Storia con gatto
di Andrea Inglese
Vedo un uomo. Corre via. Non è un filosofo. Io stesso corro. Io corro a perdifiato. Vedo un uomo. Corre via di nuovo. Non è lo stesso uomo. Non è neppure lui un filosofo. Io corro. Io corro da un bel pezzo. Vedo anche altre persone, oltre agli uomini. Ci sono persone e ci sono uomini. Sono misti. Anzi, sono mischiati gli uni con le altre, persone e uomini, un macello. Impossibile alla fine verificare se tra le persone ci siano anche delle donne. Vedo finalmente una donna. Ha delle anche meravigliose. Più che una persona è un personaggio. Gli uomini mancano di anche. Vedo un’altra donna. Seni bellissimi. Puramente accennati. Pur non avendo quasi seni, son pur sempre seni, quelli che porta con sé la donna, e per questo sono bellissimi. Cerchiamo di fare andare avanti la faccenda. Vengono quelli con l’automobile. Sono ubriachi, chiassosi, scendono dall’automobile, fanno polemica, puntano dei bastoni addosso alla gente, proprio sul costato. Ma è tutto sbagliato. Non dovevano essere in questa città, né tantomeno a quest’ora. Sappiamo almeno di essere in una città, tipo Baton Rouge. In effetti parlano tutti un languido americano. Alcuni però, molto più nervosi di altri, nervosi come per paura di essere scoperti, parlano portoghese. Parlano il portoghese degli eremiti. Torniamo ai ragionamenti precedenti. Io corro, mentre vedo un uomo che corre. Ci sono anche un sacco di donne. E sono caratterizzate non per il fatto di correre o di pensare a come pagare l’affitto, ma soltanto perché hanno seni grossi o piccoli. Ma in qualche modo portano avanti la bellezza. E anche l’arrapamento. Ma questo non basta. Adesso ci vogliono uomini che salgano in macchina, su delle lunghe macchine finlandesi, e che si mettano a bere fino a ubriacarsi. Dopo gli incidenti sulla nazionale, arrivano qui con gli abiti in fiamme. È tutto estremamente virile, se non fosse per questi cazzo di portoghesi, diventati ormai insopportabili, tanto sono nervosi, e vanno avanti e indietro davanti al narratore schioccando le dita. Ora cominciamo da capo con il gatto. Qualcuno lanci in aria il gatto. Non è una roba animalista, lo so. Ma qualcuno deve pur fare delle cose sporche. Salta fuori una donna, che prima, molto prima era stata un uomo. E prima ancora era morta, ma si è reincarnata in realtà decine di volte, e quasi sempre in modo sbagliato, per questo è finita a fare l’uomo senza alcuna ragione plausibile. Fatto tutto quanto è necessario per diventare donna, incluso l’impianto di seni magnifici ma appena accennati, questa donna prende il gatto del padrone di casa, e lo scaraventa sul tetto della locanda. “Siamo stufi marci di questa buffonata”, dicono i tizi con gli abiti ancora in fiamme, la faccia di soldati reduci dall’Iraq. “Qualcuno porti qui davanti a tutti il produttore.” “Non c’è nessun produttore”, dice l’unico vecchio saggio, che è anche il vecchio porco della città, sempre le mani dentro i calzoni. “Qui andiamo avanti per licenze poetiche, e vi dico pure che fra qualche minuto scatta l’ora della merenda.” Questa storia della merenda fa venire in mente a qualcuno, magari allo stesso narratore, che tutti gli uomini di corsa, visti alcune ore prima, hanno in mano una sfogliatella. La sfogliatella è l’oggetto comune e divino. Il segno preciso dell’incarnazione di qualcosa. Lo spirito della gastronomia umana. Qualcosa comunque che trascende. Dopo questo siparietto religioso, si chiude tutto con un ammazzamento senza stupro. E’ la tipa lanciatrice del gatto che decide chi e come e su quali persone. Si estraggono da esse uomini e donne, e si lasciano quelle puramente umane, indefinite. “A colpi di abete”, dice qualcuno. “Qui coltiviamo solo rosmarino e maggiorana, e qualche olivo” rispondono altri. Quando non si sa più che pesci pigliare, per fare l’ammazzamento in serie, è finita anche l’ora della merenda. E cambia tutto. Anche il secolo.
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[immagine: Robert Smithson entropic landscape 1970]
Geniale.