Incredibili scuse a Dell’Utri
(«il Fatto Quotidiano», martedì 20 luglio 2010)
di Evelina Santangelo
«Chiedete scusa a Marcello dell’Utri». In questi termini si è pronunciato qualche giorno fa l’assessore alla cultura della provincia di Palermo contro la presa di distanza da Marcello Dell’Utri dei ragazzi di Giovane Italia Palermo, invitandoli al «silenzio e alla crescita», incurante delle accuse passate e presenti. D’altro canto, lo stesso senatore Dell’Utri non vede alcuna contraddizione nel rispondere proprio ai giovani del Pdl: «Borsellino e Falcone sono eroi, ma Mangano è un eroe per me». Pure il senatore Cuffaro, d’altronde, fece tappezzare la Sicilia con manifesti che dicevano: «La mafia fa schifo». Né i boss, in passato, hanno sottovalutato l’opportunità che qualche grosso commerciante siciliano si iscrivesse a un’associazione antiracket «per mescolare le carte». Ora, è proprio su questo modo disinvolto di «mescolare le carte» che vorrei riflettere in questi giorni dedicati alla memoria di chi i distinguo li faceva, eccome, fino al sacrificio della vita.
Discontinuità culturale
«Accanto ai giudizi dei giudici, – diceva Paolo Borsellino, – esistono anche i giudizi politici. Le conseguenze che dinanzi a certi fatti accertati trae o dovrebbe trarre il mondo politico». E Falcone, dal canto suo, non smise mai di ritenere la discontinuità culturale e morale come l’unica via praticabile per sradicare (e non solo combattere) la mafia dalla società. Una lezione che sin dalla metà degli anni ’80 ha visto molte associazioni e scuole siciliane impegnarsi più che mai sul fronte dell’educazione alla legalità, che in Sicilia significa soprattutto «educazione a una cultura antimafiosa». E questo perché, da allora, è risultato sempre più evidente come la mafia, il patto criminale stretto con una fetta del mondo politico e imprenditoriale, i morti che ha seminato, la sub-cultura che ha alimentato, gli abusi che ha perpetrato in decenni di controllo e stupro edilizio del territorio siciliano abbiano spesso dettato non solo l’agenda delle priorità, in Sicilia, ma anche logiche di convivenza, comportamenti, paure, e persino il modo di abitare una città come Palermo, di percorrerla… al punto che c’è persino un fondo di verità nella battuta paradossale del film Jhonny Stecchino sul «traffico» a Palermo: anche il «traffico tentacolare» del capoluogo siciliano è frutto del «sacco di Palermo», della volontà e degli interessi mafiosi diventati legge grazie alle connivenze politiche. C’è però qualcosa di ancora più insospettato su cui lo strapotere mafioso ha esercitato il suo condizionamento: cioè, i modi stessi in cui si è stati costretti spesso a rivendicare diritti e identità, sempre e prima di tutto in contrapposizione nei confronti di quanto la mafia ha inoculato, in modo materiale e immateriale, nel tessuto di questa terra e della sua gente, almeno per chi è cresciuto credendo nel dovere civile di contrastarla, la sub-cultura mafiosa, piuttosto che «conviverci» o farci affari. Così è accaduto qualcosa di paradossale. La mafia, più o meno indirettamente, ha finito, per orientare anche il sentimento lacerato che molti di noi siciliani nutriamo nei confronti della nostra terra e di noi stessi, costringendoci, di fatto, a definirci in primis per negazione, a dichiarare, prima di ogni altra cosa insomma, «ciò che non siamo e ciò che non vogliamo» (a volte un vero e proprio imperativo interiore, ma a volte anche una condanna dello spirito), nel tentativo, se non altro, di disinnescare la forza distruttiva che la sub-cultura mafiosa esercita nei confronti della nostra identità. Un modo drammatico, a ben guardare, di pensare il proprio senso di appartenenza a una terra, drammatico e sempre più assediato dalla spregiudicatezza con cui da tempo sono state rimescolate le carte: «le carte» che ricostruiscono la stagione delle stragi, «le carte» che segnano la nascita della Seconda Repubblica, «le carte» che dettano equilibri economici, politici, istituzionali, le «carte» dei principi che sanciscono la convivenza civile nel nostro paese. Eppure, tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, in Sicilia era accaduto qualcosa di impensabile: si era nutrita l’illusione che esistesse davvero un fronte civile solido su cui costruire un’identità in positivo: «La mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine», diceva Giovanni Falcone. E dire «fine» in una terra dove la non-speranza è stata sempre la maggiore azionista della mafia significava infondere il senso che era possibile prendere in mano il proprio destino e compiere scelte a partire da ciò che si voleva, ciò che si era, e che si poteva essere. È anche questa ridefinizione del senso stesso della propria identità che le bombe di Capaci e via D’Amelio hanno cercato di travolgere, uccidendo due giudici divenuti simboli, certo, non tanto di eroismo (se c’è un tratto che accomuna tutti coloro che hanno lottato sul campo la mafia in Sicilia è proprio l’antieroismo), ma di un modo «civile» di intendere le istituzioni e lo status stesso di cittadino in un paese civile. «Basta che ognuno faccia il proprio dovere», ripeteva Falcone.
