The Passion of the Christ, pro Mel
di Jacopo Guerriero
Ho scritto questi appunti prima e dopo aver visto l’ultimo film di Mel Gibson. Magari possono contribuire al dibattito che si è aperto, ho l’impressione di una prevenzione ingiustificata.
«Vidi la Vergine lavare il capo e il volto insanguinato del Signore,
Tolse il sangue che gli riempiva gli occhi, le narici e le orecchie.
Allo stesso modo gli pulì la bocca semiaperta, la lingua, i denti e le labbra.
Poi divise i capelli: quando li ebbe sgrovigliati davanti li fece passare dietro le orecchie.
L’Addolorata lavò e ripulì, a una a una, le numerose e orribili piaghe. Allora solamente le fu possibile vedere nei minimi particolari gli spaventosi martìri subiti da suo Figlio..»
Se rifletto sulle visioni e sulla teologia mistica di Anna Katharina Emmerick mi vengono in mente espressioni come “incessante consumazione d’amore”. Siamo a Flamske, Münster, 1774. L’opera della monaca matura solo in modo imperfetto. Senza l’iniziativa di Clemens Brentano, poeta, che dalla venerazione della Emmerick si sentì spinto a scrivere e ad annotare le visioni, non sapremmo nulla né di lei né del suo percorso. Durante le feste liturgiche, nel santuario della preghiera e della contemplazione, apparivano alla monaca, costretta a letto da debolezza continua, diversi momenti della vita e, soprattutto, della Passione di Cristo. «Ciò che vedeva la rendeva profondamente partecipe: riempiendole misteriosamente l’anima, le visioni si trasformavano in lei in interiori esperienze della persona e delle azioni di Gesù». Così scrive oggi la consorella Giovanna della Croce.
Alle visioni della monaca tedesca pare si sia ispirato Mel Gibson per il suo film The Passion of the Christ.
Brentano aveva un sommo rispetto per Anna Emmerick. Quasi una venerazione, come ho detto.
Un rapporto simile ai nostri giorni è quello che ha legato il teologo svizzero Hans Urs von Balthasar e Adrienne von Speyr, anch’ella mistica. Nei giorni del triduo pasquale, Adrienne –un medico protestante poi convertitosi al cattolicesimo- scendeva all’inferno con il Cristo.
I due casi tuttavia vanno separati. Per Brentano le visioni non vanno intese come uno studio teologico o come un approfondimento dottrinale. Piuttosto vanno viste come un’espressione viva di uno spirito popolare, la facoltà dell’immaginazione, un immaginario tutto, anzi, fanno la loro parte: accade anche quando si guarda un quadro celebre, il Cenacolo di Leonardo o, più esplicitamente, un quadro d’autore che prende ad oggetto la Passione di Cristo. Balthasar, invece, figura coltissima, fra le più brillanti della sua epoca addirittura -l’uomo più dotto del secolo lo chiamavano- riconosce un vero e proprio potere superiore all’idea di mistica. Tutta la sua opera –più di ottanta volumi, quasi tutti oltre le cinquecento pagine- egli li considera come una formazione “per accogliere la ricchezza delle intelligenze teologiche di Adrienne, per dar loro un’espressione conveniente”.
In entrambi i casi, però, si intravede una dimensione planetaria del rapporto d’amore uomo-donna, una trasformazione dolorosa e violenta dell’eros in agape. C’è una figura che diventa guida e per la capacità di vedere ne trasporta un’altra fino alle ferite e alle umiliazioni. Poi il Cristo realizza l’impossibile e fa redentivo tutto il dolore del mondo. Il mistico lo sente. Ne partecipa da lontano.
Sul film di Gibson Claudio Bernardi ha scritto: “lo choc che colpisce gli spettatori è dovuto al crudo realismo e all’estrema violenza delle scene in cui Gesù viene flagellato, condotto al patibolo e crocifisso. Annegano in un lago di sangue le immagini oleografiche delle precedenti edizioni della Passione (…). I film, prima di Gibson, assomigliavano molto alle sacre rappresentazioni popolari in cui devozione e amore circondano la figura dell’attore che interpreta Cristo e la violenza delle torture inflitte è simbolica, ben lontana dalla realtà”.
