Io, Peter
Avevo trascritto dall’ultimo librone di Peter Handke (Alla finestra sulla rupe, di mattina, Garzanti 2003, trad. di Umberto Gandini. Ed. orig.: Am Felsfenster morgens, Residenz Verlag, Salzburg-Vienna 1998) gli “aforismi” attinenti al tema dell’Io (anche minuscolo: io), per uno scopo che non ha avuto esito. Li pubblico ora qui: è anche un modo per parlare di questo autore importante che forse non sappiamo più dove stia andando (che io non so più dove stia andando, ma questo è un dettaglio di minima importanza).
Dario Voltolini
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«Dove vorrebbe vivere?» – «Nel racconto.» – «Quando vorrebbe vivere?» – «Al tempo del racconto.» – «A che scopo vorrebbe vivere?» – «Per il racconto.» (Inizio d’autunno 1982)
Vivere nel racconto? Essere finalmente di nuovo Nessuno
A proposito del rimprovero del «muoversi dentro l’interno»: chi si muove verso l’interno non sono io, ma il racconto; o meglio, no: siamo io e il racconto. La poesia dell’«e»: io e il racconto (16 ottobre)
Io stesso, però controllato = arte
Conosci te stesso – nei limiti del possibile
L’arte è recitare bene la parte di ciò che sono. Se recito male la parte di qualunque cosa io sia, non è arte
«Che io, consacrato e autorizzato, sia di nuovo la soglia per me!» (Hölderlin, Il viandante)
Lasciare in eredità il mio mondo: = scrivere
Mi sentirei molto meglio se fossi superato
Spinoza dice per «io»: «il nostro corpo»; e per «il mondo»: «il corpo esterno»
Devo recitare di continuo per apparire quello che sono
Davvero non costantemente portato al presente: io
Dal più profondo in me soltanto ho guardato verso l’esterno più lontano. E nell’interno più profondo regnava la quiete, e nell’esterno più lontano il colorato. Occhi di mare avrei avuto in quel momento, per te. E dal mucchio dei rifiuti si levavano, irradiando Pentecoste, le sfere solari dei denti di leone
Il verbo per «io»: «ascoltare»: io ascolto
Il verbo per me: «sono qui» (sono qui e ascolto)
Il canto vespertino delle monache era sorretto ieri da una splendida pacatezza, e non che la si desiderasse, la si provava: «Così sono anch’io!» (convento Nonnberg)
Il mio Dio in me ha paura con me per me; il mio Dio impotente (o «povero» Dio, secondo Hölderlin)
Per i più «racconto» è tuttora il (raccapricciante) groviglio che un ingoiatore della realtà vomita dopo aver compiuto il fatto; mentre io, narratore – l’Io in quanto narratore – mi nutro della realtà, con entusiasmo e tristezza, con tristezza entusiasta
La più splendida sensazione di esistere rimane per me quella di vivere nel racconto; il che vuol dire: esistenza ed estasi; oppure : estasi nell‘esistenza (19 ottobre)
Le onde nel fiume si muovevano, il vuoto vi sembrava così animato da animare (me)
Dove la soglia è eliminata, o non c’è più, devo intervenire io, l’Io, il bambino
La via verso l’esterno passa per me solo attraverso me (21 gen.)
Sta bene quando non ha un’opinione di sé. E: «Come stavo bene», pensava, «quando non sapevo ancora niente». Si guardò in giro: «Ma io non so niente!» Ed esultò
Un giorno Philip Kobal ascoltò una descrizione di sé, in cui, lusinghiera com’era, non si riconobbe minimamente. Però decise in quel momento di attenersi a quella descrizione
Hillel diceva: «Chi non vuole imparare, farebbe meglio a morire. E diceva anche: «Se non sto io dalla mia parte, allora chi sta dalla mia parte? Ma finché sono solo per me stesso, che cosa sono?» E diceva: «Se non adesso, quando mai?»
Cacofonica circonlocuzione per «io» nel Talmud: «Il mio odiatore»
Io faccio ciò che sono = scrivere
«Cuor di fratello»: dov’è il mio cuor di fratello? = Io
Libertà per me significa: liberazione dai dati personali (nell’autobus Maribor-Lubjana, 21 agosto)
Il mio esser-qui è sempre più un esser-là: un essere attratto verso un altro luogo
Emmanuel Bove, per esempio nel suo racconto su un luogo (sobborgo) Bécon-les-Bruyères – l’ho tradotto quest’estate – apre la scena dentro di me; e io mi prendo la libertà di popolarla (nuova vecchia letteratura)
«Il volgare è perduto non appena combatte» (Hebbel; «purtroppo rifugge tuttavia dalla lotta»: io)
Ognuno deve, dovrebbe, può? tornare alla sua propria antichità. «Io» dovrebbe diventare io
La più forte scossa dell’io e la struttura più generale coincidono; il mio personale sgomento indica, considera-racconta, la struttura più generale. E io non sono disperato, io vivo, quando posso pensare a un simile genere di scrittura (5 nov. 1984)
Io, che scrivo, insisto sulla mia parola, che è la nostra
Io consisto di me stesso: non c’è oracolo migliore, né più bello
«Io sono» significa: «Sono qui intorno»
A volte un bisogno così forte di purificazione e di purezza, assieme a una palpabile impossibilità di raggiungerle entrambe, ma così forte il bisogno da credere di doversi sacrificare (= uccidersi), per diventare finalmente puri (e invece dell’impersonale «si» di’ pure «io» per una volta)
Occorre un luogo per l’Io! La persona amata soltanto non basta. Occorre un luogo che mi avvolga. – E a questo proposito mi sono figurato per una volta finalmente un festoso ritorno a casa, come non l’ho ancora mai provato
All’interno delle parole, quando mi riesce di pensarle, è radicato, profondo in me, il cielo
Solo nel racconto l’anima acquista parvenza (24 ott.)