L’allarme settentrionale
Eppure basterebbe anche solo leggere il dettato dell’emendamento del senatore Azzolini inserito tra le pieghe dell’ultima finanziaria come se nulla fosse (la licenza di stato all’abusivismo più selvaggio) per intuire che il «sacco d’Italia», come allora «il sacco di Palermo» (insieme a tutto il corollario di connivenze, condiscendenze o silenzi complici) stia oggi nell’ordine delle cose possibili, anzi, autorizzabili, se non auspicabili.
«C’è un allarme settentrionale, rendiamocene conto», scriveva su questo stesso quotidiano qualche giorno fa Nando Dalla Chiesa. Ecco, forse anche il nord, come il sud, come il centro, dovrebbe oggi passare da quel calvario lì che molti siciliani conoscono benissimo, dichiarando senza equivoci: «ciò che non siamo e ciò che non vogliamo», nel tentativo di riprendere quel discorso civile che, in Sicilia, le stragi e le esecuzioni del ’92 e ’93 hanno spezzato drammaticamente, ma non liquidato del tutto, se fa ancora paura a qualcuno l’idea che Giovanni Falcone e Paolo Borsellino si possano confondere tra i passanti nel centro di Palermo in una rappresentazione ideale della più profonda eredità lasciata a questa terra dai due giudici: la lotta alla sub-cultura mafiosa non è gesto eccezionale di esistenze eccezionali, ma comportamento ordinario che, ogni giorno, chiama in causa tutti in gesti individuali e collettivi di corresponsabilità.
Povero Dell’Utri, c’è gente che ancora si ostina a non capire che Mangano era un eroe.
Io se fossi nella Moratti gli dedicherei una via almeno qui a Milano. Ce l’ha avuta il mercenario Quattrocchi, medaglia d’ora al valore civile, a Mangano la si potrebbe dire per il valore… mafioso.
Comunque, Borsellino e Falcone non erano la Bibbia, le loro parole non sono verità rivelate. Voglio dire: non è vero che “basta che ognuno faccia il proprio dovere.” Non basta. Il valore e l’efficacia del lavoro dei singoli è condizionato sempre dal tipo di struttura organizzativa in cui è inserito. E se non si trovano le giuste misure strutturali alla risoluzione di un problema, non solo non si risolve il problema, ma diventa difficile per il singolo fare il proprio dovere.
E infatti allora si fece moltissimo per mettere in condizione giudici e forze dell’ordine, ad esempio, di fare il loro dovere con il poll antimafia, poi incredibilmente smantellato. E quelle parole di Falcone e Borsellino – come di tutti coloro che hanno segnato una forte discontinuità anche culturale nei confronti della mafia (magistrati, esponenti di forze dell’ordine, ma anche sacerdoti, insegnanti, politici…) – erano accompagnate da scelte individuali e collettive che avevano conseguenze sul piano stesso della realtà sociale, culturale ed economica de Sud… a tal punto che moltissimi ci persero la vita e altri la serenità (più di quanti si possa immaginare).
La scusa dei condizionamenti, al Sud, almeno, non regge più, mi dispiace, e lo dico da persona del Sud che lo vede ogni giorno come lavora ancora e tesse la sua trama la sub-cultura mafiosa… e in una terra in cui nessuno si sognerebbe più di dire, come il prefetto di Milano, come la stessa Moratti fino a qualche tempo fa, che la mafia non esiste. È questa rimozione che fa paura, Lorenzo, a chi l’ha vista in atto in tempi terribilmente sospetti, tempi che si pensava fossero (almeno in queste forme così spudorate) ormai culturalmente superati.
Nessuno dice che Falcone e Borsellino siano «la Bibbia» (io dico addirittura che è persino sbagliato dire che furono degli eroi, e lo dico perché erano loro i primi a trovare spaventoso questo modo di caricare su vite eccezionali il peso della lotta alla mafia…), ma di sicuro parlavano con profondissima e drammatica cognizione di causa.
pool antimafia… chiedo scusa per il bruttissimo refuso
mi spiace Lorenzo, non son proprio d’accordo, inj Italia ancora le strutture anche giuste e democratiche esistono e trovo prevalente la singola non attitudine e comportamento responsabile dei singoli in gran parte responsabile di storture diventate sistema non ufficiale e strutturato nelle norme ma vigente e reale. Il singolo con gli sconti che si fa rende possibile il resto e il peggio.
Io mi limito a dire che non basta che ognuno faccia il proprio dovere, quindi citare quella frase di Falcone (di cui non so il contesto) è un po’ un rischio.
