TQ – fenomenologia di una generazione letteraria allo specchio: Simone Barillari
Per un nuovo pubblico
di
Simone Barillari
Si è fatto molto parlare, nelle riunioni e nel forum di TQ, di penetrare maggiormente nella società italiana, di aumentare il numero dei lettori, e sono state anche individuate aree e pratiche di intervento sociale degli scrittori. Mi chiedo però se non debba essere presa in considerazione anche una possibilità di intervento che non sia solo orizzontale, per ampliare il pubblico, ma verticale, per innalzarlo – una linea migliorista (una “linea elitista”?), minoritaria e complementare rispetto alla giusta, indispensabile “linea azionista” di TQ, ma forse non meno importante, e non meno impervia.
Portare la cultura tra chi non ne ha come un bene primario quanto il pane e l’acqua, portarla nelle carceri, portarla nei presidi dell’immigrazione, come è stato detto, e fino alle frontiere ultime dell’umanità, è un impegno nobile e decisivo in questo tempo, eppure impegno non meno nobile e non meno decisivo, così mi sembra, è di portare la cultura più rara e scelta tra chi ha disimparato a servirsene anche se vorrebbe tornare a farlo, e in questo modo tracciare con forza una linea di separazione tra ciò che è letteratura e ciò che non lo è, disegnando una frontiera diversa e mancante che sia poi continuamente rimarcata.
La letteratura è già adesso, e sarà condannata a essere sempre più, al margine dei processi di trasmissione della conoscenza e di formazione della coscienza degli uomini – nell’età dell’immagine la letteratura è destinata a essere didascalia. Apparteniamo pienamente, irreversibilmente, a quella che Neil Postman ha definito già trent’anni fa la terza età della conoscenza umana dopo quella orale e quella scritta, spiegando che l’acquisizione di gran parte della conoscenza attraverso l’immagine e lo schermo invece che attraverso la parola e la pagina comporta un cambiamento copernicano della conoscenza stessa e del suo assetto, delle sue funzioni e delle sue finalità, e di chi, e di come, la produce e la fruisce. La profezia di Steve Jobs è che i libri così come li conosciamo ora, e non solo la loro veste cartacea, si estingueranno entro poche decine d’anni, e l’immane ambizione di grandi menti contemporanee come la sua sembra essere quella di codificare, di traslare in forma di visione e di percezione tutto ciò che è stato elaborato sotto forma di parola scritta – e il vero tradurre è sempre stato un violento appropriarsi, un dichiararsi degni di dire come se si dicesse per primi, di ridire qualcosa per far dimenticare che era già stato detto. Quella che dev’essere difesa e propugnata in questo tempo è dunque una letteratura intraducibile, quella che contiene, si potrebbe dire con Robert Frost, la maggior quantità di ciò che va perso nel tradurre, quella che dimostra di avere il maggior gradiente di specificità letteraria, e che, per questo, non potrà che essere assimilata sempre e solo attraverso la lettura – in questo senso, l’unica letteratura da difendere è anche, storicamente, l’unica letteratura che può ancora essere difesa.
In un tempo in cui i libri somigliano sempre più, per la qualità e la durata della scrittura di cui sono fatti, a grossi giornali rilegati, e i giornali, a loro volta, a lenti blog di carta, in un tempo in cui i libri si insediano goffamente nel vuoto lasciato dai giornali e non fanno che pubblicare reportage e inchieste in serie (a questo è ridotta la saggistica di oggi), in questo improvviso collasso dei piani della scrittura uno sull’altro fino a renderli indistinguibili come macerie, bisogna tornare a rivendicare l’altezza della letteratura, l’incomunicabilità mediatica della cultura più alta. Scriveva Baudrillard che ogni comunicazione rende l’oggetto del comunicare sempre più semplificato, incolore e infine trasparente, che una terribile trasparenza è la prerogativa richiesta a tutto ciò che vuole comunicarsi perché lo si possa comunicare e che la comunicazione è dunque il processo degenerativo di ciò che è comunicato, così che dovremmo forse rinunciare a comunicare certe cose e ritornare a trasmetterle quasi da persona a persona, a tramandare – che è un comunicare preservando, un consegnare in mano – ciò che ci è più caro per salvaguardarlo quanto più possibile, preoccupandoci perciò non di informare il lettore ma di formarlo, non solo di essere letti più largamente ma soprattutto di essere letti più profondamente. Penso che dovremmo domandarci, per esempio, com’è stato possibile che un’opera di inossidabile perfezione, uno degli autentici romanzi italiani del Novecento com’è definitivamente Gli esordi di Antonio Moresco, non abbia trovato non solo quei riconoscimenti ufficiali che ha meritato come forse nessun’altra opera del suo tempo ma anche soltanto un numero di lettori sufficiente per restare stabilmente in catalogo – mi risuona in testa, mentre scrivo queste righe, una veritiera e violenta riflessione di Ortega y Gasset: «Chi si adira nel vedere trattati diversamente gli uguali, e non si commuove nel vedere trattati ugualmente i disuguali, non è democratico, è plebeo». Quattro o cinque anni fa, durante una riunione degli stati generali dell’editoria, Gian Arturo Ferrari fornì un dato che deve far riflettere: è tra i cosiddetti lettori forti e fortissimi, in quella contesa nicchia superiore del 5% della popolazione italiana, che ha costruito il suo successo Il Codice da Vinci. Mi sembra allora che, accanto al compito costitutivo di ampliare il pubblico dei lettori portando i libri tra chi non legge o legge pochissimo, uno dei compiti essenziali e urgenti di TQ debba essere proprio quello di fondare un nuovo pubblico, di educare intorno a noi, nel tempo, una comunità di lettori forti e fedeli, quasi scegliendoli a uno a uno, una comunità necessariamente ristretta eppure auspicabilmente importante e crescente – dunque non solo, attraverso gesti umanitari, insegnare a leggere, ma non meno, attraverso gesti umanistici, reinsegnare a leggere e insegnare a rileggere.
