Bocca di rosa
L’ex partigiano e l’invenzione dei carabinieri trucidati
di Piero Sorrentino
Il cinico non è adatto a questo mestiere, recita il titolo di un bel libro – intervista di Ryszard Kapuscinski con Maria Nadotti. E il mestiere del titolo è ovviamente il giornalismo. Leggendo l’ultimo libro di Giorgio Bocca su Napoli, Napoli siamo noi (pagg. 134, 14 euro, Feltrinelli) si è spinti a integrare il titolo di Kapuscinski con una chiosa non del tutto superflua: Il cinico (e il distratto) non sono adatti a questo mestiere.
Era da tempo che in un così smilzo volumetto (talmente smilzo che l’editore s’è visto costretto a rimpolparlo con decine e decine di pagine bianche: su 134 fogli, quelli effettivamente stampati sono poco meno di 108) non si riscontrava una così imbarazzante serie di errori, incongruenze, refusi, inesattezze.
Qui di seguito se ne prova a dare un’idea. Con un’avvertenza di non esaustività del rapporto: la pioggia era così fitta che qualche goccia può essere scivolata via, non vista. E la si affida agli occhi attenti dei lettori.
Pag. 5 : “Lungo la tangenziale avvengono anche molti scippi classici; due in motoretta raggiungono la donna con la borsetta a tracolla e gliela tirano via con una frustata”. È un’immagine potente, rabbiosa. Peccato solo che lungo la tangenziale di Napoli, come lungo le tangenziali del resto d’Italia, la circolazione ai pedoni e alle motorette sia vietata dal codice della strada, e che lo scippo descritto sia perciò impossibile.
Pag. 27: “Bassolino, che è di Avellino (…)” Antonio Bassolino è originario di Afragola.
Pag. 31 (e per tutto il libro) : “Rosa Russo Jervolino è di madre altoatesina (…)” Sarebbe bastato una rapida verifica sul sito ufficiale del Comune di Napoli per scoprire che il cognome del sindaco si scrive Iervolino, con la i.
Pag. 32: “La famiglia di Annalisa Durante, la ragazza trucidata per uno sguardo (…)”. Uno sguardo? Qui Bocca evidentemente si confonde con altri tristi casi di cronaca nera napoletana. Annalisa Durante è stata uccisa da un gruppo di fuoco della camorra a Forcella, vittima innocente di uno scontro tra clan che si contendevano il controllo del territorio.
Pag. 38: “L’intera famiglia Fabbricini in guerra (…)”. Anche qui una leggerezza ortografica. Il clan si chiama Fabbrocino.
Pag. 42: “I Mazzarella di Sarno”. Sarno? Il clan Mazzarella è di san Giovanni a Teduccio.
Pag. 46: “Quattro carabinieri del nucleo che non portano la divisa vengono scambiati per scissionisti e trucidati”. Qui, al di là della incerta sintassi e della traballante concordanza, Bocca sfiora il surreale. Quattro carabinieri morti, anzi, no, di più, addirittura trucidati? Dove? Come? Quando? Possibile che di un così grave fatto di sangue non ce ne ricordiamo? Siamo così anestetizzati alla violenza che abbiamo rimosso dalla memoria, come un file superfluo, il tributo di sangue pagato da 4 giovani carabinieri, massacrati solo per essersi trovati nel posto sbagliato al momento sbagliato? No, niente di tutto questo. La realtà, i fatti, sono per fortuna, almeno questa volta, meno gravi. Il riferimento è allo scorso ottobre, quando – di ritorno a casa dopo una serata in pizzeria – quattro marescialli dell’Arma, in borghese, vennero scambiati per scissionisti, affiancati da una vedetta della camorra e colpiti con una mitraglietta. Per fortuna se la cavarono con poco, ferite superficiali medicate al pronto soccorso per tre di loro (uno degli agenti rimase illeso) e tanta paura Pochi giorni dopo lo specchiettista a guardia della strada, forse spinto dallo stesso clan messo sotto pressione dai carabinieri, si costituì in caserma e ammise l’errore. Insomma: una brutta storia finita tutto sommato bene. Non per Giorgio Bocca. Per lui a Napoli si muore anche quando si resta vivi.
