Canzoniere brasiliano 1 – Le donne di Chico
di Sergio Pasquandrea
Più esploro la musica di Chico Buarque, più mi rendo conto della sua assoluta centralità nella storia della musica brasiliana. Chico è un poeta, un musicista, una persona di tale profondità e complessità che ridurlo nella definizione di “cantautore” sarebbe come pensare a Michelangelo come a uno scalpellino e a Pelé come a uno che prendeva a calci un pallone.
Quando si affacciò sulle scene musicali, a metà anni Sessanta, poteva sembrare uno dei tanti cloni di Jobim, De Moraes e João Gilberto che in quegli anni pullulavano per il Brasile. E in effetti la derivazione bossanovistica era innegabile: il canto a mezza voce, le armonie sofisticate, il gusto per le liriche preziose.
Ma in lui c’era molto di più, e in Brasile non avrebbero tardato ad accorgersene.
Francisco Buarque de Hollanda, in arte Chico, era nato a Rio de Janeiro nel 1944. Suo padre Sergio era un professore universitario, storico e sociologo, e lavorava anche come diplomatico. Chico, insieme ai suoi sei tra fratelli e sorelle, si ritrovò così a vivere in giro per il mondo. Soggiornò a lungo a Roma, dove giocava a pallone in Piazza Navona, davanti all’ambasciata brasiliana.
In casa Buarque era normale incontrare poeti, intellettuali, filosofi, ma anche musicisti come Jobim, Baden Powell, Vinicius De Moraes. Fino all’adolescenza Chico sembrò interessato soprattutto al calcio (passione che conserva ancor oggi) e alla letteratura (è autore di tre romanzi, due dei quali tradotti in italiano), poi venne un tentativo poco convinto di studiare architettura e infine il suo esordio musicale.
Fu un successo quasi immediato, e nel 1966 arrivò l’enorme cassa di risonanza di A banda, che lo lanciò nel firmamento della musica brasiliana.
In quel periodo il Brasile cominciava a essere scosso dai fermenti della contestazione. Erano già attivi Roberto Carlos, Rita Lee, Gilberto Gil, Caetano Veloso, che avevano assorbito il rock, il beat britannico, i primi umori hippie. In mezzo a loro, Chico faceva la figura del tradizionalista, persino del reazionario.
Eppure, a ben guardare, c’erano già i segni della personalità esplosiva che si sarebbe rivelata di lì a poco.
Intanto, Buarque era un ottimo chitarrista, un cantante già maturo e conosceva a fondo la storia della musica brasiliana, dallo choro al samba classico di Cartola e di Noel Rosa. Passioni che si erano arricchite con l’ascolto degli chansonnier francesi e dei cantanti americani come Paul Anka ed Elvis Preslay (molto del merito era della sorella Heloisa, meglio nota come Miucha, grande appassionata di musica, anche lei destinata a una luminosa carriera musicale al fianco di João Gilberto, Tom Jobim e Vinicius De Moraes).
E poi c’erano i testi di Chico, il suo vero punto di forza. Per spiegarmi meglio, faccio un esempio: i ritratti di donna.
Le donne sono onnipresenti nella bossa nova, dalla Garota de Ipanema in giù: ma sono sempre donne lontane, esili senhal amorosi filtrati dall’occhio del poeta.
Prendiamo ad esempio O amor em paz, uno dei più bei brani di Jobim e De Moraes:
Io amai
e amai ahimé molto più
di quanto avrei dovuto amare
e piansi,
al sentire che avrei sofferto
e mi sarei disperato
Fu allora
che dalla mia infinita tristezza
arrivasti tu.
Incontrai
in te la ragione per vivere
e per amare in pace
e non soffrire più,
mai più.
Perché l’amore è la cosa più triste
quando svanisce…
Qui la donna è un vago fantasma privo di volto, un sogno di tepore materno, una regressione al grembo caldo e protettivo.
Oppure Este seu olhar:
Questi tuoi occhi
quando incontrano i miei
parlano di cose che non posso credere.
Dolce è sognare e pensare che a te
io piaccio come tu piaci a me.
Ma l’illusione
quando svanisce
fa male nel cuore di chi sognò
sognò troppo.
Ah, se potessi capire
ciò che dicono i tuoi occhi.