Mi riferisco, in termini pratici, a istituire seminari e cicli di lettura in cui sceverare con dedizione certosina una pagina di un classico o di un grande contemporaneo, in cui spiegare cosa rende a noi sacra una certa poesia, in cui far riscoprire il piacere estetico della lettura e istruire all’habitus mentale quasi religioso che richiede, a organizzare incontri di filosofia in cui condividere e unire i nostri maestri fondamentali, a comporre un canone aperto di opere italiane recenti da sostenere e far vivere, a promuovere già prima della sua uscita un libro italiano meritevole attribuendogli una patente di qualità, a esercitare pressioni su grandi gruppi editoriali affinché ritraducano classici con una traduzione invecchiata o ripropongano grandi libri abbandonati, proprio potendo noi far affidamento anche sulla comunità di lettori che partecipano alle iniziative di TQ – a riportare, infine, la qualità della scrittura e del pensiero, a scapito dell’attualità e della popolarità del tema, al centro del dibattito mediatico. A fare, cioè, di TQ il centro pulsante della giovane eccellenza artistica e intellettuale italiana, e della qualità delle opere che sostiene un’istanza non solo estetica, ma etica e politica.
Nota di effeffe
Come ho già scritto qualche tempo fa ho pensato che fosse cosa buona e giusta condividere con i lettori di Nazione Indiana alcune delle tappe che gli autori coinvolti nel TQ stanno via via definendo, per un giro dell’Immaginario politico e letterario dei nostri giorni. Non ci sono di certo le maglie rosa di quell’altro, giro, ma di certo non mancherà chi troverà il tempo e la fantasia di spargere chiodi per strada. Pazienza, mi viene da dire a loro mentre agli autori dei testi dico grazie per aver accettato il mio invito. Qui e qui gli altri interventi.
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telegrafico come al solito e me ne scuso.
“attraverso l’immagine e lo schermo invece che attraverso la parola e la pagina”
da una parte, mi sembra che si dia per scontata un’inconciliabilità insanabile tra parola e schermo che la rete, invece, contraddice quotidianamente (a meno che non si identifichi ogni schermo con quello televisivo). dall’altra, mi sembra che si continui a riportare lettura e letteratura nell’ambito (delle logiche) dell’industria editoriale, sapendo per altro che l’industria stessa ha altre priorità e mentre quello che sta succedendo mi sembra proprio di segno opposto (ovvero di una fuoriuscita, almeno parziale, dall’industria editoriale).
“far riscoprire il piacere estetico della lettura e istruire all’habitus mentale quasi religioso che richiede”
francamente questo mi sembra uno degli atteggiamenti peggiori per affrontare la questione della scarsa o della poco qualificata attitudine alla lettura. anche perché, sarà un’idiosincrasia mia, ma tra piacere e habitus religioso non vedo proprio nessuna relazione ;-)
Gherardo, Simone mi ha assicurato che interverrà nel thread e quindi sicuramente ti risponderà. Per quanto riguarda il primo punto la contrapposizione schermo -pagina credo vada intesa più come dicotomia immagine-parola, che non home page vs homeless page.
effeffe
ok, ok. intanto torno a scusarmi. il telegrafismo rende magari troppi crudi i toni di chi, come me, magari cerca solo una sintesi veloce :-)
Gherardo,
sì, la contrapposizione è, come già anticipava Francesco, quella tra parola e immagine, ma è anche, in forma meno marcata, quella tra pagina e schermo, laddove lo schermo tende a fare della parola un’immagine che scorre. Volendo essere provocatorio, mi viene poi da dire che quanto più è letteratura alta, tanto più le si addice la pagina, quanto più è informazione, quanto più il contenuto prevale sulla forma e non ne è invece conseguenza, tanto più le si addice lo schermo. Proust rimane tale anche sul Kindle, ovvio, ma mi sembra che lo schermo levighi, anche solo in infinitesima parte, le differenze di ciò che è scritto.
Quanto al secondo commento, leggere un giornale e leggere una poesia richiedono una posizione radicalmente diversa davanti alla parola scritta. L’abitudine a leggere quasi solo giornali e a porsi davanti alla parola scritta per trarne informazioni, per ricavarne cose, finisce per disabituare alla lettura della poesia o della grande letteratura, che sono esperienze che devono attenere alla sfera estetica (avrai notato che non si discute quasi più dell’abilità tecnica di chi scrive nemmeno quando chi scrive si pone come un virtuoso della parola). L’habitus religioso davanti al testo, ossia una dedizione assoluta, ininterrotta nel tempo e sigillata nello spazio (quella che si chiama anche individed attention), è l’unica che permette di raggiungere un’esperienza estetica della parola, quella che Nabokov situava a metà strada tra il cuore e il cervello, in un brivido nel midollo spinale. Parlo da laico, se ci fosse bisogno di dirlo.
è possibile licenziare Antonio Scurati? Perché continua a rompere le scatole con il suo umanismo? Possiamo mandare in cassa integrazione questo orribile umanista?
In generale: questo TQ fa schifo, come questo video: orribile. TQ si oppone a quella orrendevolezza pifferaia di New Italian Epic?
Perché questi scribacchini, perché tali sono, non si limitano a scribacchiare invece di fare gli scrittori?
ottimo Salvatore, delle patrie lettere
le suivant?
effeffe
Io invoco la morte dell’autore! Uccidiamo l’autore! Cessi! Se non sono capaci di scrivere, parlino pure, purché cessino di scrivere. O se credono di saper scrivere, tacciano.
Questo TQ è fesso. Vogliono l’assistenzialismo di Stato? Ne parlino con chi di dovere. Vogliono soldi? Vadano all’assessore alla cultura. Vogliono andare in televisione? Vadano alla direzione di Raitre. Si iscrivano alla corrente di Veltroni, loro potenziale padre protettore. Perché cessino immediatamente di arrovelare con queste coglionerie. O lo facciano a mo’ di commento, perché il monologo, l’articolo, è insopportabile. Si postino, una buona volta.