Penso sia questo l’approccio giusto.
C’è una distinzione da compiere tra un teatro esteriore della Passione e un teatro interiore. Un teatro della crudeltà alla cui tradizione il regista australiano si richiama. “Solo inciampando nell’ostacolo della violenza gratuita, feroce, senza tregua, rivolta contro un uomo innocente si squarcia il velo della nostra crudeltà da una parte e si scopre, dall’altra, la nostra sottomissione all’ingiustizia, il nostro silenzio e la nostra fuga davanti al massacro degli innocenti”.
I percorsi mistici di Anna Katharina Emmerick e di Adrienne von Speyr sono diversi e plurali. Entrambi però convergono su un solo obbiettivo. La grande mistica sente spontaneamente lo scandalo del dolore atroce sull’Uno. Non solo, lo sente con un vivo desiderio di compartecipazione. Le stigmate ne sono la rivelazione più evidente. Quel sangue di cui voleva sporcarsi Caterina da Siena è il sangue che gronda da tutte le parti in The Passion of Christ. E’ l’essenza stessa del cristianesimo la volontà di rivivere, di fare memoria del dramma del Calvario. E’ attorno alla Passione che nascono i Vangeli. E’ attorno a una morte.
Gli errori grossolani che questo film compie sono tanti. Zeffirelli dice che la croce di Jim Cazeviel pesa troppo per essere reale (non conosce evidentemente il torchio mistico). Altri dicono che la scritta in aramaico posta sul capo di Gesù è palesemente falsa, altri ancora che certi effetti filmici sono da misero b movie. Tutto giusto, certo. Ma queste affermazioni fanno fare un passo indietro al dibattito.
Il film non sbaglia nel riconoscere il sacrificio come il centro reale dell’Alleanza. Il Dio che ha salvato il figlio di Abramo non può fare più nulla per salvare se stesso, può solo offrirsi.
In quei pochi casi in cui i sacerdoti à la page non fanno un’opposizione serrata a questo film per partito preso è perchè questo scandalo –tanto ostico a certo irenismo- finisce per respingere e scandalizzare. “Ti piace Gibson? Sei pre-conciliare, conservatore..”
Quella morte invece interroga tutti. Anche e soprattutto nei termini in cui la presenta Gibson. Poi ognuno può reagire nel modo in cui crede. Come ha scritto ancora Bernardi “c’è chi manda Cristo sulla forca, chi se ne frega, chi sputa, chi ride, chi piange, chi fugge, chi tradisce, chi rimane…”
Il male e la ferocia sono la rivelazione dentro alla rappresentazione. Qualcosa che si insegue, proprio come fanno i mistici, per provare pietà…
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Caro Iacopo, sono molto d’accordo con le tue riflessioni su questo controverso film. A me è piaciuto molto e non mi sento pre-conciliare e neppure conservatrice, l’ho trovato di una violenza inaudita e d’altro canto come è possibile raccontare di una tortura e di una crocefissione in modo delicato? Ciaruffoli nella sua recensione ha scritto che la passione di Cristo è un laboratorio, la ritualizzazione meccanica, eminentemente cinematografica,della tortura sul corpo geografico della sofferenza umana. Ecco, trovo qui il nodo principale del film, con tutte poi le critiche che se ne possano fare. D’altro canto in tutte le mistiche è dal dolore, dalla sofferenza che nasce la riflessione sul Mistero e da cui origina la via della conoscenza. Ho pensato molto se scrivere un commento perchè intorno a questo film circola una resistenza dovuta alle dichiarazioni di Gibson, uomo alquanto reazionario e integralista. Ma ho cercato di andare oltre e sinceramente per la prima volta non mi interessa discutere, ognuno vede e riflette con le proprie categorie e quindi ti ringrazio per il tuo contributo ricco di spunti.