Per quanto rigaurda il pool antimafia e la priorità del combattere la mafia, mi pare che ancora oggi pochi abbiano cercato di chiarire
-il discorso del tutto errato di Sciascia sui professionisti dell’antimafia (tutti lo citano ma senza ricordare che Sciascia lo faceva per sostenere l’anzianità al posto del merito nella scelta dei magistrati nel caso di Borsellino), e in questo senso anche Orlando di recente ha intorbidato le acque dicendo che Sciascia aveva ragione ma sono stati altri a strumentizzarlo (e Dalla Chiesa stupito ha detto che Orlando si sbagliava).
– la genesi e il ruolo della superprocura antimafia voluta da Martelli per Falcone: non tutti erano d’accordo con quell’istituzione (Orlando e dalla Chiesa appunto, e altri come Galasso e non saprei cosa ne pensava Borsellino) e oggi non si discute più sulla sua validità perchè la carica all’inizio la ricopriva Falcone e si pensa sempre a lui quando se ne parla – e quindi non si fanno critiche.
Qualche giorno fa, caminando nei giardini di Bardini, gli occhi verdissimi dal colore dell’estate, valicando spazio di maggiore bellezza, ho sbucato su un passaggio ombroso. Ho visto un cartello picolo, in realtà una carta con scritti neri: museo della mafia – Leonardo Sciascia.
Mi sono un po’ persa tra i diversi sentieri come giocco di pista, in una solitudine inattesa.
Ero sola nel museo, tranne due giovani che guardavano la mostra.
Sono passata della luce abbagliante a una luce più artificiale. la mostra valeva il dintorno; raccoglie la prima pagina dei giornali dedicati alal mafia in Sicilia. Mentre che una goccia di sudore scedeva nella mia schiena, e che lottavo contro il calore faccendo vento sotto il mio vestito, mi sono fermata. Ho sospeso il mio gesto, perché ero emmersa nei titoli e i miei occhi erano sgranati davanti all’orrore. Fotografie anche delle grotte dove vittime erano torturate, parole che entrano per sempre nella mente: vittime sciolte nell’acido o buttate nel mare, morte dei giudici, morte degli uomini che avevano nel cuore di creare un respiro alla Sicilia.
uomini di fronte alla ferocità che il sole di Sicilia non puo inghiottire.
Questo sole colore di vino, questo mare colore di vino.
Soli i bambini davanti allo specchio sono in grado di inventare la loro Sicilia.
Mi scuso per gli errori della lingua. le prime paggine, alla, mentre una goccia, scendeva lungo la schiena, ero assorta
è vero e sacrosanto che ognuno debba fare il proprio dovere, e anche di più per chi non lo fa, con il proprio impegno quotidiano, ma è anche vero che se chi legifera fa di tutto per rendere tutto vano, negando intercettazioni, tagliando fondi, arrestando qualche mafioso magari venduto ai saldi da chi si sta armando, è tutto più difficile.
evelina, vivendo in sicilia ho sentito il tuo post vicino, e necessario, ma come dici tu, ormai il problema non è più solo siciliano….alcuni di “noi” almeno, che la mafia esiste, abbiamo cominciato a dirlo….
hanno
Quando nella vicenda della contraffazione dei formaggi quei lavoratori dicevano che erano stati “costretti” a falsificare le date di scadenza ( e parliamo di persone che poi o subito o lentamente si ammalano e anche gravemente) c’era qualcuno che minacciasse loro o qualcun altro di ritorsioni altrettanto gravi? Non si rendevano conto che erano le perfette persone che potevano raccogliere prove e denunciare il tutto? E tutte le piccole deroghe che in ambito sanitario vedo continuamente avvenire e che se anche non hanno sempre effetti drammatici nutrono il tessuto di possibilità di ricatto e omertà e anche la possibilità che leggi che minano alla base la convivenza civile equilibrata come ora si sta facendo, si basa su questro ormai capillare torbido intrico di piccole vigliaccherie e comodità. Gherardo Colombo nel Vizio della memoria sosteneva che basta la giustizia ordinaria per sconfiggere la mafia, certo resa possibile (e qui a tratti la volontà dello stato c’è stata e più spesso è mancata), e se non sono contraria anche a strumenti eccezionali non possiamo accomodarci solo sul mancato desiderio dall’alto o il divenir vano di essere invece puntigliosamente e andh odiosamente corretti e perbene e fare con cura e coraggio intelligente ciò che si è preposti a fare.
Chiedergli scusa? Non so. Però ricordo che uno dei nostri poeti primari, una quindicina di anni fa, assai accalorato, mi disse che non credeva alle accuse verso Dell’Utri, che per lui egli era uno degli spiriti più belli che avesse mai incontrato. Per rispetto delle gerarchie, Santangelo, dovendo mettere la poesia davanti alla prosa, debbo credere aprioristicamente alle opinioni del poeta. Pur conservando dubbi, enormi dubbi, sulla eticità di Dell’Utri. Ma, per fortuna, non esistono reati etici.
