Maestri e Amici
di Franco Buffoni
Dante e i suoi maestri
Nel canto XV dell’Inferno due parrebbero essere i punti fermi relativamente al rapporto tra Dante e Brunetto Latini:
– Dante mostra rispetto e affetto per il maestro: gli dà del “voi”; si rivolge a lui come a “ser Brunetto”;
– Dante condanna Brunetto alla pena eterna in quanto “sodomita”.
Il mio obiettivo è di mostrare come entrambi questi as-sunti possano essere messi in discussione, e persino radical-mente contraddetti.
Iniziamo dal primo, considerando anzitutto l’arretratezza del bagaglio letterario e culturale di Brunetto – ancora stret-tamente legato all’enciclopedismo e alla poesia didascalica – rispetto all’ampiezza del respiro lirico e al rigore morale della nuova poesia di Dante, una volta abbandonato nell’incompiuto Convivio l’insegnamento del maestro. Da una parte, dunque, Brunetto che pervicacemente continua a dare credito al caso («Se tu segui tua stella…»), dall’altro Dante che invece si af-fida alla Ragione rappresentata da Virgilio, guidata dalla Gra-zia: per lui la Fortuna è ormai Intelligenza celeste, all’interno della quale – pur permanendo chiare considerazioni relative all’influsso degli astri, come nel Paradiso all’entrata nella co-stellazione dei Gemelli – appare completamente trascesa la meccanicistica visione astrologica del Latini.
Alla riflessione sull’arretratezza culturale di Brunetto, vor-rei aggiungere un dato che non mi risulta sia mai stato posto nella debita luce: Brunetto non riconosce Virgilio. Laddove Dante, all’inizio della cantica, lo riconosce immediatamente. Come mai? Credo vi sia una sola risposta, perché sarebbe ridicolo parlare soltanto di luce soffusa: Brunetto non è de-gno, non è all’altezza di riconoscere Virgilio. Brunetto pensa solo al suo Trésor, lo raccomanda all’ex allievo pateticamente, e l’ex allievo gli darà gloria perenne per luce riflessa, il modo peggiore che un autore possa desiderare per essere ricordato. Brunetto non riconosce Virgilio perché questi è troppo grande per lui. E nemmeno cammin facendo Dante ritiene sia il caso di rivelare a Brunetto l’identità del suo nuovo mae-stro Virgilio.
Virgilio la cui opera assorbe e trasmuta la grandezza dei più grandi tra i suoi precursori; Virgilio capace di celare in ogni esametro un universo citazionale, referenziale, interte-stuale, e al contempo di mostrarci poesia pura, limpida, affat-to appesantita, semplicemente perfetta, e volta a preconizza-re, prevedere, abbracciare le più grandi tra le opere future. Come quella di Dante.
Ser Brunetto – per contro – non vede oltre il proprio na-so, pensa solo a sé stesso, si vanta di aver compreso le doti letterarie del suo allievo, ma anche qui in modo estremamen-te riduttivo, non accorgendosi che proprio in questo suo in-coraggiare e incitare l’allievo («non puoi fallire a glorioso porto»; «dato t’avrei a l’opera conforto») sta un’ulteriore di-mostrazione di arretratezza culturale, di inadeguatezza.
Dante vuole far fare brutta figura a Brunetto Latini non per-ché “sodomita”, ma perché mediocre letterato. E ci riesce perfet-tamente, malgrado le parole di affetto («la cara e buona immagine paterna») e le manifestazioni di gratitudine («m’insegnavate»). L’immagine diviene persino scultorea con Brunetto in basso – non in quanto peccatore, ma in quanto culturalmente ina-deguato – e Dante rivolto ormai a Virgilio in modo definiti-vo. Virgilio che pur si degna di considerare Brunetto per il suo buon senso («Bene ascolta chi la nota»), ma dall’alto e con lo sguardo già volto a ben altri incontri, a ben altre espe-rienze di viaggio.
Quanto al secondo punto, occorre fare attenzione a non procedere in modo banalmente sillogistico e superficiale. Dante in Inferno XV non condanna l’omosessualità, così co-me in Inferno V non condanna l’adulterio. Certo, Paolo e Francesca sono all’Inferno in quanto adulteri; e Brunetto Latini vi si trova in quanto sodomita. Perché Dante applica la lettura cristiana della corrispondenza peccato-pena. Ma indica anche una via a sé stesso e al lettore: impegniamoci a essere virtuosi, a superare le tentazioni della carne e della vita terrena, noi che questi atti li abbiamo desiderati, li abbiamo commessi. E questo senza voler minimamente rinverdire antiche dispute su Dante uomo e poeta da una parte, e Dan-te teologo e giudice dall’altra; o tra struttura teologale del poema e poesia capace di comprendere e assolvere.