Pag. 52: “Il cardinale di Napoli Giordano (…) è nato il 26 ottobre 1930”. Errore: Michele Giordano è nato il 26 settembre 1930 (anche qui, un rapido giro in Rete non avrebbe fatto male).
Pag. 81: “Scampia, il quartiere alto di Napoli (…)”. A Napoli il “quartiere alto” è il Vomero, altro che Scampia.
Pag. 92: “A Napoli lo psichiatra Ceravolo ha inventato una maglietta con su stampata una finta cintura di sicurezza e assicura di averne vendute molte”. Vecchia e stracotta bufala mediatica, che evidentemente solo questo maestro del giornalismo ancora non conosce. In realtà lo psichiatra Ciaravolo, qualche anno fa, non fece altro che inventarsi una finta notizia (secondo cui, appunto, a Napoli vanno via come il pane t-shirt con una cintura di sicurezza stampata sopra) dandola in pasto ai media, e dimostrando così come il sistema dell’informazione spesso si beva tutto o quasi, con superficialità e approssimazione. Sarà contento Ciaravolo di avere avuto una così autorevole conferma alle sue teorie.
Pag. 98: “Ma la Jervolino, che non nasconde neppure la sua voce roca (…)” Roca? Roca è la voce di Paolo Conte, di Sandro Ciotti, di Ferruccio Amendola. Roca è una voce cupa, sommessa, bassa. Quella del sindaco sarà al massimo stridula, o alta.
Pag. 99: “De Felice ha anche il fisico da Rambo”. Antonio De Felice è lo zelante ispettore della polizia municipale che si occupa di auto clonate. Ma il soprannome, nella migliore tradizione dei contronomi, è evidentemente ironico (a chi abbia visto almeno una volta De Felice, e non pare il caso di Bocca). De Felice è basso e magro, ha la faccia secca e lunga e la testa liscia alla sommità, coi capelli bianchi e lunghi solo ai lati. Tutto meno che un fisico da Rambo insomma.
Pag. 123: “L’amministrazione comunale di Tufini (…)”. Tufini ovviamente sta per Tufino.
La ricognizione si conclude qui, con una ennesima citazione dal libro. Ma questa volta è, temiamo, una citazione pienamente condivisibile, e uno straordinario, e involontario, autocommento al volume: “Siamo tornati a discutere come all’inizio del Novecento le teorie antropologiche sulla criminalità, se essa sia nativa o razzista, per cui agli occhi di un leghista, ma anche di benpensanti, un napoletano, un calabrese, un siciliano, sarebbero più vicini alle scimmie che agli uomini”.
(pubblicato, col titolo Tutti gli errori del libro di Bocca, sul Corriere del Mezzogiorno)
Sì, queste inesattezze, imprecisioni, o veri e propri svarioni (che purtroppo sono un vizio tipico di molto giornalismo nostrano), sono certamente imbarazzanti. Anche il “gonfiare” libretti con artifici tipi spazi bianchi (molti libretti di Baricco sono stampati in questo modo) è fastidioso. Però vorrei comunque spezzare una lancia a sostegno del vecchio Bocca, che col suo cinismo da anni sferza un certo malcostume italiano, e le miserie della nostra miserevole classe politica. Temo che il vuoto che lascerà non verrà più colmato.
Una volta leggendo “il Provinciale” ci si sentiva a casa.
Così come era piacevole avvertire la sagacia di Gianpaolo Pansa, che è apparso di rencente molto fazioso in un confronto con Carlo Freccero, sul quale ha inveito in modo disdicevole, gonfiato e strumentale.
Per entrambi, sia per Bocca che per Pansa, vale forse piu’ il tempo che avanza e le posizioni acquisite, della capacità critica?