Mi ha molto colpito questo film perché sono andato a vederlo con molti pregiudizi negativi e nonostante quasi tutti i pregiudizi me li sia visti confermati, qualcosa mi ha punto dove non mi aspettavo di essere vulnerabile. Ci devo pensare su. A proposito della mistica Emmerich invece voglio segnalare un intervento che si trova alla pagina http://evangelici.altervista.org/gibson.html
in cui si rubricano i prelievi di Gibson dalle visioni della mistica come “falsità”. L’idea è che il film non è basato sulla Bibbia, anzi se ne discosta fino all’eresia in moltissimi punti. Trovo interessante questo richiamo al “realismo” visto come fedeltà al dettato fattuale biblico.
anch’io ho visto il film con qualche pregiudizio. oltre l’attesa di immagini cruente e dolorose all’inverosimile, ciò che mi ha procurato tensione è stato lo scenario della sala, e la scia di commenti finali (potrei dire il teatro esteriore, usando l’espressione che usa Guerriero). mi turbava più l’idea delle reazioni (emotive, psicologiche, sentimentali…) che il film avrebbe prodotto, piuttosto che il film stesso. non a caso, durante la proiezione, più e più volte mi sono girata a guardare intorno: osservare le facce di chi in quel momento stava guardando teso, o chiudendo gli occhi, o piangendo, o facendo una smorfia di dolore… all’uscita dalla sala ho ascoltato i commenti dei miei amici, che si dicevano choccati, sconvolti. qualcuno ha detto che era un film del cazzo, che non si poteva far vedere tanta violenza, e tutti loro(ma anche altre persone che mi passavano accanto commentando) ripetevano di quanto fosse stata tremenda la scena del flagello che scarnifica. e poi quella dei chiodi e di quando la croce è capovolta e via così a elencare le immagini più forti della Passione di “questo povero Cristo” che “chi l’avrebbe mai immaginata così”. a me hanno dato (magari scherzando) della cinica perché non mostravo nessuno choc: non avevo pianto, non avevo chiuso gli occhi, non mi era venuto da vomitare. in realtà, non avevo voglia di parlarne, perché il mio cruccio era un altro e fomentato dai loro stessi commenti.
quanto di ciò che si era appena visto sarebbe rimasto sterile rappresentazione? non che il film debba avere fini di evangelizzazione (sarebbe come apprezzare vanity fair che esce con i Vangeli allegati!) ma tanta impressione può davvero portare molti a interrogarsi sulla morte di Cristo. sulla passione(sul senso) di quel povero Cristo? dubito. sarà perché credo di più nei percorsi mistici, perché credo di più nel teatro interiore della Passione (dove io sono protagonista, io faccio esperienza intima e viva di quel Calvario, di quel dolore). a me il film di Gibson non dice niente di più di quanto, da secoli, è raccontato e ricordato il venerdì santo. però è probable che molti l’anno prossimo, a ridosso della Pasqua, ripenseranno alla Passione di Cristo ricordando una scena del film. magari quella del flagello.
anch’io ho visto il film con qualche pregiudizio. oltre l’attesa di immagini cruente e dolorose all’inverosimile, ciò che mi ha procurato tensione è stato lo scenario della sala, e la scia di commenti finali (potrei dire il teatro esteriore, usando l’espressione che usa Guerriero). mi turbava più l’idea delle reazioni (emotive, psicologiche, sentimentali…) che il film avrebbe prodotto, piuttosto che il film stesso. non a caso, durante la proiezione, più e più volte mi sono girata a guardare intorno: osservare le facce di chi in quel momento stava guardando teso, o chiudendo gli occhi, o piangendo, o facendo una smorfia di dolore… all’uscita dalla sala ho ascoltato i commenti dei miei amici, che si dicevano choccati, sconvolti. qualcuno ha detto che era un film del cazzo, che non si poteva far vedere tanta violenza, e tutti loro(ma anche altre persone che mi passavano accanto commentando) ripetevano di quanto fosse stata tremenda la scena del flagello che scarnifica. e poi quella dei chiodi e di quando la croce è capovolta e via così a elencare le immagini più forti della Passione di “questo povero Cristo” che “chi l’avrebbe mai immaginata così”. a me hanno dato (magari scherzando) della cinica perché non mostravo nessuno choc: non avevo pianto, non avevo chiuso gli occhi, non mi era venuto da vomitare. in realtà, non avevo voglia di parlarne, perché il mio cruccio era un altro e fomentato dai loro stessi commenti.
