Bellarmino e Apollonio
di Dario Voltolini
Nei giorni scorsi ho letto Le parole della memoria, un libro edito da Cadmo che raccoglie interviste rilasciate da Romano Bilenchi nell’arco di tempo che va da 1951 al 1989, anno della sua morte. In un’intervista l’autore del Conservatorio di Santa Teresa elenca una serie di libri da lui profondamente amati. Uno di questi è Bellarmino e Apollonio, dello spagnolo Ramón Pérez de Ayala, del 1921.
Per il grande amore che nutro nei confronti di Bilenchi, oggi mi sono messo a cercare il libro di Pérez de Ayala, nella speranza di ritrovare nelle sue pagine un’incanto simile a quello incontrato leggendo il Conservatorio: “se lo amava Bilenchi, ci saranno delle affinità”, ho pensato. Insomma, un modo come un altro per bighellonare nei paraggi di Bilenchi.
Non mi è parso che il libro fosse attualmente in circolazione, così sono andato a dare un’occhiata al sito Maremagnum Librorum, che mette in connessione diverse librerie antiquarie e dell’usato sul suolo nazionale, unificandone i cataloghi.
Lì ho trovato a disposizione varie copie e edizioni di Bellarmino e Apollonio. Una copia si trovava in una libreria della mia città, Torino (la libreria “Le Colonne”, in via Mombasiglio 17/b). Avevo un’oretta libera e sono andato a comprarmelo.
Si tratta della seconda edizione: Slavia, Torino 1931. Prefazione e note di Angiolo Marcori.
Riporto la parte iniziale della prefazione di Marcori datata 1930.
Ogni riferimento alla situazione attuale è puramente… triste.
Fu poco dopo la guerra. Se si eccettui Unamuno, l’attenzione degli editori e dei critici si rivolse allora all’opera di Vicente Blasco Ibañez. La cosa è spiegabile dal punto di vista degli editori, poiché si trattava di un autore di larghissima vendita, i cui volumi raggiungevano una tiratura fantastica. Ma si spiega meno agevolmente per i critici. Possibile che non vedessero niente al di là del fecondo scrittore?
Noi vogliamo far rilevare ora come la produzione di Blasco, considerato in quel tempo, e da gente di non poca autorità, il più grande romanziere che avesse la Spagna, abbia nuociuto alla diffusione e alla conoscenza tra noi del romanzo spagnolo. Possibile che ci si appagasse di quella prosa agghindata e lucente?
Del resto il fenomeno continua, se vediamo ancor oggi le cose peggiori di Blasco gettate a migliaia di copie, in edizioni economiche, sul mercato librario.
È nota la vivace reazione dei giovani spagnoli alla morte di Blasco: «non l’abbiamo mai letto», dissero.
Non era vero, naturalmente; ma la reazione fu giusta.
(Quanto a noi salviamo, se non altro, Cañas y Barro che è del 1902).
Avvenne così che nomi degnissimi restavan nell’ombra o ricevevan nobile e vano riconoscimento da riviste e cenacoli. Ma stupisce ad esempio ritrovar oggi tra i nostri libri un volumetto del ’22, che si occupava del romanzo spagnolo, e ignorava Baroja, Valle Inclán, Pérez de Ayala, per non dir d’altri. Stupisce pure che un’opera del valore di Misericordia di Galdós (pubblicata, si badi, nel 1987) abbia trovato solo da poco un coraggioso editore italiano.
Né la situazione mutò negli anni seguenti. Chi polarizzò questa volta l’attenzione degli editori nostri fu uno dei tanti Ramón di cui è ricca la letteratura spagnola: Gómez de la Serna. Siam ben lontani dal voler con questo esprimere un giudizio sull’autore delle greguerías; ognuno sa quanta della nostra inquietudine e sensibilità sia nell’opera di questo Ramón che ci ha donato pagine di tremante poesia. Intendiamo solo dire che di un autore straniero non è poi necessario tradurre tutto, specialmente quando ciò diventi un danno manifesto per altri scrittori degnissimi d’esser conosciuti ed amati.
Ed ora, dopo questa premessa, che ci è parsa necessaria per spiegare a noi stessi una situazione curiosa e dolorosa insieme, verremo a parlare di Ramón Pérez de Ayala, l’autore del presente libro che è per noi, e non solo per noi, uno dei più grandi libri della letteratura spagnola contemporanea…
Angiolo Marcori
Firenze, novembre 1930