Magda
bravo piero, una confutazione impeccabile. i meriti di un tempo non possono far passare sotto silenzio le castronerie di oggi. il degrado
è diventato un elemento di folklore, ma bisognerebbe combattere il proprio, nel senso del proprio pressapochismo informativo, prima ancora che quello altrui.
Ceravolo in realtà si chiama Ciaravolo (e anche qui, un rapido giro in Rete non avrebbe fatto male). Però è vero, tutto ciò è imbarazzante.
ecco anch’io penso che il vero cinico sia bassolino. io credo che l’obiettivo principale di bocca fosse quello “politico” di colpire il potere-politico che nicchia, finge rinnovamenti, spreca risosre enormi per nulla, non tutela (vedi il caso cordova) chi si occupa di spezzare i poteri forti… ma l’intenzione del giornalista ovviamente deve essere corredata da una grande certezza di ciò che si scrive… e non andandosene per luoghi comuni e imprecisioni così brutalmente evidenti. uno studioso molto più attendibile e interessante è secondo me il meno riconosciuto percy allum… che pubblica per “l’ancora del mediterraneo”.
Ma sì, dai, in fondo sono tutti terroni…
;-)
ops. Corretto. Grazie a De Majo
Il 70% delle ditte edili della Campania provengono del casertano, il 40% delle imprese che lavorano al nord Italia sono campane, bisognerebbe tracciare oltre che il luogo geografico di morte anche la provenienza. Il 60% delle proprietà aziendali sequestrate ai cartelli criminali campani negli anni che vanno dal 1999 al 2005 sono imprese edili. I costruttori più potenti d’Italia in questo momento sono del casertano. Amen.
Ho sbagliato a postare…doveva andare da Biondillo…vabbè sta bene aneh qua…
Complimenti Sorrentino, hai usato la tua potentissima lente per individuare degli errori mostruosi. E si, d’ora in poi diffiderò di quello che scrive Bocca, del resto il nostro non fa giretti in rete per correggersi (che degrado! e che imabarazzo!!)
……..
..Condivido Sorrentino..quanto ironicamente sottolinea Claudio…invitare Bocca…a un controllo piu’ accurato di qunto scrive..lo si puo’ fare..ma non vorrei..Tu vedessi..la pagliuzza..fingendo di ignorare la trave..(i contenuti..di quanto scrive..ndr.)….!!
auguriamoci che questi siano errori di gioventù…lunga vita a giorgio bocca
Noi riteniamo, infatti, che la costruzione di apparecchi ortodontici non possa essere affidata alla improvvisazione, al pressappochismo o ad una superficiale conoscenza delle problematiche relative al manufatto ortodontico.
Per la corretta esecuzione di un apparecchio sono fondamentali alto livello di preparazione tecnico – scientifica, professionalità elevata, esperienza profonda. Il lavoro del tecnico ortodontico è proiettato nel futuro, lavora su un apparecchio che darà un certo risultato solo nel tempo. Il suo lavoro potrà essere giudicato solo dopo molti mesi, anche dopo un anno; deve quindi essere affrontato con una forma mentis particolare, con una preparazione ed una professionalità specifiche. Il tecnico ortodontico, per esempio, deve avere dimestichezza con quelli che sono diventati oggi mezzi diagnostici indispensabili, come l’ortopantomografia o i tracciati cefalometrici. Anche se non sarà lui a formulare la diagnosi, deve in sostanza essere in grado di integrare i principi filosofici di una tecnica e di interpretare al meglio i dettami delle varie discipline.
Bbravo Piero,
Marcel.
Lei ha ragione Piero Torrentino, però… Leggo certi post su Nazione Indiana ultimamente… In quanto a errori… E pensiero debole… Scusi, sa, Sorrentoni, ma dovevo proprio dirglielo. Grazie, comunque, Pietro, grazie di cuore per l’attenzione che mi ha riservata.