quanto di ciò che si era appena visto sarebbe rimasto sterile rappresentazione? non che il film debba avere fini di evangelizzazione (sarebbe come apprezzare vanity fair che esce con i Vangeli allegati!) ma tanta impressione può davvero portare molti a interrogarsi sulla morte di Cristo. sulla passione(sul senso) di quel povero Cristo? dubito. sarà perché credo di più nei percorsi mistici, perché credo di più nel teatro interiore della Passione (dove io sono protagonista, io faccio esperienza intima e viva di quel Calvario, di quel dolore). a me il film di Gibson non dice niente di più di quanto, da secoli, è raccontato e ricordato il venerdì santo. però è probable che molti l’anno prossimo, a ridosso della Pasqua, ripenseranno alla Passione di Cristo ricordando una scena del film. magari quella del flagello.
“MORS SOLEMNIS”
Penetra un chiodo, e un altro ancora, tra la carne vibratile
che ansima e singhiozza per un peccato mai commesso,
flesso è il corpo e alta la fronte in gabbia,
percosso e attonito dagli staffili del proprio carnefice,
scende un rovo al di sotto della palpebra desta
per agganciar come fibbia di sferzante sale,
la visione di una nuova rinascita,
riverbera lo stridore di quella crosta lacera
finché oscilla e s’annida,
come verme tra gli incavi della Terra.
Una terra non meritevole di alcun perdono:
questo è il sacrificio e l’atto d’amore
illuso tra gli angoli della strada d’una città
ove il peccato s’insinua come radici di sempreverdi.
Il peso di una croce e di una corona di spine
a dirompere le ossa del collo come una bestia da soma
dopo la fatica e l’amaro sudore dei campi incolti.
Nessuna semina, nessun raccolto
se non una bestemmia ed una parabola
concimata ancor più dall’ibrido inganno
di coloro che conobbero la ragione dell’incesto e del sangue.
Si discioglie e si dipana adesso la corona di spine
sul corpo frantumato e afflitto dalla propria caduta
di angelo senza ali e senza nome, il cui paterno comando
dall’alto di una volta celeste, affoga nel vuoto
di un silenzio mai udito dalla mortale progenie;
e squarcia nella sua eterna e ciclica discesa,
ogni lembo di vana speranza, finché le carni
e il cuore si aprano come strale fra la tormentata tempesta,
nel pieno rigurgito di un diluvio di sangue e di piaghe infette.
Questo l’antico ricordo, d’una terra lontana;
così dalle contuse lacrime di un logoro flagello,
di mia Madre, il viso, scarno e flagellato
dalle singulte passioni del proprio figlio mortale
sfrigola e geme tra le mani congiunte,
portate alla bocca di chi assapora l’altrui dolore
come il destino di coloro che dell’immolato sguardo
decretarono il veto.
Il mio cuore e la mia anima, pegni questi
per un popolo cieco e di sé giudice,
fuggono via dalle provate ossa di martire
insieme al mio alito, incarnatosi
in una sorda e falsa religiosa promessa,
pallido e arso di vergogna
per avere della propria indulgenza
mortificato le ultime delizie,
in veste di semplice Uomo.
Ringrazio sinceramente Gabriella Fuschini che ha colto molto dello spirito con cui ho scritto questo pezzo così perfettibile, abbozzato. Grazie anche del consiglio, andrò presto a leggermi Ciaruffoli, persona che stimo, la cui recensione, questa volta, mi era sfuggita. Quanto all’osservazione di Dario: non stento a credere che gli evangelici muovano una critica del genere. Si inscirive nella loro teologia.
Io penso, però, che lo fonti della Rivelazione siano due. Scrittura e Tradizione. Un gigante come De Lubac ha lasciato cose bellissime in proposito. Non sola scriptura allora.
Certo sarebbe folle ignorare il contributo storiografico enorme che anche oggi viene dato dalle opere di Bruce, di Meier..Sul Sole di ieri mons. Ravasi citava anche l’ambito delle fonti extrabibliche (Gibson, qualcosa, sembra conoscere). Quello che voglio dire, ultimamente, è che la parola e il realismo biblico di cui tu dici sono importanti.