Si postino una buona volta o si pestino una buona volta?
qualcuno che entri nel merito di quanto scritto da Simone?
effeffe
Postino, postino. Nella rete. Pestino, anche, ma già si pestano abbastanza da soli. Si cestinino, già che ci sono.
Come diceva quel tale a un convegno sui nuovi media: “Ma di cosa stiamo parlando?”.
Entriamo nel merito di ciò che dice Simone. Parola VS Immagine? Si rilegga Baudelaire, per favore. In quanto a Poesia VS Informazione, io purtroppo non ho in casa una “sfera estetica” dove indugiare nella lettura delle poesie. Nabokov ha detto cose più intelligenti di “cuore”, “cervello”, “midollo spinale”. Perché non “neuroni”, che vanno così di moda oggi? Tanto la capacità critica mi pare sia non dissimile. Si rilegga Nabokov!
Per un “Gli esordi” di Moresco che non trova spazio in catalogo, c’è un “I canti del Caos” in edizione economica Mondadori – nel quale alla scrittura vengono fatte fare cose mai fatte prima – forse altrettanto dedicato a quel cinque percento di lettori appetibili che si rifanno la bocca tra un capolavoro e l’altro che gliela lascia asciutta con un divertissement che non può far male.
Secondo me si deve evitare da subito una linea eccessivamente purista. Rispetto in pieno, e ammiro e condivido, un invitarsi e invitare a una usufrizione più lenta e attenta sulla letteratura, ma questo non deve implicare un percorso diverso rispetto a quello che dovrebbe condurre al far stringere nuovi rapporti tra letteratura e collettività: non esiste una letteratura passabile per gli inesperti e una letteratura di secondo livello per i più smaliziati: la letteratura è o non è, e se lo è, lo è per tutti, ed è a tutti che si deve proporre, senza stratificazioni qualitative distribuite in base a un discutibile concetto di alfabetizzazione di partenza.
La preparazione che deve precedere, semmai, è squisitamente scolastica ( impara a leggere e a scrivere e a capire e a interpretare e a criticare), ma da questo punto in poi: il meglio subito e a tutti.
Infine, non negando la quantità avvilente e titanica di spazzature scintillanti che saturano il mercato editoriale, si può forse non riconoscere che, partendo da un Moresco italiano passando per un Pamuk turco o un Oz israeliano e avanti così, c’è al giorno oggi una quantità di scrittori di altissimo livello e di immediata accessibilità della più svariata provenienza come non ce ne erano mai stati, nelle epoca precedenti?
Qui si tratta di essere preparati, e più bravi, perché tutto si è fatto più grande e veloce e concorrenziale.
Quindi, per come la vedo io, non c’è tanto il bisogno di trovare un modo per andare a scovare una qualità che non c’è più: ma di riuscire a gestire una qualità che raggiugendo la quantità ha fatto saltare tutte le precedenti forme di contenimento, di: amministrazione del sapere.
Più che l’autore, o il lettore, a me sembra che in crisi sia l’intermediario tra i due che non riesce più a fare da filtro.
Insomma, la situazione mi sembra esaltante e magmatica!, altro che languente e cianotica – come una parte poco egemonica della intellettualità italiana la vuole ritrarre.
Un saluto,
Antonio Coda
grazie Antonio, mi sembra il modo giusto di ricominciare questa discussione. effeffe
Sono a volte stupito, leggendo i commenti ai post di Nazione Indiana, dell’inutile acredine che trasudano. Ho cercato di instaurare una discussione a partire da un testo formulato con attenzione, condivisibile o meno che sia, e mi trovo a ribattere a commenti come quelli di Salvatore che rilevano nella categoria della battuta livida e corriva. Insultare e inveire, dimostrando peraltro di saperne poco, contro un gruppo che può avere molti limiti costitutivi ma che è composto anche da persone che hanno dimostrato di essere molto capaci, è un gesto inutile che si commenta da solo. Così come si commenta da sola la scelta di rimandare a Baudelaire, che è morto nel 1867 e per cui la parola “immagine” ha necessariamente un significato diverso da quello di cui si è caricata all’inizio del XXI secolo, per contestare una riflessione su cosa vuol dire trasportare la parola sullo schermo o acquisire la conoscenza attraverso le immagini invece che attraverso le pagine. Quanto a Nabokov, lo rileggo abbastanza spesso da poter dire che sì, certo, ha scritto cose anche molto più belle di quella frase, peraltro elegante ed efficace. Ma se è per questo sono quasi certo che anche tu, Salvatore, devi aver scritto post migliori di questi.
Antonio,
grazie del tuo intervento. Non mi trova d’accordo in vari punti, ma mi fa piacere discuterne.
Cerco di enucleare subito il passaggio che mi lascia più perplesso. Diversamente da te, io credo invece che esista una letteratura naturalmente accessibile ai più (certe cose di Calvino e di Pavese, per esempio) e una letteratura che non lo è, accessibile ai più (Landolfi o Manganelli, per dire). Quanto più il linguaggio è virtuosistico, tanto meno il lettore comune è in grado di goderne. Purtroppo, la quota di lettori che oggi leggono per sentirsi solo raccontare una storia è molto superiore, proporzionalmente, a quella di un tempo, e si stanno perdendo invece i lettori di categoria superiore che leggono anche, se non soprattutto, per il piacere estetico della lettura. Per la soffocante produzione di libri inutili, per la concorrenza di altri mezzi meno faticosi di intrattenimento, per la compressione delle vite nel nostro tempo, l’esercizio della lettura è estremamente in crisi, e mai ho visto così tanti lettori anche intelligenti abituarsi a libri deleteri. Dunque è su come ricostruire un pubblico d’élite che si deve, secondo me, intervenire, fino a che è ancora possibile.