I dubbi… Credo che almeno noi “ liberi scriventi “ dei dubbi sulle pratiche politiche e giudiziarie siciliane bisognerebbe averli. Prima di tutto sulla disgrazia del reato di associazione esterna, voluto da Giancarlo Caselli in combutta con politici antimafia che allora erano ambigui almeno quanto lo sono oggi, senza fare nomi Leoluca Orlando, per esempio, che tanto se la vedeva nemmeno con Falcone, mi pare di ricordare. Il reato di associazione esterna è aberrante, mi fa immaginare che verrò un giorno accusato nei depurati circoli letterari di aver avuto a che fare con gente che ha vinto lo Strega, cosa successa senza che io ora possa farci nulla.
Io dei dubbi li ho anche circa l’efficacia politica della lotta alla mafia fatta coi proclami, l’educazione nelle scuole e le manifestazioni di piazza. Perché da quando ci sono questi esempi di società civile le elezioni le vince la destra: non scordiamoci mai il 61 a 0 del 2001.
D’altra parte si fa finta che l’economia sviluppata dalle mafie in modo più o meno criminale sia in concorrenza con un’economia sana, che vive nel mercato rispettandone le leggi e i princìpi. Non è così, lo sappiamo tutti. L’economia cosiddetta sana non è così pulita, lo scopriamo giorno dopo giorno: l’area di collusione tra economia sana e economia mafiosa è probabilmente molto più larga di quanto siamo disposti a immaginare. D’altra parte il danaro, una volta riciclato, anche attraverso i condoni dello Stato, diventa lindissimo e pronto per entrare nel sistema virtuoso delle economie: questo è il SISTEMA in cui vivacchiamo. Ma limitiamoci ai territori politico-economico-mafiosi siciliani, quelli presumibilmente criminali.
In Italia lavora una persona su due, poco più. Vuol dire che in Sicilia, 5 milioni di abitanti, dovrebbero lavorare circa 2,7 milioni di persone. Sappiamo che sono meno perché il dato disoccupazione è molto più alto che in altre regioni, diciamo che gli occupati regolarmente saranno neanche due milioni. Considerato il dato dovrebbe essere una ragione povera, molto povera. Invece gli indici statistici suggeriscono che il tenore di vita è molto alto, che Palermo, per esempio, risultava qualche anno fa la prima città per consumi di lusso.
Il Pil italiano è circa 1500 miliardi di euro, viene cioè prodotta ricchezza in termini di 45.000 euro per ogni posto di lavoro. In Sicilia il Pil è 82 miliardi, ma dovrebbe essere almeno un 40% in più. Molto probabilmente questa è la cifra che mettono insieme gli affari mafiosi, 25-30 miliardi di euro all’anno. Sono tanti soldi, che mantengono tante famiglie, che mantengono alto il tenore di vita dell’intera regione. Ho già detto che ogni occupato in Italia produce ricchezza per 45.000 euro. Vuol dire che nell’economia irregolare, un giro di affari simile produce posti di lavoro in misura di 5-600 mila, meglio pagati che nei settori regolari, per una sorta di naturale indennità di rischio…
Così, a spanne, quello che ho detto significa che fare la lotta alla mafia, se davvero si vuole, deve significare più cose: lotta allo corruzione e al malaffare nello Stato, nelle imprese e nel sistema bancario-finanziario; lotta ai posti di lavoro non puliti dei siciliani e lotta al tenore di vita.
Messa così, la cosa, ci fa capire tanto circa lo scetticismo dei siciliani. Credo però che se gliela raccontassimo così, ai siciliani, che sono un gran popolo, può darsi che si convincerebbero davvero a tentare di trasferirsi tutti nel circolo della legalità, in base al tentativo di lealtà che intravedrebbero nella nostra analisi. Altrimenti continueranno a farsi i fatti loro, a considerare lo Stato nient’altro che qualcosa da depredare il più possibile e la mafia una cosa orribile con la quale è necessario convivere. E continueranno a considerare con tenerezza gli antimafia a parole, continuando pure ad accarezzare amorevolmente gli idealisti figli e nipoti, infervorati, perché a scuola è stata loro appena spiegata la cultura della legalità.
Gentile Larry Massimo,
riporto le sue conclusioni con un certo sconcerto, direi.
1) «Così, a spanne, quello che ho detto significa che fare la lotta alla mafia, se davvero si vuole, deve significare più cose: lotta allo corruzione e al malaffare nello Stato, nelle imprese e nel sistema bancario-finanziario; lotta ai posti di lavoro non puliti dei siciliani e lotta al tenore di vita».
2) «… credo però che se gliela raccontassimo così, ai siciliani, che sono un gran popolo, può darsi che si convincerebbero davvero a tentare di trasferirsi tutti nel circolo della legalità, in base al tentativo di lealtà che intravedrebbero nella nostra analisi. Altrimenti continueranno a farsi i fatti loro, a considerare lo Stato nient’altro che qualcosa da depredare il più possibile e la mafia una cosa orribile con la quale è necessario convivere. E continueranno a considerare con tenerezza gli antimafia a parole, continuando pure ad accarezzare amorevolmente gli idealisti figli e nipoti, infervorati, perché a scuola è stata loro appena spiegata la cultura della legalità».