Ma scrive Silesio:«Se Cristo nascesse mille volte a Betlemme e neanche una nel mio cuore tutto sarebbe inutile». Né la Emmerick né tantomeno Gibson sono esegeti. Però me li tengo stretti…
Dimenticavo (scusate): Anna mi chiarisci meglio il senso del tuo intervento? Non ho capito molto bene cosa pensi di questo film..
penso che sia un film, come è stato scritto, estremamente, radicalmente, realista (nella raffigurazione della violenza subita da Cristo). ma questo è tutto. posso dire che mi è piaciuto tantissimo il personaggio di Maria (come è stato intepretato e tratteggiato); mi ha toccata molto di più delle scene cruente in cui schizzavano sangue e brandelli di carne. ma non posso dire che questo film mi aiuti ad accostarmi e a comprendere (partecipare) al sacrificio di Cristo. “L’incessante consumazione d’amore” passa da un’esperienza intima, profondissima, trascendente. che è prima di tutto, credo, un’esperienza di fede. di abbandono. spontaneo (come tu scrivi). e in questo senso il film non mi dà niente. né lo respingo, né mi scandalizza, ma neppure mi fa sentire più di quanto senta leggendo il racconto della Passione secondo Marco, o Giovanni, o Matteo, o luca. Anzi.
Mi è piaciuta molto questa intuizione di Jacopo Guerriero che interpreta il film di Gibson come una sorta di tragedia mistica contemporanea. La mistica cristiana che Jacopo riesce a sintetizzare in poche righe, pone la passione, la compartecipazione, il deliquio ad un livello superiore superiore rispetto alla conoscenza teologica o storica. Sia Brentano che pone l’esperienza mistica solo sul piano passionale sia il grande Balthasar (approposito prima o poi si rivaluterà la sua grande qualità di scrittore) che considera invece l’esperienza mistica consustanziale alla conoscenza, mostrano la centralità della sofferenza-pathos nell’esperienza cristiana. L’alleanza nata con la circoncisione è ora rinsaldata e suggellata con il sangue. Più nulla può Cristo, solo offrire se stesso. Non gli è dato altro, è figlio dell’uomo sulla croce. Molto interessante, davvero, questa riflessione di Guerriero.
Mi è piaciuta molto questa intuizione di Jacopo Guerriero che interpreta il film di Gibson come una sorta di tragedia mistica contemporanea. La mistica cristiana che Jacopo riesce a sintetizzare in poche righe, pone la passione, la compartecipazione, il deliquio ad un livello superiore superiore rispetto alla conoscenza teologica o storica. Sia Brentano che pone l’esperienza mistica solo sul piano passionale sia il grande Balthasar (approposito prima o poi si rivaluterà la sua grande qualità di scrittore) che considera invece l’esperienza mistica consustanziale alla conoscenza, mostrano la centralità della sofferenza-pathos nell’esperienza cristiana. L’alleanza nata con la circoncisione è ora rinsaldata e suggellata con il sangue. Più nulla può Cristo, solo offrire se stesso. Non gli è dato altro, è figlio dell’uomo sulla croce. Molto interessante, davvero, questa riflessione di Guerriero.
Mi è piaciuta molto questa intuizione di Jacopo Guerriero che interpreta il film di Gibson come una sorta di tragedia mistica contemporanea. La mistica cristiana che Jacopo riesce a sintetizzare in poche righe, pone la passione, la compartecipazione, il deliquio ad un livello superiore superiore rispetto alla conoscenza teologica o storica. Sia Brentano che pone l’esperienza mistica solo sul piano passionale sia il grande Balthasar (approposito prima o poi si rivaluterà la sua grande qualità di scrittore) che considera invece l’esperienza mistica consustanziale alla conoscenza, mostrano la centralità della sofferenza-pathos nell’esperienza cristiana. L’alleanza nata con la circoncisione è ora rinsaldata e suggellata con il sangue. Più nulla può Cristo, solo offrire se stesso. Non gli è dato altro, è figlio dell’uomo sulla croce. Molto interessante, davvero, questa riflessione di Guerriero.