Ma che dite? Che c***o dite?? Gli errori di Giorgio Bocca sono MIMETICI della disinformazione corrente! Mimetici della DISINFORMAZIONE CORRENTE! Mimetici dell’approssimatezza contenutistica e formale che UMILIA questi tempi! Perle ai porci, queste, perle ai porci! Ah!
[…] E poi segnalo un altro articolo critico interessante in cui Piero Sorrentino dimostra, con acribia non inferiore a quella di Weber, che l’ultimo libro di Giorgio Bocca – Napoli siamo noi, Feltrinelli – ha svariate caratteristiche degne d’attenzione: […]
certo gli errori ci sono, ma mi convince di più l’analisi di Marco Demarco sul corriere del mezzogiorno sul vero errore di Bocca_
http://www.napolionline.org/index.php/2006/01/19/napoli-siamo-noi-2/
io ho come l’impressione che Bocca sia diventato la macchietta di sè stesso ormai da un bel pezzo… vive dei peggiori luoghi comuni e la cosa triste è vedere che continua ad essere letto e stimato (evidentemente fa comodo a qualcuno, e questa è la cosa che mi fa più tristezza…)
ciao ciao
insomma, andalù, tu sostieni che Bocca avrebbe, specularmente, la stessa funzione, di qua, rispetto a quello che rappresenta la Fallaci, di là?
:-)
Giorgio Bocca è il degno esponente di quella tradizione di civil servant piemontesi quale Caselli, Dalla Chiesa, Don Ciotti e altri. Ma tant’è, è un isolato. Di lui segnalo, più dell’ultimo, non ancora acquistato, L’Inferno, del 93, un’odissea giornalistica – ma anche sentimentale, perchè Bocca da bravo piemontese al suo Paese ci tiene, lo disprezzi o meno- nelle 4 regioni sotto il tallone mafioso. Quel libro è il padre elettivo del presente. Quando lo lessi, e lo rilessi, da un lato ne riemersi intorpidito, dall’altro non potetti che assentire. Bocca appartiene a quella razza pregiata che da un frammento ricava l’universo, grazie a straordinario istinto percettivo. Chi non lo comprende – ed è facile, inutile girarci – rileva in queste indagini del pressapochismo. In realta il suo scandaglio è frutto di una scuola in
estinzione, che impone al cronachista non di trarre notizie da un monitor ma di uscire in strada e domandare. Da qui gli equivoci sul particolarissimo interpretare. Quanto ai refusi, che per castronaggine fanno perdere di vista la sostanza di un dramma, vanno evidenziati. Specie al cospetto di un osservatore attento come lui.
Una cosa però la voglio dire, in merito a quest’ultima sua fatica, e riguarda il titolo: Napoli siamo noi. Che ovviamente non va inteso come estensione agli italiani (certi chierichetti!) di quei luoghi comuni quali delinquente, mafioso, mandolinaro, furbastro, ladruncolo, incivile e fancazzista (Napoli insomma come propulsore del Peggio) che ancora infestano certe fantasie antimeridionali. No, e meno male, equivarrebbe al delirio hitleriano sugli stenti del dopo Weimar da imputare agli ebrei. Il titolo sta a dimostrare che quella magica e sciagurata città (meta a Natale di 70000 impavidi visitatori, quorum ego, tutti muniti di casco da safari e schioppo ) è lo specchio ingranditore di ciò che altrove occhieggia, è tra le pieghe. Questo va specificato. Come altrettanto mi induce a una riflessione il frammento di mia vita napoletana nella settimana di Natale.
