Anima latina
[ecco un bel libro di critica musicale. Io normalmente non li sopporto, tutti presi a parlare delle parole delle canzoni, dimentichi che una canzone è soprattutto la sua melodia, le scelte sonore, ritimiche, armoniche, gli arrangiamenti, gli esecutori, etc. ché magari ricordiamo pure un verso di una canzone, ma se ce lo ricordiamo è perché lo sappiamo cantare (abbiamo finto di masticare l’inglese per decenni, senza sapere cosa dicevamo, ma che cosa cantavamo ne siamo certi). Tra l’altro io non amo Mogol, il Battisti che preferisco è questo. Ma Anima Latina è un disco epocale per la musica pop italiana e Renzo Stefanel riesce a dirlo bene, con entusiasmo, passione e competenza. Estraggo un paio di pagine dal suo libro, giusto per capirci, nello specifico sono dal cap. 10: “Gli uomini celesti”, pag. 163-166. Video con canzone in fondo al post. G.B.]
di Renzo Stefanel
Tornando a Gli uomini celesti, che è meglio, è interessante che nella prima strofa la voce di Battisti sia effettata, quasi “inscatolata”, con un sottofondo molto discreto, pieno di pause e note lunghe, lasciate andare, a sottolineare la “speranza spezzata” del protagonista.
Interessante pure che nella seconda strofa, dove si “incriminano” le false soluzioni, il clima sia più movimentato, con una chitarra acustica usata in funzione ritmica e l’altra che stride grattando le corde all’altezza della paletta. La voce, all’inizio nuovamente “inscatolata” […], sembra entrare e uscire dall’effetto, per chiudersi definitivamente in esso sulle parole “copra ogni tormento”: un’evidente metafora musicale del tentativo di scrollarsi di dosso i falsi miti, che la presa di coscienza della loro erroneità implica e stimola. […]
E qui, colpo di scena sonoro. Dopo un accordo di chitarra synth […], c’è una nota bassa, forse di synth o sempre di chitarra effettata, quasi la sirena di una nave, in Do, una nota che non c’entra assolutamente nulla con la scala usata nel brano, anzi è una dissonanza. E si prolunga per sei battute, ma non in 4/4, come è il resto della canzone, ma in 6/4. Accompagnano un (altro?) synth a note alte, la solita chitarra grattata alla paletta, la batteria, le percussioni (forse un guiro o una cabasa). L’intermezzo è notevole per due motivi. Da un lato è un richiamo abbastanza esplicito a un brano di Milton Nascimento e Lô Borges contenuto nel solito Clube da esquina, Um girassol da cor de seu cabelo, dove a 2’08” la canzone si interrompe improvvisamente per dare spazio a un intermezzo di archi introdotto da un violoncello su una nota dissonante rispetto alle precedenti e dal suono simile, appunto, alla sirena di una nave. Dall’altro, però, visto che Battisti non copia, lo spunto è rivissuto in maniera straordinariamente moderna: sarà quel synth così kraut, sarà la sensibilità europea di Battisti, ma l’intermezzo, pur con tutte le sue percussioni brasileire (o forse a causa di esse e del loro strano connubio con l’elettronica), più che al brano di Milton Nascimento e Lô Borges fa pensare a certe soluzioni “etniche” del Bowie fine anni Settanta (l’intro di African Night Flight, 1979, da Lodger) o addirittura dei Duran Duran (l’intermezzo di Hungry like the Wolf, 1982, da Rio). Non si tratta certo di filiazioni dirette, sia chiaro. Quello che è notevole è come Battisti anticipi una certa sensibilità anni Ottanta. Non è certo questa l’unica volta.
Finalmente, a 3’24” inizia l’ultima strofa:
Ma se tu rifiuterai di giocare all’attore
forse un libro scriverai come libero autore.
E tu forse parlerai di orizzonti più vasti
dove uomini celesti portandoti dei figli
ti diranno: “Scegli!” ben sapendo che ridendo tu
tu a loro ti unirai…
Ora la voce è libera dall’effetto “inscatolamento” e su “orizzonti più vasti” si circonda di un riverbero che sembra squadernarceli davanti, questi orizzonti. L’accompagnamento fluisce libero, senza timori, stop o pause: è il fluire libero della vita, il prenderne in mano consapevolmente le redini, il risorgere della speranza. Ma chi sono gli “uomini celesti”? Mogol: “Comunque qualcosa di ideale: sono gli uomini che farebbero arrivare un mondo migliore.” “Celeste”, qui, indica sicuramente una provenienza dal cielo (quello in cui volavano liberi i colombi, d’altro canto), inteso come ideale. Ma al tempo stesso, giocando sul suo doppio significato, è ricollegabile a una simbologia precisa che nelle canzoni di Giulio Rapetti hanno il celeste e le sue sfumature: […] purezza e passione.
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Sì, va bene, ma l’espressione “sarà quel synth così kraut” è peggio di un calcio in faccia.
Che poi Battisti abbia ripreso – senza copiarlo – un intermezzo del grande Nascimento è importante? Secondo me no. E’ uno sfoggio di “mania d’interpretazione”.
In effetti così è poco chiaro. Nel libro si capisce dell’importanza di un viaggio in Brasile fatto proprio in quegli anni da Battisti. E anche sul “kraut” Stefanel intende (in altre parti) parlare dell’ossessione di aggiornamento continuo del panorama sonoro del Battisti di quegli anni (in una intervista inedita Toni Esposito afferma che aveva sentito parlare per la prima volta da Battisti di musicisti quali gli EW&F, praticamente sconosciuti in Italia, anche se molto famosi negli USA).
Ho capito. Resta il fatto che la scrittura – a mio avviso – lascia a desiderare. Un’espressione come “synth così kraut” è orribile.
