Inedita poesia: Saturnino Primavera
Tre poesie
Storie da raccontare
nel silenzio delle notti bugiarde.
Storie da scrivere col sangue
e con le parole,
su questo bianco muro del Sud,
vivo da sempre e cancellato da tutti.
Da sempre, il vento ha mietuto
nella notte i fiori
dal grido vivo.
Storie da raccontare ancora
di pianto silenzioso, minuscolo,
che si nasconde in noi,
dietro di noi, lontano da noi,
vicino come un palpito
e cerca tra queste pietre
un grido, un sorriso perduto,
una parola cancellata,
un brivido di vita.
Vattene stanotte col vento di settembre
poeta, è il tuo destino.
Tornerà il tempo dei quadrifogli,
torneranno le rose
e sulle labbra di una fanciulla
morta nasceranno i girasoli.
Vattene stanotte, poeta,
col primo vento di settembre:
piangerai domani sul suo
minuscolo mondo di pietra
nascosto tra i cipressi.
Acerba bellezza.
Ho visto gli occhi della mia gente
sperduti tra i venti,
sepolti tra le pietre
acre e selvagge.
Ho visto il loro sangue
vecchio di inutili attese
nel cuore deserto di sete.
Nota Critica
SATURNINO PRIMAVERA, IL POETA DEGLI ULIVI.
di Maurizio Morello.
Il nome ed il cognome dei bambini trovatelli in passato lo decidevano gli impiegati dell’anagrafe ed il papà di Saturnino fu fortunato, perché fu una bella giornata di primavera ad ispirare l’impiegato che si occupò di lui.
Saturnino venerava Vito Primavera, suo padre, “guerriero di cento battaglie”: ostinatamente ribelle alla sua autorità in vita, gli dedicò un’intera raccolta di versi dopo la morte.
Dal padre Saturnino non ereditò solo un eccellente mestiere di ebanista ed una divorante insofferenza per le ingiustizie sociali, ma anche il piacere di verseggiare.
Quel piacere divenne però col tempo una vera ossessione, che lo induceva a scrivere versi su pezzetti di carta, su strisce di compensato, sui risvolti dei fiammiferi Minerva. Era l’inizio degli anni ’60 e “nel fondo di quell’esule provincia” in cui egli viveva, sulla strada che da Lecce porta a Gallipoli, Saturnino provava a sfidare quelle pianure del Sud su cui “non passa un sogno”.
“Lavorando – egli raccontava – nascevano in me immagini improvvise e grumi di pensieri che la sera traducevo in versi in forma libera e che successivamente limavo e rifinivo. Il contenuto delle mie poesie deriva dagli umori della civiltà contadina, trasmessami da mio nonno che in estate mi portava con sé a vivere in campagna. Lì facevamo la guardia ad un vigneto, dormendo in un trullo di canne (pajara). Trascorrevo le mie ore più belle legando i tralci delle viti basse (ceppuni) a forma di tunnel e sdraiandomi all’ombra, estasiato dall’odore della terra”
.
Ecco: la terra, la sua terra, “limite lucente da sempre” è il punto di riferimento principale della poetica di Saturnino. E nei frutti della terra, in quei tronchi di legno che egli maneggiava ed amava più di ogni altra cosa, egli si rifugiò quando, stretto tra i bisogni materiali e le incomprensioni del prossimo, gli parve che non avesse più senso scrivere.
La sua produzione poetica è quindi compresa in un periodo relativamente breve della sua vita, un periodo tumultuoso e prolifico, durante il quale molti si accorsero del suo straordinario talento: grandi editori e grandi personaggi, tra i quali anche Pier Paolo Pasolini, che lo volle con sé nella lavorazione del film “I fiori delle mille e una notte”. Ma Saturnino era allora troppo indaffarato ad inseguire i suoi demoni, per pensare a se stesso. Dissipatore per indole e per scelta, era del tutto privo del senso della proprietà e persino della proprietà intellettuale ed artistica. Così libero da ignorare i bisogni materiali e gli stenti in cui si è sempre dibattuto. Così intransigente da ignorare le pressanti lamentele dei clienti della sua bottega di falegname e da prestare ascolto solo ai misteriosi messaggi che il legno gli suggeriva e ai tempi che esso gli dettava, così diversi dai tempi degli uomini. Sempre intento, insomma, a cogliere “quei fiori che nascono sul sentiero dell’infinito”.
Le tre poesie che seguono, di cui l’ultima è inedita e fa parte di una nutrita e sconosciuta raccolta di versi rinvenuta dopo la sua morte, vogliono rappresentare un piccolo strappo in quella tela dell’anonimato e dell’oblio sotto cui giace “un poeta con la quinta elementare”.
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Più notizie, indicazioni bibliografiche, testi di Saturnino, per favore.
i versi inutili non bisogna avere paura di eliminarli. Invero di questa poesia ne resterebbero davvero pochi.
e le croci sparire dal sud
col loro carico di fiele
effeffe
Grazie effeffe,
Mi piace scoprire un poeta. I versi sono in comunione con la natura.
“scrivere con il sangue”, quale bell’espressione!
C’è qualche “cliché”, non so tradurre la parola in italiano, ma corrisponde a una epoca.
Inoltre le indicazioni bibliografiche rendono il poeta simpatico.
Ti appoggio Vèronique,
belle poesie, per la loro semplicità,
quasi un inno alla terra.
Nell’ultima in particolare, sento un’eco di Laorca.
ciao
Saturnino Primavera è nato a Lequile (prov. di Lecce) il 21 aprile 1930 ed ivi è morto il 24 marzo 2004.Ha pubblicato la sua prima raccolta di poesie nel marzo 1965 in un libro collettaneo curato da un circolo culturale locale.
Una seconda raccolta fu stampata nel giugno 1965 col titolo: “Parole e morte, questo sangue ignorato”.Nel 1967 viene pubblicata la terza ed ultima raccolta: “Il tempo e la morte”.Nel marzo 2006 il Comune di Lequile ha riunito in un unico libro i versi di Saturnino, tralasciando però 60 poesie rinvenute solo di recente. Per ulteriori informazioni contattare lo scrivente, oppure sacasilli@tiscali.it
questi versi sono intensi, la loro semplicità spiazza e incoraggia..
davvero belli!