Le scimmie sono uscite dalla rete!
di Gianni Biondillo
Sto facendo pubblicità, lo ammetto. L’altro giorno giravo per una libreria e ho visto la copertina di un libro (quella che vedete qui sopra) intitolato Le scimmie sono inavvertitamente uscite dalla gabbia. E ho sorriso.
Fra il 2004 e il 2005, nell’arco di poco più di 4 mesi, Dario Voltolini pubblicò su Nazione Indiana, in 100 tranches, una “cosa”, un “oggetto narrativo”, una “installazione” fatta di una serie di “diapositive mentali” che, mi ricordo, lessi con una avidità che ancora oggi mi stupisce, io così restio a leggere versi su monitor.
In un commento Dario stesso spiegò cos’era questo suo progetto:
“questo sproloquio che ho scritto, più simile a un diario che a un racconto e sicuramente diverso da quello che penso possa essere la poesia, io lo considero uno “spartito” da fare interptretare a un certo numero di voci sintetiche. Io ho lavorato anni fa in un laboratorio di tecnologie vocali ed è da allora che l’idea mi frulla in mente. Tuttavia, le voci sintetiche oggi a disposizione (quelle per intenderci ascoltabili sul sito di Loquendo), sono tecnologicamente di tutt’altra impostazione rispetto a quelle che erano le più aggiornate quando lavoravo io. Oggi sono voci “prelevate” da parlanti umani, quindi alla radice c’è una gola, un polmone, una corda vocale e dei setti nasali umani. Questo è quello che mi piacerebbe fare, lavorare tecnologicamente, se vuoi “freddamente”, con uno strumento che però alla sua origine ha un corpo.”
Tutte le Scimmie si possono leggere qui (le puntate appaiono in ordine inverso) ma è chiaro che vi sto consigliando di cercare in libreria il volume, e rileggere. O leggere per la prima volta.
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Non scherzo, per mesi ho tenuto d’occhio il sito Feltrinelli in cui il libro compariva con un “prossimamente”. Le scimmie erano belle al tempo della pubblicazione in rete e lo sono ancora di più come libro, oltretutto senza commenti cretini a corredo. L’oggetto ha anche una bella copertina.
Tempo fa Dario ha pubblicato una delle sue cose delicatissime per Hopefulmonster: “Mille stelle”, un racconto che nasce dai dipinti dell’artista della transavanguardia Nicola De Maria.
E ancora prima aveva realizzato col regista Alberto D’Onofrio un documentario su Torino intitolato “Verso il centro”.
Questo è il lavoro di uno dei nostri migliori scrittori. Non parlarne, non interessarsene, mi fa venire in mente il titolo di un libro di Jakobson “Una generazione che ha dissipato i suoi poeti”.
http://www.docfest.it/artdocfest2005/sinossi/artdocfest_sinossi75.html
http://hopefulmonster.net/prova/prodotto.php?idprod=222&urlprodlist=%2Fprova%2Fprodotti.php%3Fidcat%3D44
Sinceramente non lo conoscevo,
ma da come ne parlate sembra valga proprio la pena di.
Alla prossima visita in libreria ci si farà un pensiero.
sempre poetici,
Barbieri: “Non scherzo, per mesi ho tenuto d’occhio il sito Feltrinelli in cui il libro compariva con un “prossimamente”.”
Potevi stare altri tre anni a tenere d’occhio il sito Feltrinelli, visto che il libro è uscito per Fandango.
No, Miraggi, non hai capito niente.
Ora ti spiego. Il sito Feltrinelli possiede un motore di ricerca che ti informa della disponibilità delle singole librerie Feltrinelli. Le librerie Feltrinelli vendono naturalmente anche titoli Fandango. In più il motore di ricerca ti segnala le prossime uscite. Dunque mi collegavo al sito per scoprire in quale giorno il libro passava dalla categoria “prossimamente” alla categoria “disponibile”.
Dopo questa spiegazione dovresti essere tornato in asse.
