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Per un museo della lingua italiana
di
Giuseppe Antonelli
Il 21 dicembre 2015 un incendio ha distrutto a San Paolo del Brasile il Museo della lingua portoghese. Quattro piani di esposizione inaugurati nel 2006: libri, manoscritti, totem e installazioni multimediali, diffusioni audio e video, postazioni interattive. L’«Albero delle parole», la «Piazza della lingua», la «Grande galleria» con uno schermo di 106 metri, l’auditorium dove si proiettava il film Idiomaterno, un intero piano per le esposizioni temporanee (34 in dieci anni). Il più grande museo del mondo dedicato a una lingua, ma non l’unico. La lingua italiana, invece, un museo non ce l’ha e non ce l’ha mai avuto. Il museo della lingua italiana è rimasto finora un progetto irrealizzato.
In questi anni sono stati fatti alcuni progetti: molti prendono spunto dalla mostra Dove il sì suona che si tenne agli Uffizi nel 2003. Ma certo tutti i preziosi documenti che lì furono esposti per diversi mesi – autografi di Petrarca, Boccaccio, Ariosto, e molti altri pezzi unici – non potrebbero mai far parte di una collezione permanente. Bisogna immaginare, allora, un’esposizione che lasci largo spazio al multimediale e all’interattività: un percorso nella storia che sia anche un’esperienza dei sensi. Perché la lingua non è solo scritta e non è solo letteraria. La lingua è da sempre lo specchio di una società e l’italiano non fa eccezione. Porta in sé – stratificati – secoli e secoli di storia, ma continua a riflettere – giorno per giorno – l’evoluzione del nostro costume, della nostra mentalità, delle nostre abitudini.
Un Museo della lingua italiana servirebbe, ad esempio, a ricordarci che una lingua italiana è esistita molto prima che esistesse un’Italia politica: già Dante parlava della «lingua del sì». A capire che la lingua non è uno strumento neutro: rivela la nostra visione del mondo, il nostro stile di vita; plasma la realtà che ci circonda, modificando valori e significati. Ad avvertirci che le parole nuove o straniere ci sono sempre state e fanno parte di una sana evoluzione di ogni lingua e di ogni cultura; che la grammatica cambia nel tempo; che per secoli sapersi esprimere in lingua – e non in dialetto – è stata una conquista faticosa. Ne resta testimonianza nei tentativi di chi sapeva a malapena scrivere: come le lettere degli emigranti o dei soldati, in cui si sente ancora tutta la fatica fatta per riuscire a comunicare in situazioni di grande urgenza.
Ogni museo è un luogo vivo, in cui la memoria lega il passato al presente e soprattutto a un’idea di futuro. Così sono tutti i musei che valga la pena di visitare. Così sarà il museo della lingua italiana a cui stiamo lavorando. Il #Museodellalinguaitaliana è un progetto aperto alle idee di chiunque voglia contribuire. La petizione che – con Luca Serianni, abbiamo lanciato tramite change.org è un modo per trovare a queste idee un luogo concreto in cui vivere: si può firmare qui.
Grazie a chi sta condividendo e vorrà condividere con noi questo sogno!
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*kelle fini
Scrivevo il 19 marzo 2008:
«Con orrore constatiamo che la lapide a piazza Medaglie d’Oro è stata sí acconciata là dov’era da correggere POSETTE in POSSETTE, ma in compenso è stata sconciata là dove un KELLE certamente non era da correggere in KELLI e tuttavia – per eccesso di zelo correttista – la E finale è stata uccisa e l’ha sostituita una I! eppure ve l’avevamo ben ricordato, due volantini fa, il Placito intero».
Ahimè, cialtroneria e insipienza dilagano…
E se nel dire fosse stato detto kelli trascritto poi come kelle? Proporrei a questo punto Kell. Ke ne dicite?
Meglio attenersi ai documenti (anche se confusi, fallibili o riscrivibili) ^ . ^
exact
caro Corrado, pensavo proprio a questo e grazie a te. L’involontario accostamento delle due iscrizioni, la prima recuperata in rete e da me adattata al post, e la seconda che riproduce l’originale, forse ci porta nella direzione auspicata da Giuseppe, con allegria, di verità delle fonti. effeffe
Sì, e si tratta di un progetto magnifico che meriterebbe la priorità assoluta. Avanti così!