Overbooking: George Steiner

Il pensiero della poesia

di

Alida Airaghi

 

George Steiner, critico letterario di fama mondiale, è nato a Parigi nel 1929 da una colta famiglia ebraica di origine austriaca, che si trasferì negli Stati Uniti nel 1940 per sfuggire all’antisemitismo diffuso in Europa. Firma prestigiosa per il New Yorker, The Economist e il Times literary supplement, ha occupato diverse cattedre universitarie, a Ginevra, Oxford, Princeton, Stanford. Si è interessato soprattutto di linguistica (impegnandosi a farla uscire dalle strettoie puramente accademiche dello strutturalismo), di comunicazione e di traduzione, intese anche nel loro rilievo etico e sociale. Culturalmente la sua ricerca, radicata nella cultura classica, ha attraversato molti campi di indagine: dal teatro alla musica, dalla religione alla politica.

Nel volume La poesia del pensiero, pubblicato a New York nel 2011 e da Garzanti l’anno seguente,

l’attenzione dell’autore si focalizza sul rapporto tra linguaggio poetico e filosofia, a partire dalle origini del pensiero occidentale, in un’ottica però assolutamente eurocentrica, che esclude le culture orientali e le Americhe.

Qui Steiner si propone di indagare “le collisioni, le complicità, le compenetrazioni e le commistioni tra filosofia e letteratura, tra il poema e il trattato metafisico”, nella convinzione che “il pensiero nella poesia e il poetico del pensiero sono atti della grammatica, del linguaggio in movimento. I loro mezzi, i loro vincoli sono quelli dello stile”. Addirittura, tutta la filosofia è in primo luogo “stile”, inseparabile dai suoi contesti semantici.

Pertanto, in principio era la parola, e anche se poesia e filosofia sembrano avere finalità diverse – la prima aspira a re-inventare il linguaggio, la seconda si adopera per rendere il linguaggio rigorosamente trasparente, per liberarlo da ambiguità e confusione –, entrambe utilizzano lo stesso mezzo espressivo, contaminandosi a vicenda.

Già a partire dai primi frammenti dei presocratici, l’articolazione e la comunicazione di un concetto si è assoggettato alla dinamica e alle limitazioni del “soffocante recinto del linguaggio” e della sua sintassi. Il miracolo della nascita del pensiero astratto in Grecia tra VI e V secolo ha avuto come protagonisti figure eccezionali nell’anticipare teorie fisiche, cosmologiche, geometriche utilizzando la visionarietà del mito, la fantasmagoria della metafora. Steiner non lesina gli esempi: Eraclito, che con la sua oscura densità, la sua ambiguità semantica e le elisioni paratattiche fu amato da Nietzsche e Wittgenstein, filosofi “inclini al rapsodico e all’oracolare”. Parmenide, su cui Heidegger scrisse lezioni magistrali. Empedocle, ieratico e seduttivo, che con la musicalità delle sue Purificazioni affascinò i teorici del romanticismo. Zenone venne citato da Valéry nel Cimetière marin, mentre l’atomismo materialistico di Democrito rimase un faro luminoso nel pantheon marxiano.

L’ibridismo tra parola immaginativa e parola razionale ha segnato per più di duemila anni la produzione filosofica occidentale, e autorevolmente George Steiner ne indica come primo artefice Platone. I dialoghi e le lettere del filosofo ateniese “sono atti letterari performativi che restano insuperabili per ricchezza e complessità”: nell’Apologia, nel Fedone, nel Simposio la figura di Socrate assume la grandezza morale del Cristo evangelico, grazie alla resa teatrale e tragica, liricamente ispirata, di quella prosa. Se è vero che Platone condannò la poesia e i poeti come corruttori del costume pubblico e ingannevoli inventori di illusioni, è perché diffidava e temeva l’attrattiva del “sommo drammaturgo, creatore di miti e narratore di genio presenti nelle proprie potenzialità”.

Il dialogo come genere letterario, che lo ebbe come eminente iniziatore, mette in scena l’oralità, nel metodo di interrogazione, confutazione, correzione tra due o più protagonisti: ha avuto degni rappresentanti in Cicerone, Luciano, Agostino, Abelardo, Galileo (scienziato-filosofo-scrittore arguto anche nel postillare opere di Petrarca, Ariosto e Tasso), Berkeley, Hume, fino a Paul Valéry: tutti loro, nello scambio democratico delle opinioni espresse verbalmente, recuperavano un fecondo e stimolante clima antiautoritario e antisistematico.

Nel quinto capitolo del volume, Steiner ci offre alcuni ritratti di famosi filosofi che hanno fatto dello stile letterario un carattere distintivo della loro realizzazione teorica. A iniziare da Cartesio, “algebrista metafisico… virtuoso del congiuntivo e del trapassato”, appassionato di poesia e in particolare dei classici latini su cui modellò la sua prosa, vigorosa ed elegante: a lui il poeta tedesco Durs Grünbein ha dedicato un poemetto pubblicato da Einaudi nel 2005. Poi Hegel, sintatticamente tortuoso, lessicalmente plumbeo, intenzionalmente oscuro, poiché pretendeva dai lettori lo sforzo laborioso dell’interpretazione e della concettualizzazione. L’inacessibilità della sua scrittura, che aspirava “alla collisione con la materia inerte del luogo comune”, è diventata un tratto caratterizzante di molti letterati e filosofi moderni: da Pound a Joyce e Celan, da Adorno a Lacan e Derrida.

