanzi tutto perché la conoscenza di alcuni eventi, specie del passato recente, è essenziale per esercitare consapevolmente i propri diritti di cittadinanza; inoltre è altrettanto significativo mantenere la memoria dei conflitti che hanno attraversato una determinata società non perché essa offra risposte ai problemi odierni, ma perché ricorda che la democrazia non è un dono del Cielo o un dato di natura, ma è storicamente nata per rispondere in una maniera più avanzata ai conflitti del passato. E’ lecito avere il sospetto che in una società in cui la scuola è pensata unicamente come una variabile della competizione economica questo genere di preoccupazioni non esista nemmeno nei governanti.

Lo statuto della storia nella nostra società è quanto mai pericolante, in quanto il suo studio non è riducibile a metodologie quantitative, alle quali si sono riconvertite numerose scienze sociali nel tentativo di assomigliare il più possibile alle scienze naturali assecondando i criteri epistemologici di origine neopositivista oggi dominanti,  e non è nemmeno utile come disciplina da smerciare sul mercato. La scuola postmoderna, la scuola che è considerata di qualità secondo gli indicatori creati dagli economisti, la buona scuola in una parola, si adegua a questa visione dominante della statuto della storia e ne riduce il peso o addirittura la elimina. Dunque l’unica possibilità per la storia è quella di una scuola che dia importanza all’educazione ai valori di cittadinanza, ma una delle questioni del nostro tempo è se le classi dirigenti italiane ed europee siano poi molto interessate a formare dei cittadini.

Naturalmente una caratteristica saliente del nostro tempo quale il ritorno del razzismo, non in senso antropologico, perché questo vi è sempre stato, bensì come dato politico, non è certo connessa con i destini della storia come materia scolastica, ma il quadro ideologico entro cui questo ritorno del razzismo politico è stato possibile è sicuramente legato a questa marginalizzazione della storia. Liliana Segre, nella sua intervista a Repubblica del 26 febbraio scorso, ricordava che è concreto il rischio che, tra un po’ di anni, molte persone scambino il Colosseo per un’opera pubblica di quarant’anni fa non completata: oserei dire che quello che per la senatrice è un rischio da evitare, per molti è un obiettivo da raggiungere. Infatti chi non è in grado guardare nella sua giusta prospettiva storica il Colosseo, probabilmente non è in grado di guardarvi molte altre cose e questo potrebbe rivelarsi un buon affare per chi guarda il mondo dalla prospettiva di una business school di prestigio.

 

 

 

 

3 COMMENTS

  1. Scriveva Hetty Hillesum scomparsa ad Auschwitz ne suo ‘Diario 1941-1943’ il 20 luglio ’43: ‘Vorrei tanto poter trasmettere ai tempi futuri tutta l’umanitá che conservo in me stessa, malgrado le mie esperienze quotidiane. L’unico modo che abbiamo di preparare questi tempi nuovi é di prepararli fin d’ora in noi stessi……E quattro giorni dopo:’Se tutto questo dolore non allarga i nostri orizzonti…..é stato inutile……E il giorno dopo:’In me c’é un silenzio sempre piú profondo. Lo lambiscono tanta parole che stancano ´perché non riescono ad esprimere nulla.’ E il 28 luglio:….le parole giuste per testimoniare ció che dovrá essere testimoniato.’ !7 settembre:….’questi due mesi tra il filo spinato sono stati i mesi piú intensi e ricchi della mia vita…..’
    Dal Campo di smistamento di Westernbrook nella brughiera del Drenthe:……’Credo che il mondo sia bello dappertutto, anche nei luoghi che nei libretti di geografia sono descritti come desolati e aridi e monotoni. Del resto la maggior parte dei libri vele ben poco….dovremo riscriverli.’

  2. aggiungerei alle cose sacrosante che hai scritto che mai come ora abbiamo un rapporto diretto, immediato, con la storia. L’era digitale ce lo consente come mai accaduto in passato. Non dobbiamo andarla a cercare in archivi, libri e biblioteche ma spesso è lei a trovarci, in un qualsiasi deposito di internet o digitale sociale. Ma quanto più questo rapporto c’è, tanto più avremmo bisogno di una grammatica per enunciarlo e comprenderlo, di una didattica insomma. Potrebbe aprirsi una stagione fondamentale per il sapere storico e l’insegnamento della storia, e invece la chiudono.

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