Edificazione
di Marco Franzoso
Per la serata padovana Letteratura come verità / Edificazione Marco Franzoso ha preparato un breve intervento che a me sembra particolarmente interessante. Lo propongo qui per intero. [giulio mozzi]
Buonasera.
dividerò il mio intervento in tre parti.
Prima parte.
Edificazione.
ecco, io adesso sono alle prese con il dire e il pensare qualcosa di intelligente nei confronti del termine “edificazione”.
Io sono alle prese con il testo per la serata di edificazione.
per farlo, per essere all’altezza del tema, per dire qualcosa di intelligente e adatto a questa manifestazione, a questi incontro tra scittori e ascoltatori in un cinema di provincia ho letto alcuni testi che ho amato.
L’ho fatto perché qualcosa dentro di me mi diceva che io dovevo essere all’altezza. all’altezza di qualcosa: della serata, di voi che state ascoltando, degli amici che sono con me questa sera, ma soprattutto, dovevo essere all’altezza del tema.
L’edificazione.
Mi sono letto delle cose molto belle di Meister Eckard, per esempio il bel libro dal titolo “Dell’uomo nobile”, e poi mi sono ripreso una cosa che avevo letto molti anni fa di Raymond Carver su Santa Teresa, qualcosa che aveva a che fare con il peso, la responsailità delle parole, perché le parole fanno, hanno la forza di agire, sosteneva Santa Teresa. le parole non hanno, cioè, solo un significato, le parole fanno, agiscono sulla realtà.
Inizierò proprio da qua.
bene.
quello che mi ha sempre colpito della parola “edificazione” è che ha a che fare con un costruire, con un fare, certo, ma sempre in positivo.
parlare di edificazione però significa fare un ulteriore passo in avanti e chiedersi in che senso e in che modo le parole possono avere anche in sé la forza di costruire.
cioè: non tanto e non solo nel significato che custodiscono e che trasportano, non tanto nel senso di quello che dico, ma nelle parole stesse, dentro di loro, nel loro corpo e nella loro carne.
E così mi sono chiesto se potevo trovare l’edificazione proprio andando a scavarvi dentro, entrando quasi fisicamente dentro le parole. facendo cioè l’opposto di quello che richiedeva Santa Teresa, cioè: recidendo, tagliando il contatto tra le parole e il mondo (quello che comunemente si chiama significato) ed eliminando alla base il loro utilizzo funzionale di “dire” qualcosa che corrisponde a qualcosa del mondo, ma sapendo, io individuo, diventare così piccolo da potermi inserire dentro le parole come un minuscolo insetto, per rovistare e vedere se dentro la loro carne si possa annidare l’edificazione.
Perché il linguaggio umano e alcune delle sue più manifestazioni concrete come la letteratura, il racconto, ma anche il suo fondamento di base, cioè il “significato”, si sa, sanno essere ambigui: possono essere manipolati, possono essere veri ma anche falsi, o finti o ambigui. Basta che cambi di poco qualcosa (il tono, la sequenza delle parole, il tempo verbale, o anche uno stesso aggettivo) e il gioco è fatto.
Per questo mi sono domandato se è possibile chiedersi se le parole in sé hanno la possibilità di edificare. cioè: lasciando da parte gli scopi della parola (il significare e il comunicare), lasciando da parte l’oggetto del discorrere (il che cosa), lasciando da parte anche le finalità estetiche del parlare, è possibile ancora pensarela parola come edificante?
Sto parlando della parola nuda, spoglia, scarnificata, spogliata dall’usura della pratica.
Ecco,
io
mi riferisco proprio a questa parola che adesso ho davanti agli occhi e che voi mi sentite pronunciare con le vostre orecchie. o meglio: quello che è rimasto della cioè, in che modo la spoglia parola può (se può) edificare?
Qui mi sono fermato.
non sono più riuscito ad andare avanti.
E allora ho fatto un passo indietro. mi sono chiesto quale parola edificante mi venisse in mente, in qualsiasi senso.
di primo acchito, quando mi sono messo a pensare alla parola edificante, ho pensato ad un tipo di parola molto pesante. anzi mi è venuta in mente la più pesante delle parole. mi è venuta in mente la parola “morale”. quella che ti dà delle regole e delle costrizioni. quella che ti indica un cammino. anzi che ti indica il cammino: l’unico percorribile, quelloc he elimina tutti gli altri.
Non so perché (o forse lo so bene), ma nella mia mente la parola “edificazione” è associata al catechismo, è associata alla parola non tanto “religiosa”, quanto proprio alla parola pronunciata al catechismo.
il concetto di edificazione, nella mia mente è associato al parlare di un prete e comunque associata ad un periodo della mia vita che è l’ultima fase dell’infanzia e i primi momenti della giovinezza, dell’adolescenza.
è forse la prima parola pensante che mi sia arrivata al cuore.
pensante e pesante, gravida, gravosa, pietrificata, di marmo, cibica.
Collegata non solo nel suo senso di costruire al concetto di peso, ma anche e comunque una parola collegata all’idea della colpa.
Sì.