MA si rende conto o no che oggi (anzi, d un bel pezzo), i soldi, la mafia li sta investendo anche e soprattutto al nord, e anche al centro, direi? E che i «posti di lavoro non puliti» come li chiama lei sono disseminati dovunque? Anzi, non parlerei più nemmeno di« posti di lavoro» parlerei di intere imprese colluse con le mafie, interi sistemi politico-imprenditoriali che di queste colluzioni si nutrono!
Sa però qual è la differenza, la differenza è che nessuno che abbia un minimo di CONSAPEVOLEZZA in Sicilia direbbe mai che avere interessi in comune (non solo frequentazioni) con la mafia (vada un po’ a leggersi, ad esempio, della banca Rasini…) sia irrilevante, anche solo politicamente irrilevante (perché ci sarebbe un lunghissimo discorso da fare sul piano etico e culturale, aspetto che ho cercato di toccare nel mio intervento). Che lo sia penalmente è certo da dimostrare di volta in volta (per quanto, beh, già ci sono fior di sentenze che lo dicono… riguardo al Dell’Utri, e non solo…).
Così io, da siciliana che ha avuto un padre impegnato sul fronte antimafia in tempi non sospetti (quando lottare la mafia, in Sicilia, sembrava un gesto da pazzi), le dico che la mafia ha sempre contato su un’opinione pubblica silenziosa o connivente, su chi dice che la mafia crea posti di lavoro o che la battaglia si fa su altri fronti, per poi aggiungere che i fronti sarebbero talmente tanti che alla fine… non si sa bene neanche cosa combattere.
Anzi, le dirò di più. Da allieva di padre Puglisi, le posso assicurare che la mafia teme chi cerca di combatterla anche nel tessuto culturale, perché quando la mafia perde anche solo il silenzio dell’opinione pubblica (quel silenzio così caro a molti autorevoli milanesi, come il sindaco Moratti, che la mafia non la vede… in Lombardia), quando la mafia perde questo puntello fondamentale, sta già perdendo una buona parte del suo potere.
Secondo lei, perché è stato ucciso padre Puglisi? Non era un magistrato, non era un poliziotto, non era un imprenditore… Padre Puglisi era un insegnante, oltre a essere un sacerdote! Era un sacerdote che aveva scelto di non starsene nel chiuso della sacrestia, ma di INSEGNARE una cultura e dei comportamenti di profonda discontinuità rispetto alla sub-cultura mafiosa (e con «sub-cultura mafiosa intendo anche tutta quella pseudo-cultura che la mafia la tollera, la alimenta, la ritiene un male quasi necessario… la NUTRE anche solo con il SILENZIO).
E sempre da siciliana le ricordo che accanto ai siciliani, ai lombardi, ai campani, ai calabresi, ai piemontesi, ai laziali… agli italiani… che si fanno i fatti loro, ci sono altrettantri siciliani, milanesi, calabresi, campani, laziali… italiani che non si danno per vinti.
Se c’è qualcuno che sta «deprendando», come dice lei, lo Stato, non sono certo «i siciliani», ma quanti, siciliani, lombardi… italiani, ovunque in Italia, approfittano in tutti i modi di vantaggi economici, finanziari, politici illegittimamente e spesso anche illegalmente ottenuti.
In più le ricordo:
1) se c’è qualcuno che ha detto che bisogna convivere con la mafia, questo qualcuno è, tra gli altri, un ex-ministro di nome Pietro Lunardi (un uomo del nord non un siciliano come Cuffaro)
2) quegli «idealisti» di cui parla lei, prima ancora dei figli educati nelle scuole siciliane, sono tutti quei padri e quelle madri che per combattere la mafia hnno perso la vita o anche solo… la serenità (ricordo come se fossero ieri le minacce a mio padre riguardanti noi figli, e mio padre NON era che un «INSEGNANTE», guarda caso…)
Stalker, lo so che nessuno oggi in Sicilia oserebbe dire che la mafia non esiste… persino i mafiosi e i collusi lo dicono, a modo loro e con i loro doppi e tripli sensi…! Tanto è ridicolo negarlo.
evelina, concordo con te, specialmente quando dici che
..la mafia….… la (si) NUTRE anche solo con il SILENZIO
@Santangelo
Nel fare il copia incolla si era persa quaesta parte del commento, che stava in testa: Avvertenza. L’intervento è poco diplomatico, un po’ cinico, ma cerca di riflettere su una situazione, niente altro che questo. D’altra parte sono uno che si dispiaceva per Falcone quando veniva dileggiato da tutti e quasi trattato da traditore (per esempio dal giornale Unità). E sono uno che non perdona al vicepresidente del CSM Nicola Mancino, ministro degli interni nel 1992, di aver dimenticato un suo incontro con Borsellino, che era uno dei magistrati più in vista d’Italia: come se io mi dimenticassi di aver incontrato Céline, che purtroppo non ho mai incontrato davvero….