Caro Guerriero, non solo lei ha dannatamente ragione, ma bisogna fare mente critica sulla situazione generale riguardo gli attuali detrattori del realismo o iperrealismo cinematografico. Ma che pretendono, che eventi e termini come passione, calvario ecc. siano rappresentati con scene patinate, senza un goccio di sangue, con Gesù che sorride e mostra, come in certe sculture di crocifissi, degli addominali da culturista? Tempo fa, certi critici pretendevano di censurare Lupin perché c’è Jigen che fuma, e questo non è bello da mostrare ai bambini. Ma è chiaro che il pistolero che fuma spavaldo, che si accende e aspira con calma e sicurezza poco prima di ammazzare il nemico, è un modo di rappresentare, psicologicamente, il personaggio. Lo stesso vale per la Passione.
Poi le reazioni sono diverse: una mia amica mi ha raccontato di un ragazzo che, dopo aver visto il film, ha iniziato a leggersi il vangelo, tanto n’era rimasto sconvolto. E’ chiaro che le reazioni di scandalo sono normali – ma non vuole forse scandalizzare Gibson? e non è forse scandalo, in sé, la passione di Cristo?
Un’ultima nota, poi, sul dispiegamento di preti e pretonzoli che in questi giorni si sono affaccendati a criticare il film e, nella maggior parte dei casi, a dire: “Gibson è un regista e non un uomo di Chiesa” e “in fondo è un film e non un’opera teologica”. Certo, ma allo stesso modo non dimentichino, i nostri cari pretonzoli, che anche loro non sono critici cinematografici…
D’accordo con tutti (anche se il film non l’ho ancora visto…)Ma insomma, mi sono cuccato un pò di trailer e qualcosa si capisce. Seguendo i vs discorsi, Gibson ha mostrato il lato duro e puro della Passione di Cristo, che poi è l’unico lato. Zeffirelli si rivolta nel suo giardino simil-Boboli: chi se ne frega, andasse a confessarsi per i suoi peccati di reazionario del put e per aver ideato le targhe azzurre (ve le ricordate?). Cristo ha sofferto le pene dell’inferno. Tutta le accuse di antisemitismo mi sembrano oziose, detto così a spanne larghe da-non-ancora-vedente-del-film. Essì, faccio come Gad Lerner ma al contrario, che si è sentito in dovere in una trasmissione televisiva di criticare aspramente il film senza averlo visto. Io, senza averlo ancora visto, ne parlo bene. E meno male che l’ottimo Sbragia (Caifa nel film) bravissimo attore tra l’altro di origine israelita, ha tappato la bocca al pur bravo (in altre cose) Gad.
Cristo è morto per noi. La rappresentazione del suo immenso, universale dolore umano è oggi più che mai doverosa. Senza fronzoli, senza abbellimenti, senza occhi blu. Un esempio forte, perchè Lui è l’Esempio.
A mio parere le accuse di antisemitismo sono proprio oziose, hai ragione Franz. O io sono particolarmente ottusa e non riesco a leggere tra le righe, anzi tra i fotogrammi, oppure c’è la volontà di martellare il film a tutti i costi. Sono d’accordo anche con Anna, la figura di Maria è così ben tratteggiata in tutto il film e la pietà finale è di un’intensità incredibile.
IO ho sempre ragione…
Grazie a tutti per l’adesione (anche a Franz in splendido berzerk autoreferenziale). Con questo pezzo non dico nulla di eccelso e, come nel caso di Anna, può anche benissimo accadere che questo film lasci del tutto inerti o quasi. Però, ripeto, l’accento sulla Parola va posto perchè essa -in ambito cristiano- è annuncio di un evento, è buona novella. Altrimenti non ha senso. Il centro è lì e da nessun altra parte. Nell’evento, intendo. In quel dolore di cui partecipano i mistici.
E’per questo che si continua a rappresentare la Passione. C’entra anche, forse, un senso tipicamente ebraico-cristiano che ha a che fare con il memoriale (zkor), con una rivisitazione che porti a passare da schauspieler a mitspieler: da spettatore a compartecipe.
Che mi frega, insisto, se poi il colore del mantello di Gesù era diverso, o se un uomo non può soffrire a quel modo per dodici ore..