Sono d’accordo con te sulla funzione di filtro a cui le case editrici e gli operatori culturali ai più diversi livelli stanno abdicando giorno dopo giorno, ma proprio in questa direzione andava la mia proposta, nella direzione di fare di TQ un autorevole luogo di giudizio e di filtro.
Non so quando potrò rispondere ancora a eventuali altri commenti, non subito; in ogni caso, lo farò. Volevo infine ringraziare Francesco Forlani per la sua attività di moderazione.
[…] e sui “traumatizzati senza trauma” daccapo ancora ripetute da Scurati (cfr., in questo post, l’inizio del video […]
Simone, niente di più semplice che io sia di quei lettori a cui è sconosciuto il “secondo livello” della letteratura, e questa non è di quelle dichiarazioni umili con una aggressività rancorosa dietro la schiena, credimi: accetto proprio l’eventualità.
Naturalmente quello che voglio evitare è l”intasarsi nel più trito e arenante dei quesiti, del tipo “cosa è la Letteratura”, e simili dubbi amletici per i pre-pensionati dell’esistenza.
Ti dico soltanto che io non reputo il Calvino delle Città Invisibili e Pavese, per il fatto di offrono ANCHE, e non solo, un piacere estetico alla lettura, di statura inferiore a un Landolfi e a un Manganelli, godibili grazie a un “a-patto-che-si-sappia-che”. Per dire: il virtuosismo, di per sé, a volte sospetto stia a significare ancora un piacere estetico, questa volta dal lato della scrittura, però, prima che da quello della lettura a cui andrà incontro.
Perciò la mia domanda poi diventa un’altra: un pubblico d’élite, oltre a segnare un’altra frammentazione nel mondo già di per sé nient’affatto omogeneo dei lettori, quale avanzamento comporterebbe?
A me, dico, piacerebbe casomai fossero forniti mezzi per poter imparare, da sé, a distinguere un’opera d’evasione – e ben venga che ce ne siano anche di queste, se di buon livello – da un’opera da intrusione , d’ingaggio, ma pur sempre rivolta al maggior numero di persone.
Perché poi, credo, per coloro che della lettura vogliono, o possono, farne un esercizio e un impegno con finalità più serie e robuste, offerte di studio qualificato – con costo relativo, di tempo e non solo – esistono già.
Chiudo ribadendo, romanticamente?, la mia convinzione: quando un libro è degno di definirsi letteratura, ha inevitabilmente un effetto “formativo” su chi lo legge, un portato civile, quale che sia il suo grado di complessità – perché, nella mia esperienza da lettore posso esperire che una chiarezza che non perde nulla nella sua resa tanto estetica quanto civica – che non è una sempliciotteria, insomma – costa a chi la raggiunge sforzi e fatiche che chi si accontenta di un pubblico elitario scansa alla grande.
Un saluto,
Antono Coda
Non ho scritto un commento ancora su generazione TQ, perché ero preoccupata dall’ambiente inumano dei nostri paesi di fronte all’immigrazione. A volte l’attualità lascia dietro, molto dietro preoccupazione letteraria.
Gli autori di TQ sono già tradotti in Francia, hanno visibilità.
Il progetto è interessante, ma mi diffido di categoria ostentata.
La libertà e l’indipendenza dello scrittore mi sembra sorgente della sua creazione. La letteratura si crea di manera “naturale”.
Mi chiedo: che accade quando uno scrittore talentuoso giovane o no
non fa parte della generazione TQ? Mi sembra che la nostra società pensa in categoria : faccio parte di un gruppo o no.
Sono per l’assolutà indipendenza dello scrittore.
Veronique
in realtà TQ non è un gruppo. diciamo che per il momento è un luogo astratto in cui delle persone (degli autori) concrete accomunate da elementi anagrafici e culturali, stanno discutendo : 1) la necessità di un’entità di questo tipo per fare massa critica dello stato attuale delle cose 2) la grammatica (ma anche i linguaggi) che possa rendere possibile un tipo di comunicazione autentica e sensata sia tra gli stessi autori che tra gli autori e il mondo. 3) la possibilità o meno di disinnescare determinati processi di produzione culturale e politica completamente appiattiti alle esigenze di un certo tipo di mercato 4) la dotazione di strumenti utili a decodificare determinati impenetrabili paesaggi in vista di una riappropriazione di spazi comuni di cittadinanza 5) varie ed eventuali.
Si tratta di un’opera aperta, per il momento, porosa e nomade
effeffe
ma questo scopo “didattico-didascalico”??!! o forse è la sensazione che più che un ruolo da da “intellettuali” ora occorra un ruolo da amanuensi, certosinamente impegnati preservare il salvabile..
certo, scriveva Gunther Anders: in questi tempi di riarmo nucleare e politiche estere impazzite bisogna essere “conservatori”, nel senso di adoperarsi in ogni modo per preservare la vita su questa terra.
effeffe
http://thisisnthappiness.com/post/5381124892/40-literary-terms-you-should-know
C’è qualcosa di comico, quando non di grottesco, nella natura di alcuni commenti sulla questione che, partendo dall’incontro dei TQ – accusabili più che altro di uno scarsissimo senso di appeal –, si sta innervando sul tema: si può intervenire sul qui&ora attraverso il campo critico-letterario?
Pare che la preoccupazione principe sia l’esigenza di esprimere i propri distinguo e di dichiarare i propri attestati da enfant-prodige tutti fondati sull’autonomia quando non sull’anarchia, perché l’anarchia è cool, è sauvage, sexy, ma in pratica non si fa altro che cantare lo stereotipo dell’artista aristocratico dal vivere talmente inimitabile che non comporta il disturbo di star lì a prenderne esempio o lezione o riflessione: va bene l’ammirazione, lo stupore, e morta così.