Intanto una premessa di carattere personale: me ne scuso, ma è funzionale al resto della storia. Sono nato a Napoli e vivo in Piemonte da parecchio, però a Napoli ci tengo, una volta all’anno devo andarci, come a rivivere un amore. E devo aggiungere, per paradosso di sorte, che giusto nel momento di partire riscopro i segni di un nuovo appartenere. Diversi amici autoctoni, sia con lo sguardo che a parole,
difatti danno a intendere di restarci male, per quella che ritengono una fuga. “Ma come, te ne vai?”, capisco da quegli occhi, o assaggio come retrogusto emotivo di formalismi tipo ‘fai buon viaggio, salutaci la tua Napoli’. Il che non può che farmi legittimo piacere.
Si alloggiava alle Rampe Brancaccio, a due passi da quella vena di edifici umbertini e liberty, preziosissimi, che è Via Dei Mille, di un gioiello quale Piazza dei Martiri, e di una Via Calabritto che nulla ha da invidiare a Montenapoli in Milano: per maestà di costruzioni e lucentezze. Ora un posto del genere, non dissimile al centro di una qualunque capitale, in un tesoro di arte, storia, spazi pedonali cinti da palazzi, le cui linee brillano a prima sera per i filari di luci su archi e costoni, in questo stagno di delizie – non nell’inferno dei martiri di Scampia, dunque- trovo grottesco che si abbia paura. Non mi riferisco alle vie o piazze citati ma appunto a quelle Rampe Brancaccio, un tempo indice di appartatezza e vivere gentile, ad esse contigue. I palazzi, splendidi – taluni culminati con torrette a merli, altri dai terrazzi piantumati a cotto – e la stradina a tornanti sono quelli di sempre, come identica è la vicinanza con piazzetta Mondragone e via Nicotera. Dove fermenta il marcio. Via Nicotera e Piazzetta Mondragone sono il limite di rispetto, un Acheronte dove termina la cosiddeta città bene e c’è l’inferno. Una ripida discesa le collega ai famigerati Quartieri Spagnoli, regno del Male, assoluto, da cui emergono subumani brunofacciuti, gli occhi lumeggianti come lupi, in groppa a motorini il cui scoppiettare è insieme monito e provocazione. La gente delle Rampe li teme, paventa nell’uscire di esserne depredata. Quando è giorno, o al tramonto, lasciando perdere la notte, non ci cammina nessuno, per le Rampe. Ogni momento – ogni!- un’ora vale l’altra per essere scippati: di tutto, a cominciare dalla borsa, il portafogli, per non parlare di una bijoutterie qualunque o del più infimo laccetto. Una amica mi riferiva che quando visita i parenti su alle Rampe copre la borsa col cappotto ( e di estate? a primavera? ) e se ha un anello, l’orologetto, insomma quanto di smerciabile si permetta, che cosa fa? ha predisposto una bustina in stoffa in cui gettare quegli oggetti, che dopo comiche contorsioni fissa con una spilla al reggiseno. E tutto questo per andare da parenti. Alle Rampe Brancaccio.
L’impatto di questi racconti e dell’effettiva sperdutezza del posto sul mio breve soggiorno è presto detto. Io me ne sono sbattuto, un antico amore impone dazi, pur rabbrividendo il pomeriggio di Vigilia quando, dopo il tornantino, una motoretta mi ha scorreggiato indietro, e perciò ho guardato, e visto due occhi diritti dentro i miei, prima che il cervello malato che li aziona decidesse che non ero carne di scelta e sterzasse. Me ne sono fregato, ma mia moglie, che a Napoli non vuole più tornare, foss’anche mezza volta l’anno – della figlia piemontese taccio per intuibili ragioni – mia moglie un giorno l’ho sorpresa trafficare a un sacchetto. Era di plastica, del GS, e vi infilava la borsa. “Così pensano che c’ho dentro la spesa”, mi ha detto nell’uscire.