Io non ho niente in comune con i Lunardi, però sono indignato più di lei, perché credo che il 61 a 0 rispecchi il paese più di altre analisi. Non aspetto altro che di lasciarlo, questo maledetto stivale rotto, nel quale il livello di corruzione è alto ovunque, mafia o non mafia. In attesa di giusto espatrio, vVivacchio in Toscana, sono a conoscenza di tanto malaffare che lei definerebbe mafioso e che è invece semplicemente italiano, ben albergato nelle democratiche istituzioni. Per esempio conosco le malefatte di Verdini e Fusi da almeno 20 anni: le garantisco che quello che sta venendo fuori è nulla, e che essi non sono la vetta della Piramide, ma semplici esecutori materiali.
Questo, Santangelo, è un paese fondato sul ricatto e sulla sopraffazione, non c’è nulla da fare. Quando arrestano qualcuno ho sempre il sospetto che sia un mafioso perdente consegnato alla giustizia, a volte anche autoconsegnato, per sfuggire a morte sicura (e mi risulta che anche l’isolamento da 41 bis è funzionale al progetto di sfuggire alla morte). D’alltra parte, il clima da stadio di recenti operazioni antimafia in Sicilia non promette nulla di buono. Ci è anche chi sostiene che i ” tifosi ” fuori dalle questure vengono organizzati e pagati (Genchi, curiosamente non ancora querelato per questo)
Se poi vogliamo dire dei padri, sono figlio di un onesto imprenditore completamente rovinato dalla Mafia, quando ancora i vertici dello Stato sostenevano che la mafia non esiste, costretto a fuggire dalla sua terra, sopravvissuto da dannato e in povertà, nonostante i suoi crediti ammontassero a una cifra paragonabile a centinaia di milioni di oggi, da uomo che aveva deciso di non venire a patto coi mafiosi, né di metter a repentaglio la vita dei suoi cari.
Lei dice che la mafia è dappertutto in Italia, coi suoi soldi. Io penso non solo in Italia. Però i soldi, in questo sporco sistema, sono considerati puliti. Una volta lavati, magari rimpatriati con un condono tombale, non c’è verso di farli risultare non etici.
Continuo a ritenere che il reato di concorso esterno in associazione mafiosa è un reato da paese delle bambole. Concordano con me insigni politologi e giuristi non assimilabili all’attuale governo. Infatti non esiste da nessun altra parte del mondo.
Infine, non ce l’abbia con me che pure sono un prosattore, continuo a rispettare più la poesia che la prosa. Con tutto il rispetto per le sue idee che mi sembrano irremovibili.
larry, io invece rispetto la poesia e la letteratura, in egual misura, cerco solo di distingure tra brutta e bella poesia e bella e brutta letteratura, dal mio punto di vista s’intende.
rispetto le idee quando hanno forza, e le persone quando ancora sperano di poter cambiare se stesse e il mondo….infantile, lo so, meglio non mi viene.
non possiamo essere noi, comuni o straordinari cittadini – la parola “eroi” la lascio ai mercenari morti in iraq – a fare accertamenti bancari e fiscali, a legiferare in una direzione o LORO favorevole o avversa, a controllare la consob che dovrebbe controllare e invece fa quotare in borsa spa con teste di legno e amministratori che cambiano ogni sei mesi, con bilanci falsi (e il falso in bilancio è stato depenalizzato da chi con la mafia fa accordi…il 61 a 0 ricordi?…) che creano sì indotto in un medio comune con “merce” di “lusso” che in un periodo di crisi rimane nei piazzali certamente invenduta (ma anche prima) e che e hanno lasciato molti investitori col cerino in mano. però portano voti e muovono denaro “virtuale” e fatture di carta straccia, anche se ormai il barile è stato raschiato e rivoltato.
e allora? se non si riesce ad andare al cuore del problema meglio stare fermi con la coscienza in pace pensando che il paletto è un po’ più in là?
intanto, “quaggiù”, vedo giovanissimi ragazzi che sulla legalità cominciano a interrogarsi, ed anche ad agire, perchè qualcuno ha ancora voglia di parlare non solo degli alberi del giardino.
una goccia lo so, ma in terre desolate due gocce già si fanno acquazzone…..
[vadi getto, invio e non rileggo]
larry massimo, l’associazione esterna alla mafia esiste perché in sicilia non ti rilasciano nessuna tessera di affiliazione. In ogni caso tutti sanno tutto di tutti: sono i mafiosi stessi a farsi riconoscere dal proprio territorio, dal proprio paese ecc…, per controllarlo. Tutti entrano in contatto almeno una volta nella vita inconsapevolmente con appartenenti delle famiglie, non per questo ne ricavano dei guadagni. E’ questa la differenza. Cmq, tempo fa scrissi che era impossibile, secondo me, che nella Padania si potessero vincere le elezioni senza che “qualcuno” spostasse pacchetti di voti di quella sproporzione, mi dissero che sognavo. Lei dove abita? In ogni caso, benvenuto nell’incubo.