Del libro di Voltolini è uscita questa recensione su ttL:
Se una città si chiama Fukkomukko
«Le scimmie sono inavvertitamente uscite dalla gabbia» di Dario Voltolini: la coscienza che l’unica avventura possibile sia quella della scrittura e della luce (della musica) che l’attraversa
di Giovanni Tesio
Qualcosa come un destino. Era quasi fatale che Dario Voltolini approdasse alla poesia, visto che tutta la sua narrativa in qualche modo le è congeniale. Congeniale alla poesia, voglio dire, come dimostra l’ultimo suo libro, Le scimmie sono inavvertitamente uscite dalla gabbia. Voltolini non è propriamente un narratore o meglio – se narratore è – è narratore iconico e sintetico, nel senso che ogni suo movimento è immagine, intuizione, fantasia, simultaneità. Tutti caratteri che alla poesia si addicono specialmente. E che poi la sua poesia sia poematica e tenda al narrativo (ossia tenda al poema e al racconto) non è un fatto davvero sostanziale, perché a contare è sempre e solo il modo con cui la cosa avviene. Con lui siamo di fronte alla negazione di qualsiasi funzione mimetica, siamo davanti alla coscienza che l’unica avventura possibile sia quella della scrittura e della luce (della musica) che l’attraversa. Tra materia e forma, tra cosa da dire e cosa che è corre qui il filo di una linearità continuamente disdetta, scattano associazioni, corto circuiti, «induttanze» mentali, quelle che fanno del nostro cervello una sorprendente macchina di memoria e di oblio, un lungo tracciato apparentemente digressivo su cui il filo delle storie si intreccia, si aggroviglia, si districa, si ritrova magari in un leit-motiv, in una citazione, in una analogia, disegnando mondi, scenari, paesaggi, giorni, crepuscoli, mari, temporali, figure. C’è il quartiere, c’è la fabbrica, c’è il centro di consegna merci, c’è Gianluca Vialli e c’è l’occhio di quella che viene chiamata col suo nome, Bruna, la fotografa con cui Voltolini s’è accompagnato in più d’uno dei suoi percorsi metropolitani. L’immagine stessa del titolo viene da due versi collocati nel contesto di un viaggio di discesa nei riti di una generazione «perduta». Forse un avviso, forse una constatazione di disagio, forse persino una dichiarazione di poetica anticonformistica e controcorrente. Voltolini evita accortamente un facile epos di accatto, usando registri multipli, ma spesso orali, bassi, colloquiali. Non alza il tono, non lo forza, ma dentro muove la sua musica (dalla sinfonia al rap) con sapienza ritmica di versi liberi, di rime ironiche e bisticci, di assonanze giocose (coke- smog-stop-rap), di ardite contaminazioni. Che dire del patente barocchismo (o shakespearismo) di un verso come questo: «il cielo mette fiori di stelle sul ventre dell’aurora»? Un flusso, insomma – ne ha parlato lo stesso Voltolini per Toti Scialoja – capace di accogliere le immagini dentro un linguaggio che fa pensare al ciclo dell’acqua. Sempre vi prevale la volontà di contenere la molteplicità nel giro dell’unità, di stringere insomma la varietà in un meccanismo capace di dare forma e misura alle metamorfosi del caos. L’ambizione di cogliere il plurale, il molteplice, la complessità della vita che si rimescola nelle sue turbolenze. Voltolini racconta immagini, non storie. Racconta ambienti, memorie, ritorni, racconta la luce, le stagioni, i cieli, i venti, i cataloghi di città visitate, di città complanari, di città inventate come «Fukkomukko», racconta gli oggetti umili e settoriali, racconta gesti e mestieri. Ha coscienza del fatto che tutte le cose ribollono di vita e che ciò che finisce ha un nuovo inizio, che ogni parte vale per l’intero, che tutto viene da un’unica sorgente gravida d’ogni sviluppo, di ogni variazione, di ogni disseminazione, di ogni contraddittorietà, di ogni antinomia, di ogni ossimoro, di ogni paradosso. Il tutto legato in simmetrie apparentemente perfette, in linee d’onda che modulano e danno aderenza emotiva – come suggeriva Steiner citando Lévi-Strauss – al «mito-logico», ossia al mitico, e al logico che sta dentro il mito. In virtù di una scrittura unica e coraggiosa, fa scattare le parole come serrature automatiche. Sotto la superficie geometrica delle linee e dei piani, le fa vibrare d’una forza di coinvolgimento che appartiene al gioco delle distorsioni visionarie (un po’ come, con altre risonanze, è accaduto nel ’90 fin dagli esordi di Un’intuizione metropolitana). Ambizione massima per quest’opera di poesia, l’essere andato in cerca di quello che proprio lui ha provocatoriamente chiamato una volta l’assioma della sua «utilità».
(Copyright ©2006 La Stampa)
Grazie della notizia: ho conosciuto Dario Voltolini ai tempi di Primaverile ospite di fine corso in un laboratorio di scrittura ed ho un piacevolissimo ricordo di lui come scrittore e come persona. Disponibile ed alla mano non si è negato neanche dopo, quando si è ritrovato con un manipolo di affamati lettori a mangiare e bere in un pub. Cultura poliedrica e affabile raccontastorie, beve ottima birra.
Da allora seguo i suoi lavori ed ho appena inviato una ordinazione al mio libraio di fiducia.
Prendo nota per il prossimo giro in libreria.
Un abbraccio,
Emma
Posso dire che Voltolini è una mia scoperta? Fui io a spronarlo e infondergli il coraggio di arrivare alla centesima puntata, come lui stesso ricorderà, mentre quello sciocco di Andrea Barbieri continuava a lanciargli fastidiosi bacini dalla boccuccia a cuore, a distrarlo con i suoi acritici gorgoglii e a fargli continuamente ciao ciao con la manina.
ma sciura locatelli eddai, non conoscevi voltolini? disce un amico di un amico mio che leggi 60 libri al mese.
ma è vero?
ecco il maestro cinico angelini in uno dei suoi pezzi di repertorio. cari amici vicini e lontani, ma perchè non tacci (sua) per sempre?
Angelini@, e c’hai proprio un bel coraggio! ;-)
Voltolini, bravo ragazzo, ma che noia
In un sito di fumettisti, Zelda, leggevo questo dialogo:
M: Artaud mi sta simpatico ma è uno scrittore noioso.
E: Non capisci un cazzo, e anche tu sei noioso. Aiutami a seppellire sto cadavere e andiamo a far colazione, che è meglio.
Carina, Andreino.Bravo
Davvero Zelda che noia. Il problema è che manca il temperamento, il carattere, la forza a questi scrittori.
Mio cugino ce l’ha.
ahoooooo è tornato a’ strafamme sti du’ maroni, a strizzammeli con li so’ babbuini, eh basta và!