Perché la parola edificazione, nella mia mente è da sempre collegata a un qualcosa di “negativo da superare”.
L’edificazione è, innanzitutto, ciò che non devo fare.
La sequenza logica dell’edificare, per me è:
“Io tenderei di natura a fare questo.
ma questo è male.
io questo non lo devo fare.
Solo così farò il bene.”
cioè, la parola edificante è associata a un costruire integro e forte.
proprio della pietra scartata dai costruttori: perché è proprio attraverso quella che si può e si deve costruire (edificare) la testata d’angolo, quella che saprà sostenere tutto.
edificare va bene, sì, ma la pietra più importante dell’edificio sarà proprio quella che gli altri hanno buttato via.
l’edificare per Nostro Signore, infatti, sembra essere sempre stato collegato al male, allo sbagliato, all’erroneo. Allo scartato.
cioè, si tratta di costruire, sì, ma forse su elementi incerti, a meno che quegli elementi base, per un rovesciamento che prima per cecità noi non avevamo colto, non contemplassero al proprio interno anche la solidità.
si tratta di costruire con una pietra che altri hanno eliminato.
si tratta di chiedere a noi stessi uno sforzo enorme, per essere edificanti. si tratta di portare su noi stessi (e portare anche noi stessi, perché siamo o dovremmo essere proprio noi la pietra che il costruttore ha scartato) a diventare la pietra modello, quella che può sostenere tutto l’edificio.
E si tratta di farlo con materiali di seconda scelta.
la parola “edificante” è la parola che attraverso l’esempio magistrale sa trasformare ciò che veniva buttato via in ciò che va addirittura da seguie per quanto è bello e perfetto.
La parola che edifica è la parola che mi poneva di fronte al modello, e nei confronti della quale io dovevo avere la forza di portare il peso. Anche a costo di andare contro la mia stessa natura.
Mi chiedo, in questi ultimi anni del mio percorso, se sia proprio questo l’intimo senso della “parola edificante”.
oppure se la parola non si faccia, piuttosto edificante nel momento in cui mi si mostra.
Cioè, non nel suo senso edificativo, ma in sé e basta.
mi sono sentito portato ad avvicinarmi ad una parola (il Logos: non a caso, in principio era il Verbo; proprio il Verbo, lui, e il Verbo era in Dio e il Verbo era presso Dio. E il Dio non ha un senso: il Dio è il senso).
mi sono sentito portato a cercare di avvicinarmi alla parola e basta, al qui e ora.
Al parlare e basta.
ma mi sono chiesto se per caso non si potesse pensare che edificante è proprio l’osservare la parola in sé. l’ascoltarla.
Così come non si tratta di parlare del Verbo, ma di guardarlo, di viverlo, momento dopo momento.
forse, anche il Verbo ha scelto di manifestarsi non tanto come significato del verbo, ma si manifesta anche nel verbo stesso.
seconda parte
“Gesù ha detto: se digiunate vi attribuirete un peccato, e se pregate, sarete condannati, e se fate l’elemosina, farete del male ai vostri spiriti. e se entrate in quelche paese e andate nelle campagne, se sarete accolti, mangiate quello che vi metteranno davanti, curate quanti fra loro sono malati.
Infatti, ciò che entrerà nella vostra bocca non vi contaminerà; ma ciò che esce dalla vostra bocca, questo vi contaminerà.”
È la parola a contaminare.
È proprio la parola, il suo senso, il suo potere, la sua potenza, il male.
terza parte
anni fa ho scritto questa specie di intermezzo, una specie di racconto.
ve lo leggo.
si intitola: Le parole
“Le parole stanno attaccate alla pagina.
Talmente incollate che se piego il libro e lo alzo
e lo metto in verticale, alcune, le più deboli,
si staccano per cadere e frantumarsi sul tavolo,
mentre altre, le più tenaci,
avranno bisogno invece di uno scossone più forte al foglio per capitolare sgretolandosi, una ad una.
Io poi le ritroverò, ormai singoli pezzi di parola,
sul piano del mio tavolo.
Mi avranno fatto l’ennesimo regalo, cadendo:
di lasciare ancora il foglio bianco, com’era in origine.
Permettendomi di vedere, ancora una volta, intatta,
la pagina, nella sua bella e originaria forma bianca.”
Ecco, concludendo:
La parola è edificante quando mi mostra tutta la sua materia, il suo colore, la sua grana. quando atraverso una voce e tutti i suoi difetti, le sue inflessioni dialettali, i suoi stati d’animo, ha voglia di farsi accogliere da me.
la parola è edificante quando mi mostra me stesso nell’atto di pronunciarla.
la parola è edificante quando sento voi che la ascoltate. ora, proprio ora.