Cose c’è da stupirsi se oggi, in Italia – pare a me oppure o ho del salame ideologico sugli occhi? – manca una rappresentanza significativa per dei cittadini che nell’Italia-così-come-è non ci si riconoscono né mai ci si vorranno riconoscere, se poi, se appena uno fa il gesto di organizzare un gruppo, di mettere assieme gente, parte il coro del discredito: “lo fate per fama! per invidia! per superbia! – leggi: per soldi!”.
A me non pare che qui si sia alle prese con la formazione della prossima lobby editoriale del Paese, ma con un tentativo, da parte di persone del mestiere, di dare vita a un organo che ha delle idee e delle proposte, al quale si può aderire e dare supporto, se si condividono, come no, se non le si condivide affatto.
Facendola il più breve possibile, secondo me sarebbe già tanto se si riuscisse a creare un gruppo di persone credibili capaci di farci sapere, nel campo della letteratura tanto per cominciare, chi è che non stiamo leggendo e che dovremmo leggere e chi è che stiamo leggendo ma non come dovremmo, e: perché.
Ma non un “dovere” nel senso di Tavole della Legge: ma di tavole della lettura!, buone per non perdersi le strade interessanti e magari troppo nascoste che si possono percorrere fin da oggi. Perché non c’è nulla di male se qui si vuole coltivare un interesse: basta sia comune!
Seppoi il risultato non sarà altro che la nascita della ennesima consorteria che si spalleggia per riuscire a vendere cento copie in più a testa, non ci vorrà molto per capirlo e per mollarlo e metterci una croce sopra.
Però prima aspettiamolo, il risultato. Vuoi vedere mai che ne esca qualcosa di positivo, piacevole e costruttivo?
Un saluto,
Antonio Coda.
ma quale artista aristocratico, cool, trendy e sexy… che siamo tutti brutti e morti di fame? (se di sinistra persino puzzolenti). ma va va… saluti.
Ma più belli di così – perché brutti, trash e morti di fame, quando non puzzolenti perché di sinistra – non si può essere!
Quindi, proprio per evitare idiosincrasie in fondo salutari, io direi di saltare la definzione. moscia davvero, di “generazione TQ”, e rilancerei con: la Comitiva degli Allegri Esauriti.
Il look, anche quando è anti, è importante!
il blog è morto
Rivendico lo stato di scrittore aristocratico,
solitario,
fuori di tutta categoria anagrafica,
anche in luogo nomade, astratto,
preferisco il luogo immaginario
di uno scrittore singolare.
Véronique, credo che nessuno, ma nessuno nessuno, possa eccepire sulla tua rivendicazione, anzi: più lo scrittore sceglie aristocraticamente il luogo immaginario eccetera eccetera, più la sua rivendicazione non solo gli viene riconosciuta: la supportano, la applaudono, la acclamano, per poi farsi una scrollata di spalle e gli affari propri, come prima più di prima.
Starò capendo io male, ma qui non mi sembra si stia proponendo la Gilda degli Scrittori Tali e Quali, intruppati, ideologici, incatenati, ma una specie di consulta, di comitato, insomma: qualcosa che superi la condizione pulviscolare che ha ridotto non solo loro, ma la letteratua e la cultura in genere, a un pugno chiuso sì ma di mosche.
Dopodiché, oltre i contributi che ognuno potrà portare a questa organizzazione, chiunque continuerà il suo percorso, la sua automonia artistica, la sua eccentricità, che non solo sarà indispensabile per lui che scrive, ma anche per chi legge.
Uno spazio coordinato per la riflessione.
Certo, se piace appena appena a me, e non a chi dovrebbe farne parte, mi sembra non abbia un grande avvenire, questa proposta…
Un saluto!,
Antonio Coda
La maggiore parte degli scrittori che hanno attraversato i tempi avevano una voce singolare, molti hanno conosciuto l’esilio (l’esilio dalla società, l’esilio della lingua, l’esilio della terra). Hanno fatto l’esperienza della separazione per entrare in territorio d’ombra, “la linea d’ombra”, la linea maledetta. Mi sembra che uscire dalla linea d’ombra sia un viaggio destinato all’effemera visibilità.
Non si inventa mai una lingua colletiva, ma una lingua di traversata solitaria, non un’identità di generazione, ma un’identità complessa, fatta di vetri colorati, di frammenti. Credo che “la generazione 80, 90” appunto si è smarrita nello spirito della scrittura come prodotto moderno, di slogan, di colorante.
Quando leggo,spero toccare la linea d’ombra.
Antonio Coda,
Grazie per la risposta chiara, bellissima.
Rivendico lo stato di lettrice aristocrata,
senza comitato,
Rivendico lo stato di lettrice nomade,
esiliata, libera senza identità “generazionale”,
Rivendico lo stato di lettrice profuga.
Véronique, premetto e prometto: il mio non vuole essere un batti&ribatti con te, e nemmeno una volontà di sopraffazione del tipo: ehi, ma come fai a NON PENSARLA COME ME?!
Rispondendo a te spero di continuare il dibattito sul tema aperto a tutti, senza personalismi.
Cerco di rendere ancora più minuta la obiezioncella che sto facendo: io non metto in discussione lo statuto dello Scrittore: libero, slegato, che scrive oggi per essere letto per tutto il resto del tempo e che altrettanto imperituramente avrebbe potuto essere letto anche durante il tempo giù passato.
Ovvero: qui non si fa un discorso da BIG sulla via dell’affermazione. Ma di artigianato, di soma, di: lavoro quotidiano. Roba di cabotaggio inferiore, di pronto intervento. Insomma: questioni con per rovello qualcosa di meno dell’eternità, tipo: l’attualità, la critica, l’azione.
( Beh, spero di non aver reso tutto troppo prosaico, bottegaio e malinconico il tutto, adesso!).
E non si tratta di un Questo meglio che Quello, o viceversa: si tratta di cose diverse.
Anche a un lettore nomade o a uno scrittore profugo, faccio per dire, ogni tanto può venir voglia di aiutare in un insediamento, prima di riprendere per i vagabondaggi.