Per poterti raccontare devi mostrarti migliore e peggiore di quel che sei
Non dice «io» per presunzione, ma perché è solo, perché è abbandonato. E così scopre il suo patrono «Io»
Io solo: una valle asciutta. Ci sono due possibilità d’irrigazione: 1) gli altri, i vis-à-vis; 2) l’Io, e il racconto
In disparte dalla storia: lì scrivo io; lì scrive l’Io (11 gen.)
Al rimprovero: «Riferisci tutto a te stesso!» rispondi: «Ma io non sono soltanto io!»
«L’Io che racconta» è una bella espressione, azzeccata e con implicazioni; senza Io che raccontino nessun racconto (io racconto anche me nel racconto)
Scrivere: attraversamento del proprio cuore
Pensava: «Nessuno sa chi sono io!» Ma questo non significava che lo sapesse lui (5 giugno 1986)
Come quell’amico desiderava di rivivere, nell’ora della morte, il momento in cui era emerso dalla nebbia della valle al sole della montagna, così io desidero di esperire ancora una volta l’Io, il mio assolutore
Chi sono? Non ho neppure una macchina da scrivere come si deve
Ogni azione o spedizione di scrittura è un calarsi in un dirupo fino al centro del mondo (invece di «centro della terra»), che non si dovrebbe né si può tuttavia intraprendere troppo spesso. La dote, inoltre, di cominciare con lievità a scrivere, mi manca; devo ogni volta scendere profondamente dentro di me, e posso diventare lieve e «superficiale» solo muovendo da questa profondità
È strano il modo in cui continuo ancora a credere (perché è una fede) che il bambino che ero, di un certo villaggio, di una certa casa, proprio quel particolare, innocente Io non possa né debba finire nonostante tutte le possibili colpe che io possa aver commesso nel frattempo
L’alter ego, quello che mi perseguita prima con amore cieco e poi però con odio cieco, è il mito della mia povera vita
Posso vincere te solo passando per un terzo – il mio Io più intimo. Questa era almeno un tempo la mia convinzione
Arte, «moderna» (invece di post-): l’Io deve partecipare, o piuttosto agire insieme, fin nei più remoti personaggi
Quel «Conosci te stesso?» può finire solo nello spavento? Nel caso mio almeno?
Credo di comprendermi completamente solo in quei momenti in cui appaio di nuovo a me stesso come un perfetto enigma (6 maggio)
Verbo per il silenzio: mi «travolge»; un particolare modo di essere travolto; e io? «mi sento superfluo»
Non ho nessuna immagine di me, neppure un’opinione. Per fortuna continuo a non sapere chi sono. – E qui mi ripeto non solo volentieri, ma anche consapevolmente
Qualche volta, quando si fa luce in me, sono contemporaneamente preso d’angoscia
Altra parola per «esistenza»: dissoluzione (del sé)
Quando, non importa dove, sento un bambino chiamare il padre in preda alla paura e al panico, mi sento chiamato io, non importa da che bambino
Non io – non in questo mondo – non interpellabile – sono io, ogni volta che io, con gli occhi, con le orecchie, con i movimenti, precedo me stesso
Non: si chiede; – io chiedo (e qui è particolarmente evidente la differenza fra il «si» e «io»)
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da: Peter Handke, Alla finestra sulla rupe, di mattina (e altri momenti e luoghi 1982-1987)
Il motivo per cui è un dettaglio privo di importanza che io non sappia dove Handke stia andando, è che in fondo a me basta che vada da qualche parte, non importa dove. Io leggo la sua prosa che – benché tradotta – mi lenisce il male di scrivere. Leggo Handke, soprattutto l’ultimo, quello dei libroni, e mi fa bene all’attrezzatura da scrittore. Alle frasi, alla sintassi, al movimento delle parole. Quando un fabbro manutiene i propri strumenti fa più o meno la stessa cosa. Questo libro di diari, invece, mi lascia piuttosto immobile. Come se alla rupe ci fossi arrivato io. Naturalmente dentro ci sono anche delle cose magnifiche, ma insomma…
«Tutto è meglio dell’io — ma dove metterlo?»
(Canetti, credo)
EGO te absolvo, Handke.