Storia con cane
di Andrea Inglese
Entrano distruggendo cose e, sul più bello, tra la nevrastenia di tutti, vittime sdraiate e carnefici in piedi sugli sgabelli, alla fine anche il cane prende la parola, comincia il suo discorso con un tossicchiare assorto, passa in rassegna alcuni slogan introduttivi, quello dei limoni-giallo-oro commuove anche gli imprenditori edili, poi asserisce sereno: “Che sia una cosa strana, questo lo concedo, ma non è da oggi che voi uomini desiderate cani parlanti, e anche rane, se vogliamo, rane che fanno supposizioni, e ratti con il calcolatore in mano, e fagiani ammalati, che chiedono rassicurazioni a dei medici talpa, tutto questo non fa una piega, ma quando veniamo al sodo, quando poi, io come cane, in rappresentanza di molti altri cani, anche malandati, chiedo a voi delle garanzie, dei vitalizi, delle pensioni, cose insomma di economia domestica, ma che esigono rispetto e fede, certezza nella parola data, diritti universali, accoglienza del diverso, a questo punto voi vi innervosite. C’è dentro l’uomo, anche volenteroso, una orribile, nauseante, contraddizione, dico bene?” A quel punto si alzò in piedi una vittima, era una donna a cui avevano slogato un braccio, tagliuzzato l’addome, preso a calcioni il femore, sputacchiato sulla nuca, e la tiravano in mezzo alla sala per i piedi, questa stessa povera giovane, perché in fondo avrà avuto sì e no ventotto anni, ebbene questa donna disse che il cane simulava, che era un animale di tipo paranoico, che le leggi canine sono ben più involute di quelle degli esseri umani senza un’occupazione fissa, che bisognava torcergli il collo, e davvero cercava di offenderlo mortalmente, rompendogli il cuore di dolore. Se non fosse comparso il presidente dell’associazione, se non fosse salito sul palco, assieme ai suoi amici dai capoccioni rasati, se non avesse sollevato in alto il gonfalone dei morti senza ragione, dei morti inutili, dei morti obsoleti e innocenti, non vi sarebbe stata conclusione accomodante. Dopo aver distrutto le cose, e anche i corpi con le loro conformazioni muscolari, nervose, ossee, a colpi di martello, i carnefici parlarono per ore davanti alle telecamere, sbrogliando la loro difficoltosa storia di massacratori, e presero a testimone il cane, ultimo sopravvissuto, che perorava, tra un’apologia e l’altra del buon massacro o delle giuste torture praticate dagli umani, perorava sempre, anche sottovoce, quella pensioncina, quella dose di intruglio per cani, ma garantita mensilmente, che gli fosse concessa fino al giorno della sua morte. Una vera ossessione.
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[Immagine: Charlotte Perriand, foto, 1933.]