Un saluto senza rivendicazione!,
Antonio Coda
Grazie per la risposta, Antonio,
sono in un giorno di rivendicazione:-)
In generale, da quanto ho letto nei giorni scorsi su quotidiani e blog, mi pare che il cosiddetto gruppo/movimento/spazio astratto TQ sia nato con uno scopo ben preciso: riunirsi sotto l’egida generazionale per vedere come “contare di più” (detto in estrema sintesi ma chiaramente dagli ispiratori dell’iniziativa).
Bene, ciò mi pare un punto di partenza al ribasso: insomma, non contano più le cose che si scrivono (e il come), ora ci siamo abbassati al livello minimo, la lobbystica culturale ed editoriale.
Per una nuova generazione di scrittori, mi sembra un presupposto povero e insufficiente.
Nel merito dell’intervento di Barillari:
1) l’elitismo verticale mi fa letteralmente orrore;
2) le argomentazioni di Barillari suonano piuttosto semplicistiche, vagamente antiquate. Non sono assolutamente d’accordo con il tono adottato dai commenti di Salvatore. E tuttavia, non posso che rilevare l’esilità dell’intervento…
Re-intervengo con piacere. Simone: perché solo una pagina di classico e non cinque o sei tomi? Perché non la Bibbia? Lo ha già fatto Ratzinger: lo invitiamo a una lettura di gruppo? Chi sceglie il canone letterario? Poi, sull’habitus religioso: è esattamente il contrario di ciò che servirebbe: capacità di analisi e di critica.
Sui cinque punti di “effeeffe”: il primo (“massa critica”? perché non solo “critica”? perché la “massa”?) è irraggiungibile perché ci si ostina a non rispondere alla domanda fondamenrtale: “Scusate, ma di cosa stiamo parlando?”. Rispondendo a questa domanda, tutto crolla. Per cui: parlate, parlate. Il punto (2) cosa vuol dire? Costruire una lingua perfetta? I tentativi nei secoli sono falliti. Revival dell’esperanto? Il punto (3) invocherebbe un sabotaggio: smetterete di scrivere? Sul punto (4): come si fa a decodificare l’impenetrabile? cos’è questo, Stuart Hall che sormonta Severino? E poi a che vi servono gli spazi se dovete solo incontrarvi? Andate in agriturismo, come ha suggerito Lagioia: l’aria di campagna fa sempre bene. (5) …
Ora vi dico perché non risponderete mai alla fatidica domanda: perché qui si fa dell’ontologia. “è” “essere” intellettuali, scrittori, letteratura, realtà. Ecco il problema. Continuate pure con l’ontologia, tanto non ne uscirete mai. Non ne (ri)uscirete mai. Tenetevi soprattutto l’umanista Antonio Scurati (Neo-Scurati che ha scoperto il “Matrix” che gli ha scippato la realtà sorseggiando una birra sul divano e guardando in tv la guerra del Golfo).
Bene, dopo questo intervento taccio. Tanto è inoppugnabile l’argomento di chi non ha nulla da dire. Ma di cosa stiamo parlando?
[…] Manzon pone le basi teoriche ponendosi domande sull’essere intellettuale. Simone Barillari, qui su Nazione Indiana, invoca un innalzamento del pubblico alla “letteratura alta”, alla lettura […]
Salvatore, una domanda soltanto. sei tu che hai scritto l’articolo da new itialian epic a generazione TQ?
effeffe
Salvatore ognuna delle persone coinvolte in questa fase-numero zero del progetto ha un percorso facilmente ricostruibile. per quanto mi riguarda lo puoi ritrovare qui nel chi siamo. Non ti ritengo uno stupido e il fatto che tu venga qui su NI a commentare e dire, in questa seconda fase in maniera più articolata e meno gratuitamente offensiva, vuol dire che una parte di te vuole interloquire e infatti credo che con estrema gentilezza – in questi tempi di celodurismo si confonde troppo spesso la gentilezza con la mosciaggine della weltanshaung ma è un problema di chi soffre di priapismo della veduta e non di chi si rapporta in modo civile agli altri. Detto questo capita a tutti, anche a me è successo in passato, e allora diciamo che hai sbroccato. A due livelli. Al primo più teorico nell’avvicinare (non mi hai risposto ma visto che ci sono interi passaggi nell’uno -il commento- e nell’altro. il blog, credo si tratti di te) il New Italian Epic al TQ. C’è una differenza sostanziale. Nel primo i wu.ming tentavano di cartografare il paesaggio letterario in base a una serie di paradigmi, letterari e politici, tali da permettere che molteplici poetiche potessero convivere nella Carte, una Carte essenzialmente rivolta a delle opere. Nei TQ di cui non esiste un manifesto per il moneto né tanto meno una Carte delle intenzioni e dei progetti si sono individuate delle aree, politico culturali, in qualche modo già tracciate da esperienze comuni condivise e introducendo delle parole chiave, come Generazione, Immaginari condivis, New Media, sono state coinvolte persone sicuramente molto diverse fra loro ma in buona parte ben contente di ritrovarsi. nel primo caso si trattava di opere prese in esame, con un principio di analisi a posteriori (quei libi erano stati già scritti) e in questo caso sono state individuate delle soggettività dal cui incontro far generare dei progetti. Ecco, tu dici che queste persone non hanno talento letterario, strumenti critici per tentare delle analisi e proporre dei ribaltamenti ( Cultura vs Mercato) auspicabili né vite interessanti o un coefficiente di sofferenza tale da giustificare un moto di rivolta. Ecco io penso il contrario. Tu dici che il video che ho realizzato è orribile, io penso che sia la cosa migliore che potessi ottenere da una digitale portatile e da un abbaino. Io non ce l’ho con te e ho molti dubbi, tu hai l’aria di avercela con tutti, ma poi con chi? (Raimo? lagioia? Vasta? Forlani? La Ciabatti? e di avere una certezza assoluta. Ebbene io una cosa la penso, sai, tutte le tue certezze non valgono un mio solo dubbio (e forse nemmeno uno tuo se fai uno sforzo)
effeffe
(1) Non ho messo sullo stesso piano NIE e TQ nei contenuti: sono due fenomeni del panorama letterario italiano. Punto. Non ho scritto che sono teoricamente accostabili. Ho scritto che Wu Ming fanno i teorici della letteratura e che voi chiacchierate. In questo senso si tratta di due fenomeni.