Larry Massino,
non sono una giurista e probabilmente ci saranno buone argomentazioni per ritenere discutibile il concorso esterno in associazione mafiosa, ma, come sostiene Made in Caina, una cosa è imbattersi per caso in un mafioso (cosa che può anche accadere, non lo metto in dubbio), tutt’altra cosa è averne vantaggi, fare affari e, come sta facendo il senatore Dell’Utri, farsi persino paladino di alcuni aspetti precisi della sub-cultura mafiosa (rilasciando dichiarazioni in cui ad esempio si fa del silenzio omertoso, non solo una strategia difensiva – fatto già gravissimo per chi dovrebbe rappresentare le istituzioni –, ma addirittura un valore).
Quel che è spaventoso, nell’odierno stato di cose, a mio avviso, è il modo in cui si stanno integrando nella pratica e nella cultura italiana aspetti di quella sub-cultura senza che spesso la maggior parte della gente se ne reanda conto.
Mi viene da sobbalzare quando ascolto certe dichiarazioni che persino nei toni e nei termini evocano modi propri del linguaggio mafioso fatti di oscure minacce, di avvertimenti, di discorsi dai sensi doppi che, mentre dicono una certa cosa, di fatto, ne stanno dicendo un’altra… anche quel «non ricordare» di Mancino… o il linguaggio di un Verdini…
Quel 61 – 0 è il segno più evidente di quella grandissima azionista della mafia, come dicevo nel mio articolo, che è la non-speranza, l’idea cioè che niente potrà modificare uno stato di cose in cui la «legge» è arbitrio, garanzia di sopraffazione e impunità, salvaguardia di appetiti individuali o di comitati d’affari… È questa sorta di «mafiosità» fatta ormai sistema che a me fa paura, nonché il modo stesso in cui viene esibita come qualcosa che rientra nell’ordine «normale» delle cose…
Tempo fa, scrivendo un articolo sul «Giorno della civetta» di Sciascia, concludevo così:
«…guardando oggi allo stato presente dei costumi degl’Italiani, suonano quasi profetiche alcune considerazioni con cui si chiude “Il giorno della civetta”: “bisogna andare in Sicilia per constatare quanto è incredibile l’Italia”; “forse tutta l’Italia va diventando Sicilia…”. A quelle considerazioni seguiva una “fantasia”: s’immaginava una sorta di “linea degli scandali” che saliva su per l’Italia come “la linea della palma”, il clima propizio alla vegetazione della palma che da sud si andava spostando pian piano verso nord… Ora, oggi, in Sicilia, – continuavo in quell’articolo, – però, c’è una fatto nuovo. E il fatto nuovo, che potrebbe suscitare altre “fantasie” forse troppo funeste, troppo di malaugurio (ci perdonino dunque gli alabardieri dell’ottimismo) è che nel tronco delle palme, di un numero sterminato di palme, un coleottero, il punteruolo rosso, ha deposto da tempo, di nascosto, centinaia di uova. Le uova si sono schiuse, le larve hanno preso a muoversi verso l’interno dei tronchi, divorando i tessuti fibrosi, scavando tunnel e cavità sempre più grandi sino a svuotare i fusti, sino a infestare qualsiasi parte della pianta. Così oggi, in Sicilia, beh, un numero sterminato di palme ormai è collassato. In Sicilia, oggi».
Ecco, questa «fantasia» oggi mi sembra più che mai corroborata da troppe evidenze. E la cosa, personalmente, mi sconcerta. E mi sconcerta vedere tanta accondiscendenza in giro.
Per il resto, rispetto assolutamente la sua storia e il suo scetticismo tutt’altro che liquidatorio (adesso capisco). Anche a me spesso mi prende un terribile sconforto, però, non me la sento di mollare, se non altro per una questione di «educazione» a considerare la quotidiana presa di distanza da comportamenti che possano in qualche modo giovare alla sub-cultura mafiosa come una questione di dignità e di libertà.
Evelina, finché ci saranno persone come lei (e come tantissimi ragazzi e ragazze che si “sbattono”, come ricordava qualcuno) quella gente dovrà fare sempre uno sforzo in più. Almeno, che si sfianchino e che gli escano le coronarie soltanto per ottenere un appalto. E comunque, credo che, dopo il ’92, in Sicilia essere contro cosa nostra per molti, uomini e donne, sia diventata una questione d’onore. Almeno è ciò che spero, e in parte che ho vissuto. Intanto nella civilissima e progressiva lombardia l’omertà sovrana, se questa non è stata una mutazione antropologica!