Ancora una volta, la donna è poco più che un’apparizione sfumata, un mistero, una languida fantasticheria.
Non dimentichiamo che la bossa nova fu l’espressione della jeunesse dorée di Rio de Janeiro: ragazzi di buona famiglia, appassionati di jazz, con la macchina comprata dai genitori e l’appartamento a Ipanema, che passavano il tempo tra la spiaggia e i flirt. A fine anni Cinquanta, nel Brasile ottimista di Juscelino Kubitschek, lanciato verso la modernità e lo sviluppo economico, quella musica soffice e dolcemente malinconica era la colonna sonora ideale per le loro giornate e, soprattutto, per le loro notti di spensierata bohème.
E ora prendiamo Carolina, di Buarque. La canzone è del 1968.
Carolina,
nei tuoi occhi profondi
serbi tanto dolore,
il dolore di tutto questo mondo.
Io ti ho spiegato che non vale la pena,
che il tuo pianto non servirà a nulla,
ti ho invitato a ballare,
è ora, lo so, di cogliere l’occasione.
Là fuori, amore,
è nata una rosa,
tutto il mondo ha ballato il samba,
una stella è caduta.
E benché l’abbia mostrato sorridendo
dalla finestra (ah, che bello)
Carolina non ha visto.
Carolina,
nei tuoi occhi tristi
serbi tanto amore,
l’amore che non esiste più.
Benché ti abbia avvisato che finirà,
di tutto ti diedi per accettare,
cantai mille versi per farti piacere,
ora non so come spiegare.
Là fuori, amore,
una rosa è morta,
una festa è finita,
la nostra barca è partita.
E benché io gliel’abbia mostrato,
il tempo passò nella finestra
e solo Carolina non vide.
La differenza, come cantava De Gregori, salta agli occhi.
Carolina è una donna che ha lasciato inaridire la sua vita. Ha guardato il mondo da una finestra, ha perso l’occasione di amare e ora appassisce tristemente. È lei a dominare la canzone, con i suoi occhi profondi e il suo rifiutarsi alla felicità. Un ritratto dolente, vero, anche se presentato con l’eleganza e l’understatement tipici di Chico.
Ecco, questi sono i protagonisti delle sue canzoni: persone di tutti i giorni, che soffrono e lottano per tirare avanti. Anche La banda, che conosciamo nella versione allegra e festaiola di Mina, nell’originale rivela tutto un altro spessore. E poi c’è Pedro Pedreiro, uno dei ritratti più amari e penetranti usciti dalla sua penna.
Insomma, quel ragazzo colto e educato era tutt’altro che innocuo. E ben presto tutti se ne sarebbero accorti. Anche quelli a cui canzoni del genere non facevano affatto piacere.
*
continua
Il più grande sì… W Chico Buarque! Solo un appunto, che è anche una domanda: ma Chico quando era in Italia non è che fosse in giro per il mondo in quanto spensierato figlio di un diplomatico. Gli anni ’60 per il Brasile non sono gli anni della contestazione, ma gli anni di una pesante dittatura militare. Chico come Caetano Veloso e tanti altri ha avuto seri problemi e ha scelto la permanenza all’estero come esilio. Nell’articolo non vedo l’ombra di queste cose. Perché? Mi è sfuggito qualcosa? Lo vedremo nella seconda parte?
Al riguardo riporto un pezzo tratto da un’intervista uscita in occasione della recente pubblicazione del suo romanzo “Budapest”.
D.: Chico Buarque è stato un modello per un’intera generazione, oltre che come artista anche come uomo libero che si opponeva alla dittatura ventennale, un modo di opporsi che direi «estetico» senza le rabbie dei pamphlet ma con la leggerezza ferma di fare il proprio lavoro. La dittatura del Brasile non è stata brutale ai livelli di quelle cilene, argentine e uruguayane – molti ne ignorano pure l’esistenza – per questo è forse ancora più difficile spiegare cosa significasse vivere in Brasile in quegli anni, dal 1964 al 1985. È così?