(2) Non ho scritto che TQ ha un manifesto, ma un quasi manifesto (vogliamo chiamarlo appello: oggi è di moda nei siti dei quotidiani stilare appelli da firmare).
(3) Mi compiaccio che i TQ “sono ben contenti di ritrovarsi”, ma non lo potevano fare in privato o in un agriturismo? E se lo vogliono fare in pubblico, “per cosa” incontrarsi? Perché non incontrarci? Perché domandarsi se esiste un pubblico della letteratura? A chi parlano quando presentano i libri o ai festival letterari? Mi pare che il cortocircuito comunicativo sia tutto nella funzione emotiva.
(3) Non ho scritto che questi scrittori non hanno talento letterario. Ho scritto che non c’è nulla di analitico e di critico (cosa avete studiato? Perché bisogna studiare per fare analisi e critica, sia se si è scrittori sia se si è critici. O volete fare delle opere di bene, come è scritto in questo articolo? Oppure si fa come Wu Ming: gesti facili, nessuno sforzo critico).
(4) Non ho parlato di ribaltamenti, non ho mai usato la parola Mercato né la parola Cultura. Queste sono vostre categorie: io non so che farmene.
(5) Delle vostre vite e delle vostre sofferenze me ne cala ben poco: quelle le potete documentare ai festival letterari coi vostri Beniamini (qui il tono si fa molto polemico: ma se mi usate questi termini, evidentemente le parole vi scivolano. Qui non si tratta di “celodurismo” per numerose ragioni che qui non sto a elencare; non c’è bisogno di tirare sempre fuori il “celodurismo”: è una categoria italica, per caso?). Qui sento odore di pensiero debole.
(6) Il video che hai realizzato è orribile specialmente nel montaggio. E per certe immagini: le scarpe? Perché “Fischia il vento”? Questo è “nuovo”? Quelli del FDS, ex-PRC e ex-PDCI e ex-PCI, cantano “Fischia il vento”, “L’internazionale”, “Bella ciao” da decenni alle manifestazioni. Non avete qualche altro jingle? Non so: Monteverdi rivisitato al cellulare.
(7) Io non ce l’ho con nessuno.
(8) Tra le mie molte certezze, non annovero quelle generazionali o “intellettuali”. Se voi volete continuare a parlare di “intellettuali”, fatelo pure. Ma di certo avete mancato molte letture. E molte categorie. Fate emergere un po’ di categoriale, sennò si soffoca. Per quanto durerà questa canzone? Va avanti da molto tempo, ormai. “Ma di che cosa stiamo parlando?”. Io non lo capisco.
Salvatore voi mi date del voi
e me ne compiaccio, ora che avete detto la vostra vi prego di mantenere la promessa che avete fatto di tacere, tacere ovvero non dire più nulla. Le vostre analisi non valgono nulla, ve lo assicuro, la vostra acrimonia men che meno. Tornate a studiare però, perché sono sicuro che vi porterà cose buone e giuste. effeffe
in fondo stiamo lavorando un po’ anche per voi
effeffe
e che stress!!
effeffe
Do del voi per mantenere le distanze e pretendo mi si dia dell’Essi. Vi stressate non facendo nulla? Comunque non è stata data alcuna risposta alle mie otto-undici domande. Non le voglio le vostre risposte. Tenetele per voi, usatele per arrampicarvi sugli specchi, dato che vi piacciono così tanto.
L’aspetto che mi mette in imbarrazzo è il presente narcissimo di chi fa parte di TQ.
Non ho bisogna di TQ per leggere scrittori talentuosi come Giorgio Vasta.
Quando leggo che TQ non puo opponersi alla generazione precedente perché quella non ha offerto un esempio letterario ( forse non ho ben capito), sento una leggera irritazione. Quando abbiamo Primo Levi, Umberto Ecco, Erri de Lucca, possiamo dire che TQ crea nel vuoto della generazione prima.
Sarei curiosa di sapere chi non fa parte di TQ come scrittori di talento
e avere anche l’elenco di chi fa parte di TQ.
E’ possibile Effeffe?
In diversi punti, condivido l’opinione di Salvatore.
Ho dimenticato Elsa Morante nel mio elenco.
Nonostante i vari interventi che si sono seguiti in questi giorni, io continuo a non comprendere su quali basi nasca questo progetto. Sarebbe ad esempio interessante capire quali siano stati i parametri di reclutamento dei partecipanti…
Verò io quell’elenco non ce l’ho
per quanto riguarda la posizione di Lagioia non raccoglie affatto le posizioni di tutti. Per esempio la mia che ho espresso qui. https://www.nazioneindiana.com/2011/05/07/tq-fenomenologia-di-una-generazione-letteraria-allo-specchio-prima-parte/
e più particolarmente il passaggio
“Ecco. Poiché penso che quelli erano i miei fratelli maggiori ritengo che on solo non avessero (e abbiano) nessun potere reale (artistico o politico che sia) ma che soprattutto erano e sono di gran lunga migliori di noi.”
effeffe
Grazie Francesco per la risposta. Vediamo più tardi i resultati del lavoro di Generazione TQ. Forse sono io cho ho un problema con l’idea di gruppo, anche se Generazione TQ non è un gruppo; come me l’hai precisato. Ma penso davvero che la prossima generazione letteraria si opponerà con l’ idea di un romanzo più vasto, con un ritorno dell’immaginario e di una scrittura oceanica, allontanata di tutto fascino per lo specchio, l’effemero. Un ritorno al mito. Temo che Generazione sia già oltrepassata.