Evelina Santangelo
Sempre a Gramsci si finisce, il pessimismo della ragione e l’ottimismo della volontà. Io, in questa Italia che odio, mettiamo come Nietzsche odiava la Germania, come Thomas Bernhard odiava l’Austria, mi permetto di essere pessimista anche nella volontà. Capisco che la posizione è discutibile.
Non essere giuristi, Santangelo, senza offesa, non ci esonera dal conoscere i principi elementari del diritto. La facoltà di non rispondere è un diritto dell’imputato, del quale non conosco la ratio, ma mai contestato da nessuno in quanto tale. Il diritto è importante, è ciò che rende possibile alla povera gente di sopportare i soprusi che comunque deve subire nel corso della propria vita da chi ha potere. Le lotte contro le ingiustizie bisogna farle a partire dall’idea che l’area dei diritti va allargata, non ristretta, perché se si restringe ci rimette la povera gente. Così la pensava anche Sciascia, mi pare di ricordare, per esempio ai tempi della infame legge reale, che con la scusa della lotta al terrorismo rendeva di fatto le città soggette a coprifuoco dal tramonto all’alba (c’ero, ero ragazzino, ma stavo per strada, anche di notte, quando si veniva fermati coi mitra puntati addosso praticamente tutte le sere, si veniva schedati, si poteva essere arrestati e condotti in carcere preventivamente, fino a tre anni di reclusione preventiva…).
In certi casi Bisogna davvero saper stare immobili, come i siciliani, che sono anche grandi dissimulatori, da quello che si capisce dai romanzi di Sciascia, di Bufalino, di Tomasi di Lampedusa, di Pirandello ecc Bisogna essere intelligenti, per sopravvivere a questa democrazia pagliaccesca, intelligenti come i siciliani, bisogna sopra di tutto saper valutare le conseguenze indirette delle proprie azioni. Se ci si dichiara società civile, per esempio, si dà indirettamente dell’incivile a chi non aderisce ai nostri princìpi (si fa ANCHE questo…). Non va bene, perché i neutrali, che possiamo anche chiamare ignavi se li vogliamo spregiare di più, se la prendono a male, finiscono per non votare il partito più vicino alle nostre istanze. Infatti, come elettori si turano il naso e votano dall’altra parte. Come non ricordare che quando la lotta alle mafie la facevano i magistrati, in Sicilia, anni ’80, le sinistre erano forti, governavano grandi città e in qualche caso anche la Regione. Da quando c’è la società civile, invece…
Evelina non fraintenda, la prego, avrà capito benissimo che io in Sicilia sarei stato probabilmente ucciso come Peppino Impastato, perché poco so tenere la lingua a posto, cioè nel verso del leccare. Ma non posso fare a meno di analizzare i dati, di essere il più possibile obiettivo, perché con la militanza non si va da nessuna parte. Bisogna per esempio sapere che i voti in Italia si comprano, ovunque, c’è un preciso tariffario. Nel sistema bipolare, dove si vince o si perde a volte per una manciata di voti, poter contare su pacchetti preacquistati fa vincere o perdere le elezioni. A questo servono i fondi neri che questo governo sa bene produrre, pare, almeno da quanto si capisce dell’Aquila, dove i lavori per il Piano Case sono costati il doppio del prezzo di mercato. O come si capisce dal rapporto che i recenti governi hanno con Impregilo, quella che guadagna si facciano o non si facciano i grandi lavoro che riesce ad ottenere dallo Stato, ponti, gallerie, inceneritori, intascando penali a suon di centinaia di milioni di Euro (per il ponte non fatto pare 500 milioni, per il nuovo progetto di ponte che non verrà fatto non so, per le centrali nucleari nemmeno, idem per i termovalorizzatori e per la gallerie di 7 km che dovrebbe squarciare il centro di Firenze, che i fiorentini bloccheranno, ci può giurare). Impregilo e simili, il meglio del capitalismo italiano, meriterebbero romanzerie e romanzerie, che invece, c’è da scommettere, non saranno pubblicate. perché i grandi capitalisti controllano praticamente tutta l’editoria. Questa è la Mafia, oggi, non più quella dell’immaginario mediano. Del resto la Mafia, almeno in Sicilia, non spara più. E’ forse il prezzo che ha dovuto pagare per essere accettata con tutti gli onori ai tavoli del selvaggio capitalismo italiano?
Continuo a credere che questo è un paese da cui scappare, se si può, il più presto possibile
PS: i Dell’Utri stanno antipatici anche a me, non sa quanto, ma non si possono incarcerare gli antipatici. 30 anni fa li incrociai perché divennero in pochi mesi dominanti nel settore di lavoro nel quale io ero parecchio bravo. Mi offrirono uno stipendio da favola e un ruolo dirigenziale. Mi fecero così paura, antropologicamente parlando, che non solo non accettai, ma smisi di lavorare. Di questo, però, devo loro essere grato, perché mi misi a leggere a tempo pieno: ‘fanculo al lavoro!