E ancora Marx, in cui “retorica analitica e profetica” e utilizzo pungente della satira rivelavano analogie con la pratica rabbinica e il dibattito talmudico; Nietzsche, che sapeva magistralmente fondere speculazione astratta, poesia e musica con un’incredibile virtuosità stilistica; Bergson, premio Nobel per la letteratura nel 1927, che influenzò tutta la produzione letteraria europea tra le due guerre; Freud, che aspirando al Nobel per la medicina ricevette invece il premio Goethe per la sua scrittura.

 

Lo stile aforistico, frantumato, oracolare di Wittgenstein affonda le sue radici nei frammenti eraclitei e nelle anafore di Blake e Rimbaud, più che in qualsiasi altra opera formalmente filosofica.

Ma è stato soprattutto Martin Heidegger che ha individuato nella simbiosi tra poesia e pensiero, tra espressione performativa e argomentazione teorica (“pensiero poetante, poesia pensante”) l’occasione di rinascita di un linguaggio in grado di recuperare l’autenticità dell’Essere. I suoi impareggiabili commenti a Sofocle, George, Mörike, Rilke, Trakl, Hölderlin, Char, Celan hanno arricchito vicendevolmente letteratura e filosofia, indicando nell’atto ermeneutico della lettura l’unica possibilità di penetrazione e appropriazione nel/del logos. La stessa prosa di Heidegger, così ermetica, ha avuto un impatto linguisticamente innovativo, con i suoi arditi neologismi e l’ostinata paratassi: Paul Celan ne seppe fare tesoro nelle sue criptiche composizioni.

Lungo tutto il XX secolo la compenetrazione tra poesia e filosofia è divenuta assoluta e inestricabile: dopo Bergson, ogni filosofo è stato anche scrittore, e viceversa. Ma a quale linguaggio si affida il pensiero novecentesco? Non più a quello lineare e intellegibile della classicità, bensì a codici operanti una frattura tra significante e significato, attigui spesso al silenzio e all’incomunicabilità, non più tesi alla verbalizzazione del reale, perché consapevoli della non-veridicità della parola, sempre opaca e illusoria.

La lingua infatti non può competere con l’universalità della musica o della matematica: la prima ha un’intrinseca capacità di simultaneità polisemantica, che può raggiungere ed emozionare chiunque, in ogni luogo e tempo; la seconda è precisa, affidabile, trasparente, autosufficiente. Il linguaggio è invece ambiguo, equivocabile, indeterminato: quello della poesia, poi, è per sua natura evocativo, misterioso, velato. Ma proprio in questa enigmaticità sta la sua originale ricchezza, cui George Steiner si appella contro l’impoverimento attuale della comunicazione, standardizzata, ridotta a gergo minimalista oppure a tecnicismi inerti. E, da umanista “arcaico” come si definisce, si augura che poesia e pensiero ritrovino i loro spazi di silenzio e intimità, che “da qualche parte un cantore ribelle, un filosofo ebbro di solitudine” sappia ancora regalare al mondo l’emozione del pensiero poetante di cui parlava Heidegger.

 

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francesco forlani
francesco forlani
Vive a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman e Il reportage, ha pubblicato diversi libri, in francese e in italiano. Traduttore dal francese, ma anche poeta, cabarettista e performer, è stato autore e interprete di spettacoli teatrali come Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, con cui sono uscite le due antologie Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Corrispondente e reporter, ora è direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Con Andrea Inglese, Giuseppe Schillaci e Giacomo Sartori, ha fondato Le Cartel, il cui manifesto è stato pubblicato su La Revue Littéraire (Léo Scheer, novembre 2016). Conduttore radiofonico insieme a Marco Fedele del programma Cocina Clandestina, su radio GRP, come autore si definisce prepostumo. Opere pubblicate Métromorphoses, Ed. Nicolas Philippe, Parigi 2002 (diritti disponibili per l’Italia) Autoreverse, L’Ancora del Mediterraneo, Napoli 2008 (due edizioni) Blu di Prussia, Edizioni La Camera Verde, Roma Chiunque cerca chiunque, pubblicato in proprio, 2011 Il peso del Ciao, L’Arcolaio, Forlì 2012 Parigi, senza passare dal via, Laterza, Roma-Bari 2013 (due edizioni) Note per un libretto delle assenze, Edizioni Quintadicopertina La classe, Edizioni Quintadicopertina Rosso maniero, Edizioni Quintadicopertina, 2014 Il manifesto del comunista dandy, Edizioni Miraggi, Torino 2015 (riedizione) Peli, nella collana diretta dal filosofo Lucio Saviani per Fefé Editore, Roma 2017