L’avvenire del romanzo o dell’arte sarà la poesia.
Nonostante la critica che ho potuto fare, questo movimento mi interessa.
E ringrazio Francesco per avere condiviso la reunione con noi.
1.C’è un punto d’unione fondamentale tra il tentativo messo in opera dal gruppo TQ e l’invenzione del NIE da parte di Wu Ming, ed è il tentativo di riportare in vita con ogni mezzo il cadavere dell’Autore, cadavere sepellito e decomposto già da tempo e sostituito dall’automazione dell’industria culturale.
2.Per chi non se ne fosse accorto: abbiamo avuto le avanguardie, specialmente il punto di non ritorno del Dadaismo; abbiamo avuto il Punk, e ora abbiamo (quasi)TUTTO, SUBITO E OVUNQUE, e si chiama Internet.
3a.Il discorso di Simone Barillari è totalmente fuori dal mondo: non è vero che non esista un pubblico per una cultura “alta” o d’èlite.
Questo pubblico non è mai stato così vasto.
Talmente vasto da aver giocoforza distrutto ogni statuto di èlite per quella cultura.
Non esistono èlite di massa.
3b.Sindrome da accerchiamento.
La gente non è stupida, ignorante e schiava dei mass media.
La gente è semplicemente sconosciuta.
La gente sono persone che non conosci.
Di che cosa parli?
L’idea della gente come stupida, ignorante e schiava dei mass media è essa stessa stupida, ignorante e schiava dei mass media.
4a.Il volersi rappresentare come parte di una ristretta cerchia di persone dotate di superiori capacità è un puerile nascondersi la realtà.
La realtà è che la mole di conoscenze attualmente disponibili è totalmente incommensurabile per un singolo essere umano.
Ogni minuto che passa la nostra ignoranza aumenta al ritmo esponenziale delle scoperte altrui, e con essa aumenta l’impotenza (si parla qui di individui pensosi e solitari che scrivono e leggono su blog letterari e credono DAVVERO che ne ferisca più una penna che la spada), generatrice di paura. Paura che si può combattere con un metodo pratico e indolore: la rimozione totale del problema.
4b.L’inflazione riguarda ancora di più la creazione artistica: le ultime due generazioni hanno prodotto valanghe di stronzi senz’arte nè parte che in mancanza d’altro han deciso di buttarsi sull’arte.
La quantità di creazioni artistiche o presunte tali segue la regola di cui sopra: è incommensurabile per il singolo essere umano.
Al di fuori dei circuiti di produzione e riproduzione dell’industria culturale esistono migliaia di lavori di qualità eccelsa che nessuno di noi conoscerà mai, o che conoscerà solo per qualche caso fortuito.
Quindi, con quale pretesa vorreste assumervi il titolo di guide in questo puttanaio? Non siete in grado. Non siete in grado perchè nessun essere umano può esserlo. Non siete in grado nemmeno di abbozzare un tentativo, perchè non avete la più pallida idea di dove siate messi (ergo, a chi volete indicare la direzione?)
5.Questo è quanto.
6a.L’Autore è morto, e non ne piango il cadavere.
Abbiamo l’automazione, la produzione in serie di Eventi Letterari a fine commerciale.
Abbiamo Wu Ming che uccide Luther Blissett per cercare di resuscitare l’Autore, ma in realtà genera soltanto un Trademark.
Abbiamo TQ che invoca lamentosamente un posto di lavoro a tempo indeterminato alla Sip, a raccogliere i gettoni dai telefoni pubblici con la mitica Panda Van aziendale.
Abbiamo una sola vita e milioni di persone che si sbracciano per dire che IO ha qualcosa da dire.
6b.
Le chiacchiere stanno a zero.
L’individuo non conta.
7.
Nato nell’anno distopico per eccellenza.
Ovvero fuori target.
8.Anonimato e identità fasulle.
9.La noia di una serata moscia terminata anzitempo in un paese sperduto e dimenticato da dio mi ha spinto a questo.
http://www.tornogiovedi.it/2011/05/da-tq-a-tycoon/
Gentile Simone, sarò brevissimo. I commenti, come si sa, più sono sintetici, più colgono il punto, e meglio ‘servono’ al loro scopo.
In relazione alla produzione letteraria italiana, e alla scarsa, anzi scarsissima percentuale di persone che leggono in questo Paese, sarebbe a mio parere necessario anche un cambio di direzione (o un allargamento) nelle vedute e negli obiettivi di chi i libri li pubblica, ne parla e, in generale, li immette nel mercato.
Uno dei nostri problemi, credo sia una sorta di dicotomia interna alla nostra stessa tradizione letteraria.
I nostri critici non apprezzano fiction che non abbiano un alto tasso d’intellettualismo e di letterarietà o che non siano fortemente supportate da una cerchia influente di amici, editori o da consorterie varie. I lettori comuni (quei pochi che abbiamo) si bevono qualsiasi cosa gli metti davanti che abbia un buon traino mediatico-giornalistico (uno degli scrittori giovani più venduti è Fabio Volo, ed ho detto tutto), i lettori forti-professionali hanno generalmente lo stesso gusto iperletterario dei critici.
Da più parti (una vera gara tra editor) si “cerca” il “Carver italiano” ignorando il semplice fatto che Carver, in Italia, PROBABILMENTE NON SAREBBE MAI STATO NEPPURE PUBBLICATO.
(E ignorando anche il fatto successivo: ovvero che in America è uscito trent’anni fa, ovvero che la produzione letteraria americana già si sta spingendo in altre direzioni…)
Come possiamo allargare il numero di lettori (o addirittura innalzarne la qualità) se molti dei romanzi che pubblichiamo hanno, nella loro natura, uno status di ricerca linguistico-intellettualistica che li distanzia già in partenza dal resto della popolazione?