Occorre anche distinguere tra la legge – che per sua natu-ra non può che essere generale e astratta – e l’atteggiamento “umano” di Dante, che è sempre concreto, individuale. Per-tanto, così come tutta una tradizione di amore cortese rivive e viene immortalata nel bacio di Paolo e Francesca, allo stes-so modo tutta una tradizione di omosessualità e cultura rivi-ve nell’incontro tra Dante e Brunetto. «Tutti fur cherci / e litterati grandi e di gran fama», rivela Brunetto parlando dei tanti chierici e letterati che compongono il suo gruppo.
Brunetto è un omosessuale organico. È il maestro omo-sessuale che non riesce a trattenersi dall’accarezzare “pater-namente” ogni volta che può i propri allievi: lo fa ancora, anche con Dante, anche in questa occasione. Non dimenti-chiamo che Brunetto ha applicato in chiave omosessuale gli stereotipi del corteggiamento amoroso tipici della scuola sici-liana nella canzone per Bondìe Dietaiuti. Ma Brunetto è an-che un pavido, che nel Tesoretto (2, 33, 44) condanna senza appello la sodomia: «Deh, come son periti / que’ che contra natura / brigan cotal lusura». Ciò che un Dante estremamente problematico e intrigante si guarda bene dal fare nella Commedia, dove mostra la fine che fanno i peccatori: tutti i peccatori. Oggi diremmo che Brunetto è un omosessuale velato. Come ognun sa, si tratta della categoria più scatenata sessualmente in quanto maggiormente repressa, e quindi la più a rischio in ogni senso.
E Virgilio? Virgilio, il modello, il nuovo Maestro? Duran-te l’adolescenza veniva deriso dai compagni, schernito e sbeffeggiato come “fanciullina”, perché capace di provare trasporto amoroso solo per i ragazzi. Era di salute cagione-vole, timido, già malato di tisi, e dunque spinto a condurre una vita solitaria, volta alla meditazione, alla speculazione filosofico-letteraria e quindi alla grandezza dell’artista creato-re. Dante sa benissimo che anche le pulsioni del nuovo mae-stro furono sempre di segno omoerotico. Ma non se ne stu-pisce e tanto meno se ne preoccupa. Il punto è non più peccare, non non desiderare.
Dante non è omosessuale come Virgilio o come Brunet-to. Ma, come ogni uomo “normale”, può compiere atti omo-sessuali se le circostanze sono favorevoli. Va ricordato che, nella sua cerchia, tra chierici e letterati per l’appunto, il fatto che certi rapporti esistessero era non solo tollerato, ma prati-camente considerato la norma. E forse l’immagine emblema-tica di questo dantesco stare “sia di qua sia di là” appare proprio all’inizio del canto, con Dante che cammina sul ci-glione dell’argine del Flegetonte, paragonato a una diga.
Non abbiamo dati precisi relativi al Trecento, ma all’inizio del Quattrocento, a Firenze, oltre il sessanta per cento dei maschi adulti era stato arrestato almeno una volta per avere commesso atti di sodomia. E si sa che le multe che si pagano per le infrazioni commesse – e quindi registrate – sono di gran lunga inferiori alle infrazioni effettivamente commesse ma con discrezione (e comunque non rilevate). In sostanza l’accusa di sodomia era il mezzo più semplice a disposizione di chiunque per vendicarsi di qualcuno: funzionava sempre.
Tutto ci lascia supporre che la situazione non fosse molto diversa all’epoca di Dante. D’altro canto è risaputo che la relazione omosessuale per antonomasia fioriva nelle scuole di retorica tra maestro e allievo. Dante, dunque, detto in termini contemporanei, compie un outing rivelando pubbli-camente l’omosessualità di Brunetto. Ma il décor stesso del canto insiste su immagini di reciprocità e di inversione. Co-me ha osservato Tommaso Giartosio, «maestro e allievo si muovono in parallelo, si toccano, perpetuano i ruoli scolasti-ci oppure praticano un rituale gioco delle parti, fino a un cu-rioso scambio di cortesie per decidere chi sta sopra e chi sta sotto (l’argine)». E ancora: l’atmosfera stessa del canto, soli-tamente definita come purgatoriale, una penombra discreta e sfumata; con apparizioni indistinte che scrutano «come suol da sera / guardare un altro sotto nuova luna»; pochi accenni alla pena; il Flegetonte descritto come un ruscello. Una am-bientazione che sottolinea la dimestichezza tra Dante e Bru-netto, il tono patetico e pudico del loro ritrovarsi. Un simile regime di scarsa visibilità si adatta perfettamente (come scris-se Mario Mieli) ai luoghi di battuage un tempo frequentati da-gli omosessuali.
Va infine ricordato che entrambi, Dante e Brunetto, furono condannati all’esilio (Brunetto era guelfo e fu esiliato per sei anni). E proprio da Brunetto giunge a Dante la pro-fezia più chiara relativa al proprio esilio. Al punto che, per alcuni commentatori, tema vero del canto non è la sodomia bensì la polemica di Dante con Firenze. Resta il fatto che il canto dedicato all’omosessualità è anche il canto dell’esilio; e in tale ottica il verso «dell’umana natura posto in bando» possiede polisemica valenza.