Stanno mangiandosi tutto, tutta la città, sotto gli occhi allibiti della buona gente. A via dei Mille come a Scampia, ai Cristallini, Materdei, dentro i Granili, al Conte di Acerra, a Mezzocannone, in Fuorigrotta, Antignano,Bagnoli, da Chiaia a Barra, il Chiatamone, San Ferdinando, i Gradoni, all’Ascenzione. Tutto, ogni carne è buona. Alle armi, napoletani, alle armi della ragione, come nel 99, nel 48, nel 43. Che non sono un terno al lotto.
interessante questa pubblica lapidazione di Bocca, cui quasi tutti i nanetti del bosco si uniscono con entusiasmo, ironizzando, come d’obbligo, su rincoglionimenti senili e dentiere: siete pre-vedibili come un branco di piranas.
sui contenuti del libro, manco una parola, pare, da parte di nessuno.
si conferma inoltre la prassi che vieta al non napoletano di percepire correttamente napule.
‘a mozzarella come la facimme nuie, non la fa nessuno.
però non mi cancellate dai!!
Cioè io avevo fatto solo un commento educato che non conteneva insulti. la mia idea o ideologia era quella che non si può dire napoli siamo noi perchè non tutti sono napoletani. Chiaramente questo non è intolleranza o razzismo ma solo un fatto logico. perchè senò dovremmo dire anche milano siamo noi. Almeno secondo me. Grazie.
Come non hai insultato Italia roto party…e come cavolo ti chiami. Rileggi il tuo commentino. Comunque facciamo così, se vuoi vieni a ripetermelo vis a vis. Son villano io, sai? Gioco di mano.
Beh tashtego, se non si discute di contenuti è perchè il post chiaramente voleva segnalare qualcos’altro.
Sono errori abbastanza gravi quelli di Bocca e su questo non ci piove. Non si ammazzano così quattro carabinieri, e comunque non dovrebbe farlo una firma come la sua, nè si fa passare Annalisa come omicidio per uno sguardo (quello era Francesco Estatico casomai).
La storia dei napoletani ecc. beh luoghi comuni (che la mozzarella qui in campania sia la migliore non ci piove, comunque).
Basta vedere come ne ha parlato il corriere del mezzogiorno che, tra l’altro, usa il pezzo di Piero per confermare le idee del direttore (pro Bocca).
E poi su Napoli ci stanno mangiando in tanti. O ci si informa o è meglio che si parli d’altro. Solo allora possiamo veramente cominciare a discutere seriamente e senza stereotipi di quello che succede (come fanno i vari Saviano, Morganti, e tanti piccoli e piccolissimi giornalisti locali che il culo se lo fanno sul serio e da prima della storia degli “spagnoli”).
cavolo siete ancora a questo ci chiamate terroni avete finito gli argomenti
il signor bocca vuole sfruttare napoli e i napoletani x arricchirsi io non so sia normale fare affermazioni di quel genere …sono d’accordo napoli è una città difficile ma nessuno e dico nessuno puo permettersi di parlarne male
D’accordo che evidenziare il barbarico contesto socio-culturale napoletano è come sparare sulla croce rossa, potremmo fare la stessa operazione di Bocca con qualsiasi altra grande metropoli mondiale, Bombei, New York, Mosca, Milano, potremmo narrare facilmente e senza esserci mai stai di rapine sanguinarie fatte per pochi soldini ai danni di una vecchietta indifesa, della vittima innocente di una sparatoria tra bande criminali, di corruzione e connivenze a tutti i livelli. Diciamo che sotto questo punto di vista tutto il mondo è paese. Altra cosa, secondo, me sono le vere inchieste giornalistiche che vanno a toccare certi nervi scoperti.
Sono d’accordo con Luigi.
Bocca vuole sfruttare Napoli per far soldi
Terroni sono tutti i razzisti specie del nord che non hanno idee e argomenti di cui vantarsi.
Credo che i meriti del libro di Bocca siano altri. Rappresenta una terra distrutta (sicuramente meglio descritta da Saviano!) come la conosciamo, ma aggiunge un elemento nuovo: Napoli in Italia è l'”avanguardia”, il modello a cui tutto il Paese tende. Una riflessione non da poco,che pone in secondo piano i pur gravi errori evidenziati nel libro.