Dall’aereoporto di Ciampino
Una poesia e qualche appunto
di Helena Janeczek
Torneremo, diceva
di semiprofilo, in primo piano
per dare risalto alle croste,
alle escoriazioni o come cristo chiamare
quelle tracce di sangue rappreso in faccia.
Diceva torneremo, torneremo laggiù,
e gli sparivano le ferite,
sparivano perché lui ripeteva torneremo.
Non l’avrebbero fatto tornare. Non sarebbe
ritornato laggiù, o dentro alla terra, o a casa sua,
dicevano i suoi occhi neri comuni
collocati nel cranio pallido da cui era uscito.
Vedo pochi telegiornali. Non è una scelta politica o morale, almeno in gran parte. Semplicemente mio figlio di tre anni alle otto di sera guarda i cartoni animati. E’ anche vero che preferisco non fargli trovare a sorpresa brandelli di carne o gente che piange disperata. In questo caso c’è la certezza che capisce perfettamente – ripete perché piange? perché piange? – capisce che chi piange in quel modo lo fa perché sta male. Infatti il telegiornale non vuole che lo vediamo nemmeno noi.
Il rientro in Italia dei feriti l’ho invece potuto guardare per un pezzo. I bambini non sembrano capire, almeno non vedendone il volto in tv, la perdita di senno, la pazzia. Non so se la cosa sia tranquillizzante o il contrario.
Oggi invece abbiamo visto la prima trasmissione dello Zecchino d’Oro. Introdotti da una banda militare i bambini del Piccolo Coro Antoniano cantavano l’inno di Mameli. Ripetevano: Siam pronti alla morte, siam pronti alla morte! Come omaggio, spiegava il presentatore, ai nostri connazionali caduti in missione di pace. O qualcosa giù di lì. In ogni caso il concetto importante era: pace. Infatti subito dopo è arrivata una canzone ispirata al detto (verso? slogan?) del papa “Non abbiate paura”. Al che si è passati al concorso regolare. Dimenticavo: si è visto anche Topo Gigio che dichiarava di essere molto triste per tutti quei bambini che hanno perso i loro cari papà. Mio figlio invece, per fortuna, si è perso Topo Gigio.
Stesso giorno, di mattina. Dal piano di sopra e quello di sotto arriva la musica dei funerali di stato, coro e organo. Accendo anch’io, vedo le inquadrature dei parenti stretti, spengo, esco a fare la spesa al supermercato. Il GS vicino a casa mia, l’unico del centro di Gallarate, è piccolo e un po’ carente sia nella qualità che nella quantità dei prodotti, perché ci vanno soprattutto pensionati, commesse nell’ora di pranzo, extracomunitari. Gente che fa la spesa senza macchina, per varie ragioni che non combaciano, però spesso coincidono, con l’aver meno soldi. Per la stessa ragione però il supermercato non è mai troppo affollato, e quindi per quella filiale vengono selezionate le cassiere più lente, un direttore con uno sbrego che passa sopra un occhio e due garzoni checche – nel senso dell’omosessuale con la voce stridula che bisticcia con il collega e con gli altri mentre sistema, ad esempio, i pelati. Tutto questo si accompagna a un sottofondo musicale che sembra quello di una radio normale, con i notiziari e le canzoni di moda.
Ma oggi, mentre sono vicina alle casse, si sente una voce che dice: “La direzione GS-Carrefour annuncia che verrà osservato un minuto di silenzio per… – purtroppo non ricordo le esatte parole – durante il quale il personale si asterrà da ogni attività.”
Il direttore con lo sbrego è al suo posto, ma non ha parlato lui. La radio è spenta, anche una piccola parte dell’illuminazione. Me ne accorgo solo quando riaccendono il tutto. Torno indietro nella stessa corsia e sono l’unica persona che cammina. Senza sottofondo musicale, voci e rumori, l’impatto dei miei stivali è così forte che devo decidere se fermarmi o proseguire. Arrivo all’altro capo del supermercato dove ci sono tre donne ferme davanti al banco macelleria. Quando riprende la musica, riprendono a muoversi senza parlarsi. Una, bassa e un po’ anziana, comincia col segno della croce. Immagino un maggior numero di persone congelate sparse, ad esempio, negli spazi dei Carrefour. Alle casse, infine, c’è un po’ più fila del solito.
Mi veniva da piangere sentendo le voci bianche ripetere in coro “siam pronti alla morte”: non di commozione, neanche di rabbia. Lo Zecchino d’Oro, del resto, è un’istituzione nazionale. C’è un romanzo dello scrittore Alexandar Tisma intitolato “L’uso dell’uomo”. Ma non è così facile. Non è tutto “fiction”, eliminazione funzionale del dolore – del male direbbe giustamente Giulio Mozzi – attraverso la messa in scena di un racconto catartico ed edificante in cui tutti i cittadini e/o telespettatori dovrebbero essere protagonisti. La pensionata che si fa il segno della croce e le altre ridotte a statue di sale nel supermercato semivuoto non le inquadra nessuno, in nessun senso del termine. Non è grave, credo, stare dentro un ruolo scritto da altri se poi arriva il gesto con cui tradisci il copione: magari per un eccesso di serietà, come se in una soap ci fossero attori che la recitassero alla Bergman. Bisognerà ragionare di molte cose, ma oggi non vorrei distanziarmi dal senso di smarrimento, lutto e altro di chiunque lo abbia provato. Non certo da chi lo ho orchestrato, usato ecc.
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