R.: Certamente, la dittatura del mio paese pur commettendo delitti fu meno sanguinosa delle altre, fino quasi a stemperarsi negli ultimi anni. Ma la cosa più terribile di un paese sotto i militari, sotto la dittatura, al di là della sua efferatezza, è il senso di paura, d’incertezza che pervade tutta la vita pubblica e le singole esistenze di ogni individuo. Quando ero in Italia negli anni Sessanta mi dicevano di non tornare perché non potevo sapere cosa mi sarebbe successo. Il pericolo di una dittatura non totalitaria è che chi scrive canzoni, romanzi, film possa limitarsi lui stesso, possa autocensurarsi perché non è netta la linea di demarcazione tra il lecito e il proibito, ma se si sa sfruttare questa situazione è anche un’opportunità. Per esempio io sapevo che i testi col mio nome sarebbero stati censurati e allora scrissi con un altro nome, Julinho da Adelaide, il mio samba Acorda amor (una coppia di amanti all’irruzione all’alba della polizia urla “Chiama i ladri, chiama i ladri”, ndr). C’era la possibilità di un esercizio dell’intelligenza che non era possibile in altri paesi sudamericani. Sono stati comunque anni terribili proprio per questa mancanza di prospettive future, stai all’estero e non sai quando potrai ritornare nel tuo paese, tra la tua gente, e intanto ti domandi se non stai sbagliando a non tornare; fuori magari sei accolto bene ma a lungo andare resti agli occhi di tutti un esule, uno che non è più di là ne sarà mai completamente di qua.
hai mai ascoltao PER UN PUGNO DI SAMBA con le musiche di Ennio Morricone?
Chico venne in Italia da bambino, con il padre (è di quel periodo che parlo nel pezzo), e poi ci tornò, in esilio, per un paio d’anni (196-1970), ma di questo parlerò prossimamente.
In Brasile la dittatura militare comincia nel 1964, ma fino alla fine degli anni ’60 ci fu ancora spazio per voci fuori dal coro, come quelle di Veloso, Gil, Nara Leao, e anche dello stesso Buarque, quando cominciò a fare canzoni “impegnate”. Fra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70 la dittatura diede una stretta alla censura e limitò le libertà di espressione, e infatti vari artisti andarono in esilio oppure furono costretti al silenzio. Ma anche di questo parlerò più avanti.
Qui mi riferivo solo ai suoi esordi musicali, nella prima metà degli anni ’60.
A proposito, questo è il primo di una serie di post in cui proverò a esplorare la musica brasiliana partendo dai testi delle canzoni e allargando un po’ alla cultura, alla storia, ecc., ma senza necessariamente seguire un rigido ordine cronologico o tematico.
Che mito! Io ho tradotto in italiano Oh che sarà (Fossati-Mannoia) e Il culo del mondo (Mannoia). Ti seguirò con piacere.
°°°non scordatevi Peninha(“nascido em 17 de fevereiro de 1953″°°°°
aregueifa.net/Sonhos/Sonhos%20-%20Sonhos%20%282007%29/08%20-%20Sonhos%20%20-%20Sonhos.mp3
Grande Chico, anch’io lo adoro. E adoro Anna che l’ha tradotto!
‘il culo delmondo’ è di caetano veloso, amico-nemico di chico e fondatore insieme a lui della MPB.
chico è anche un ottimo scrittore( cfr. ‘budapest’ una commedia degli equivoci, un lost in translation in terra magiara): bellissimi occhi azzurri, sorriso malandrino, autore di splendide canzoni che,dal vivo, pare goffo ed impacciato, non riuscendo a dissimulare la sua naturale timidezza. per non cadere nell’agiografia, va aggiunto che è un pessimo ballerino.
sono molto contento che pasquandrea, critico ottimo e massimo, si occuperà, in maniera continuativa, della MPB: mi pare cosa buona e giusta.
evviva! iniziativa molto bella. e “construçao” di buarque è proprio un capolavoro.
Linnio, grazie per l’ “ottimo e massimo”, ma mi fai arrossire.
Oltretutto la MPB la adoro, ma non è proprio il campo in cui sono più esperto: quindi questi post saranno anche il resoconto delle mie personali esplorazioni.
Questi sono un giovane Chico e un Caetano capellutissimo che chiacchierano e cantano insieme:
http://www.youtube.com/watch?v=TB6Cpy-X7A8
http://www.youtube.com/watch?v=7UnRZfM9nws