Un bacione a Saviano
di Mariasole Ariot
La parola è già movimento, atto, agire: qualcuno la sta ascoltando, e l’ascolto produce, incide, traccia. L’ascolto, anche quando passivo, è sempre attivo.
Le ultime dichiarazioni del Ministro degli Interni, un videomessaggio vagante nei social, pronunciato con la stessa leggerezza del mezzo, dice qualcosa che non può sparire nell’invisibilizzazione che il mezzo, nella sua produzione ipervelocizzata, in cui tutto ciò che appare, appare per un secondo e poi slitta, e slitta fino a scomparire.
Probabilmente è anche questa una scelta voluta: dire, e potersi permettere il lusso che il detto venga presto tralasciato.
Ecco, io non credo che le dichiarazioni che partono da un bacio ad un uomo sotto scorta dai suoi 26 anni, che è minaccia, un bacio che poi dal singolo si estende a tutte le figure che (da sempre, dall’inizio) ha attaccato, si possano tralasciare, ci si possa scorrere sopra, accanto, forse dichiarare per un momento il proprio disgusto, e poi aggiungere: suvvia, non ha presa, suvvia, si sgonfierà, suvvia, non ha peso, il peso cade, è già caduto.
Perché Salvini non è un’eccezione, un’eccedenza, un elemento meteora solitario. Quel respiro d’odio, che dice perversamente: godo nell’angosciarti/nell’
Che entra negli interstizi, nel discorso comune, dove non c’è più nemmeno l’imbarazzo e il rossore nel dichiare il proprio disgusto e l’odio verso l’Altro.
Non sono solo i fatti, gli agiti, a mettere in movimento: come scriveva Canetti, “nell’oscurità, le parole pesano il doppio”.
Ancor più che come un paradosso, quell’incipit suona come una voluta e ricercata (ed anche perfidamente sarcastica) “excusatio non petita”: lo so che esordendo col bacione a Saviano andrò in contraddizione con l’imparzialità che proclamerò dopo, ma sono il potere e, in quanto potere, me ne frego di cadere in contraddizione; perché le contraddizioni si dissolvono nello strapotere conferitomi dal consenso popolare. Insomma, io sono IO e, forte del mio onnipotente consenso, posso anche giocare con la tua angoscia, come gioco con la vita e la morte degli immigrati.
“Un bacione dal lago di Como, controllando che non ci siano barchini o barconi all’orizzonte. Buona domenica Amici!”, sono parole, recenti, dello stesso spargitore seriale di baci e bacioni.
Il problema, poi, si amplifica e diventa catastrofico se si pensa ai tanti che lo seguono (e lo emulano) e trovano buffi e condivisibili questi atteggiamenti da ras del quartiere globale.
Qualcuno magari parlerà anche di satira. Ma la satira mira a sbeffeggiare e mettere in ridicolo il potere. Se si ride di chi subisce i soprusi del potere o di chi per un motivo o per un altro sta male o è in uno stato di subalternità o prostrazione non è satira, ma umiliazione, prevaricazione o prona complicità con l’oppressore di turno.
Concordo appieno con tutto ciò che ha scritto Gaetano e ci tengo a rimarcare la leggerezza, l’evanescenza attribuita alle parole pronunciate per rappresentare invece situazioni, tragedie, disagi del tutto concreti e lancinanti per i veri protagonisti.
Avallare ogni locuzione come accettabile rende digeribile qualsiasi messaggio si voglia far passare, e si contagia con questa crudele serenità coloro che non hanno strumenti critici per analizzarla e stigmatizzarla. Tutto diviene così sopportabile, anzi, si insedia nello stomaco di chi ascolta il pregiudizio che il sopruso, l’aggressività e la violenza siano l’unico metodo relazionale, sempre che il nostro interlocutore sia indifeso rispetto a noi.
Il lanciabacioni seriale intanto se la gode della pochezza intellettuale e morale del suo pubblico, come un imbonitore che riesce a smerciare fino all’ultimo articolo, e usa violenza anche sui sostenitori stessi, che non se ne accorgono e sorridono. Il sorriso in faccia al baratro.
“Tutto diviene così sopportabile, anzi, si insedia nello stomaco di chi ascolta il pregiudizio che il sopruso, l’aggressività e la violenza siano l’unico metodo relazionale, sempre che il nostro interlocutore sia indifeso rispetto a noi.” – che è, Marco di Pasquale, anche il motivo per cui su fatti come questi, atti come questi, anziché la parola che denuncia, sembra vincere il silenzio, il “massì”. E sotto, attraverso quel silenzio, fomenta e cresce appunto la modalità relazionale di cui parli, che purtroppo dilaga a macchia d’olio.
Salvini se ne deve andare.
mi ricorda quel saluto che uno dei mafiosi incriminati fece al pubblico ministero durante il maxiprocesso: “tanti cari saluti alla sua famiglia” – minaccia, bispensiero, scardinamento dei principi civili e democratici…c’è tutto anche qui purtroppo