…troppo tardi… è passata, è stata sosituita da un’altra.
la parola è edificante perché è umile e transeunte. sa farsi da parte, senza doversi contraddire, ma già sapendo che la propria fine sarà, probabilmente, quella di essere prima o poi dimenticata.
la parola è edificante quando mi manifesta il miracolo di esserci, ma non solo, mi illumina col miracolo della comprensione. quando allude a questo preciso istante e a nessun altro, quando mi diverte, quando mi si scaglia addosso come un’ondata travolgente di senso, la parola è edificante quando trascende se stessa e apre, squarcia il mondo e lo riempie di senso e illumina il nostro cammino incerto e oscuro, apparentemente casuale, contraddittorio, sempre in balìa degl eventi che ci sovrastano. la parola è edificante quando sbuffa e si chiude in se stessa.
quando ha l’umiltà di non esserci, in certi momenti della vita, perché si è fatta da parte.
la parola è edificante, quando scelgo proprio questo mezzo per raccogliere emozioni sparpagliate per terra e raccoglierle, unificarle, ordinarle e coordinarle in un discorso.
La parola è edificante quando mi esce dalla bocca con la stessa forza e sincerità con la quale è entrata.
Quando sa accogliere i pezzi, gli arti staccabili del corpo di un burattino per unirli, tenerli compatti e
Facendo passare chi la possiede dalla frammentarietà del corpo del buratino all’unità dell’uomo.
La parola è edificante quando fa di me che proprio qui e ora sto parlando, una persona.
È la parola che ci rende individui.
Per questo è edificante.
E per questo il verbo – dio – ha scelto di essere parola per manifestersi. Perché senza la parola non ci sarebbe nemmeno il Verbo.
grazie.
questo intervento mi pare “edificante”. nessuna ironia, nell’affermazione. piuttosto l’impressione che quanto scritto abbia la forza di indurre a conoscere a fondo il linguaggio umano a valorizzarlo, rispettarlo in modo da fare della scrittura un atto sì libero, ma profondamente, eticamente consapevole.
Mi sembra un testo ricco di contenuto ma anche parecchio confuso. La confusione non è cmq una cosa in linea di principio detestabile. Tuttavia mi sembra che Mozzi non manchi di venir meno in diverse occasioni a queste buone intenzioni.
Ma, questo non dovrebbe fare gridare allo scandalo (ci riguarda un poco tutti), se è vero che non c’è corrispondenza perfetta tra le parole e il mondo (Mozzi: E così mi sono chiesto se potevo trovare l’edificazione proprio andando a scavarvi dentro, entrando quasi fisicamente dentro le parole. facendo cioè l’opposto di quello che richiedeva Santa Teresa, cioè: recidendo, tagliando il contatto tra le parole e il mondo). Tant’è che tra il dire e il fare si dice che ci sia il mare. E il mare è una figura (dei sogni) da indagare, come diceva Binswanger.
nulla come l’etica e’ cosi lontana dalla letteratura. Queste colorite espressioni, questo aggirarsi intorno a Dio, lui che, a giudicare come vanno le cose nel mondo che a creato, sembra distratto da qualche interminabile telefonata interurbana. Edificare, si, gli scrittori come muratori della parola, e i sensi, molteplici, di questa. Infiniti, come il vuoto, quello che sembra aleggiare intorno all’imbarazzo di una definizione. Edificare, certo, non celebrativo. Non mi sento migliore o peggiore di quando ho iniziato a scrivere, questo post, un tentato racconto, una tentata poesia. In cosa allora e’ edificante scrivere ? Nella possibilita’ di farsi comprendere, forse. Non so. Gia’ fosse solo limitata a questo sarebbe una festa ogni volta.
a giudicare da quell’acca dimenticata, ho gia’ una risposta : peggiore ! :-)
Caro Luminamenti, il pezzo è di Marco Franzoso, non mio.
Mi risulta piuttosto difficile riflettere sul tema “letteratura e edificazione” a partire dal termine “edificante” (inteso come “parola dell’esempio magistrale”). Lo trovo fuorviante, pretestuoso e al limite volgare. “La parola è edificante quando fa di me che proprio qui e ora sto parlando, una persona. È la parola che ci rende individui. Per questo è edificante”, dice Franzoso. No, secondo me la parola può edificare certamente, e anzi l’edificazione è uno degli esiti più auspicabili che la parola possa avere, ma non edifica noi stessi: edifica altro. Crea, costruisce, fa esistere qualcos’altro. Se si limitasse a far esistere me, la sua funzione sarebbe ben poca cosa: costruisce invece qualcosa che si situa altrove rispetto a me, che è fatta di un’altra “materia” rispetto a me, e che permarrà (si spera) dopo di me. Per giunta può farlo in barba a qualsiasi etica – o almeno: a qualsiasi etica che sia estranea alla pratica stessa dell’edificare (e all’interno della pratica dell’edificare leggerei piuttosto una “logica”, non un’etica). Quindi non sono per niente d’accordo con Franzoso, e col suo usare il termine “edificante” in quella particolare accezione, e cioè caricandolo di significati catechistici. Oltretutto, da questo a dire che c’è un modo “buono” e uno “cattivo” di costruire il passo sarebbe breve. Sono architetto e scrivo anche, dunque la questione mi interessa e mi coinvolge particolarmente; inoltre ho firmato un paio di commenti nel blog di giuliomozzi col nome di “anna”, e volevo esprimere il mio dissenso dall’anna qui sotto, che non sono io. Saluti.
volevo dire: dall’anna qui sopra…