Poi: sul fatto che Battisti abbia avuto la stessa di idea di Milton Nascimento captando l’aria del Minas Gerais ho qualche riserva. Se il pezzo di Milton è precedente, come sembra, puo’ essere che l’idea se la sia intascata. Non è che i morti, perchè defunti, siano automaticamente da santificare. Non sarebbe un furto poi, ovviamente. Battisti non ne aveva bisogno, era un musicista vero, un artista vero.
La critica musicale a me pare francamente una pratica inutile: basta leggere i giornali. Non è solo Luzzatto Fegiz, che scrive solo dei testi e mai della musica, come se questa della canzone fosse un accessorio; sono anche gli altri.
Il critico più esilarante è il “grande” Quirino Principe: scrive un libro su Mahler indicando le parti delle sinfonie del maestro che lui ritiene deboli e suggerisce cosa e come cambiare. Da internamento.
Sei, perciò, d’accordo con Frank Zappa?
(che diceva: “parlare di musica è come ballare d’architettura”)
Certo. Frank era un genio.
Non basterebbe un’autobotte di Tantum Verde a disinfettare certe bocche.
Che noia. Adesso non si possono dire cose normali su argomenti normali? Mi devo disinfettare la bocca o le mani, poi? Per le mani ci sono altri prodotti.
Chi ti ha nominato, Franz? Ti senti al centro del mondo? Per le mani funziona bene il Cyclon, la pasta lavamani per i lavoratori… :-)))
Sei furba, lambertibocconi…
Be’, che succede qui? Si parlava di musica, con Franz, mi pare… Se avete da dirvi qualcosa voi due scrivetevi in privato, please…
Abbi pazienza, non c’ho voglia. Mi scriva in privato lei, io non ho nulla da dirle.
Intervengo non perché voglia difendere me stesso e il mio libro (ognuno è padronissimo di pensarla come vuole), ma per puntualizzare alcune cosette:
1. Anche io non sopporto le santificazioni. Infatti nel libro non ne faccio, ma bisognerebbe leggerlo tutto per capirlo ed è cosa che auguro solo a chi è interessato. Se dico che Lucio non ha copiato da “Um girassol da cor de seu cabelo” è perché non mi sembra proprio. A ogni modo, ognuno può farsi la sua idea ascoltando il brano originale qui: http://www.youtube.com/watch?v=XzaidGEh8yY
2. Così come non è da santificare Lucio Battisti, non è neppure da santificare Frank Zappa, il quale, con la sua uscita sulla critica musicale, ha detto – a mio modesto parere – una solenne cazzata, valida magari per molti, ma non per tutti. Mettendomi io tra i molti, citerei fra i non tutti che potrebbero far cambiare idea anche al buon Frank se fosse ancora fra noi, Simon Reynolds, Hugh Barker e Yuval Taylor, Paul Morley, Peter Shapiro, grandissimi saggisti. E anche Lester Bangs, anche se lui era più scrittore. Circa l’obbiettività di Zappa (che per inciso piaceva molto a Lucio, che lo cita all’inizio di “Luisa Rossi”, 1967), basti l’aneddoto che lo vide protagonista in un ristorante di Berlino, se non erro: scorto David Bowie che cenava a un altro tavolo, si alzò, si diresse verso di lui e senza dir nulla gli assestò un gran cazzottone. Motivo? Bowie era colpevole di aver ingaggiato Adrian Belew per “Lodger” e il tour che avrebbe portato a “Stage”, “sottraendolo” così alla band del suo scopritore, Zappa stesso, appunto.
3. Quando scrivi un intero libro su un disco solo, che fai se non approfondire criticamente lo stesso? Su “Anima latina” una delle questioni in sospeso da sempre è la definizione delle sbandierate influenze brasiliane sull’album. Per cui è una delle cose che ho cercato di chiarire. Poi posso aver detto cazzate, eh. Ma la notazione (e le molte altre presenti nel libro) sono ispirate a questa direzione di approfondimento (non l’unica, peraltro).
Scusate l’intervento, non vorrei apparire malato di protagonismo.
Be’, la frase di Zappa è una minchiata, ma è una bellissima minchiata. E poi il fatto che abbia preso a pugni Bowie me lo rende praticamente mitologico.
ho anche il difetto di essere un inguaribile bowiano :(
vabbe’, dai, nessuno è perfetto… ;-)
anche Miles Davis aveva detto di “suonare quello che non c’è”, il che di ‘sti tempi va benissimo, “compra quello che non c’è con i soldi che non hai”.
per il resto non toccatemi battisti-mogol, che se non c’era la canzone del sole col cavolo che suonavo la chitarra.
e come le rimorchiavo poi le ragazze al liceo?
Mi scuso con Stefanel. Non ritratto nulla, ma il libro bisognerebbe leggerlo tutto prima di farsene un’idea anche vaga. Per il resto sui grandissimi saggisti citati dall’autore non so nulla. Bangs invece l’ho letto e credo abbia sprecato il suo talento letterario parlando di aria fritta.
Zappa ha fatto bene a menare Bowie per un semplice motivo: Andrew Belew non è uno dei tanti. E’ come se Berlusconi soffiasse a Moratti Ibrahimovic senza pagarlo. (Ok, Moratti il pugno se lo autoinfliggerebbe, ma questo è un altro discorso.)
la critica musicale potrà anche essere una pratica inutile ma “NoReply” con la collana Tracks (un disco/un libro) mi pare stia facendo un lodevole sforzo per rivitalizzarla, quanto meno a livello editoriale. un mio modestissimo parere.
Era Adrian Belew.
Sì, No Reply fa cose lodevoli. E scusate il disturbo.