E’ un aspetto da considerare ma è secondario. Lombardi Vallauri ha studiato a lungo i miti di resurrezione in contesto non cristiano ma il risultato del suo lavoro è stato identico. Ogni comunità che vive una “passione” ne ricerca poi una rivisitazione periodica e costante. L’attualizzazione e la pietà vanno di pari passo. Sono temi su cui si potrebbe discutere all’infinito
Come al solito dimentico qualcosa, qualcosa che ci tenevo proprio a fare: giusto, Malatesta! proprio pretonzoli sono. E quanto saccenti..
Ma. Devo dire che sento un “ma”. Ho letto qualche giorno fa un pezzo di Bianchi (comunità di Bose) molto critico sul film. Il film non l’avevo ancora visto, dunque gli argomenti di Bianchi sono divenuti un mio pre-giudizio. Uno di quei pregiudizi che il film mi ha confermato, non contrastato. Devo ritrovare il pezzo, poi magari lo posto o ne metto su dei passi. Il film mi inquieta perché da qualche parte ha fatto pervenire alla mia sensibilità un tocco che avrei preferito non sentire. Non sono contento, insomma, che qualcosa mi abbia detto. Devo capire cosa. Non è niente semplice il discorso sulla ricezione di questo film, vedrete che ce ne renderemo conto. Per esempio, a me uno dei passi evangelici che mi è sempre piaciuto moltissimo è quello dei discepoli di Emmaus. Ora, se anche ci sarà un sequel di questo macello ambientato nella pistisofiaca ascensione al cielo del Cristo, scommetto che quelli di Emmaus ce li perdiamo. Perdere Emmaus equivale a perdere la “funzione memoria” e anche la “funzione riconoscimento”. La vedo veramente complicata, amici. Aiutatemi a capirci qualcosa, a prescindere dal corvo e dalla Satanessa e da altre puttanate.
Strano questo collegamento che fai Dario, vorrei capire meglio perchè pensi a una possibile perdita della “funzione riconoscimento”… il passo di Emmaus è per me uno dei più pregnanti, e quindi questo tuo “ma” mette un piccolo tarlo anche a me. Butto lì un pensiero che mi è passato leggendo il tuo post: non è che lo “svelamento” eccessivo del Mistero tende ad annullare il senso del Mistero? Jung diceva che cercare di spiegare l’inspiegabile è un’operazione mentale che ti porta lontano dalla via… mah! se trovi il pezzo di padre Bianchi postalo, il suo è un pensare profondo, molto lontano da certi pretonzoli…
Sono ferratissimo: ho letto almeno venti lunghi articoli e fatto domande precise agli amici che l’hanno visto. Chi se ne frega se non l’ho visto? Ho anche il cattivo esempio del Grande Franz.
Il punto, mi sembra, non è la crudezza delle immagini (ci si chiedeva giustamente, sopra: perché mai si dovrebbe essere zeffirellianamente patinati?) ma il fatto che non ci sia altro.
Certo, l’intento è dichiarato nel titolo, che non è mica “La vita di Gesù”. Legittimo concentrarsi sulla sola Passione. Ma se una catarsi è richiesta a qualsiasi opera drammatica, foss’anche pagana, per la sua stessa natura, come si può non pretenderla in QUESTO caso?
Si è detto che il film era la riscossa dei cristiani duri, dei conservatori. Mah. Io so che la tavola più grande di ogni via Crucis è la Resurrezione,che può stare sull’altare o dietro. E’ l’unica tavola sempre visibile. In un santuario del mio paese ce n’è una in bronzo di quattro metri.
Sono perplesso dall’approvazione degli addetti ai lavori (dei preti, non dei critici). Il martirio lo subiscono ogni giorno nel mondo centinaia di poveri cristi. Ma i cristiani dovrebbero credere nella resurrezione, cioè nella vittoria, nella sublimazione. La gente dal film esce sconvolta, non sa darsi pace. A tanti questo sembra un buon segno (lo Scandalo e altre amenità). Ma è pura frustrazione, che c’entra la frustrazione con la fede e tutto il resto? Il senso di colpa (il “siamo tutti colpevoli” con mano del regista che pianta il chiodo) farà comodo ai preti, che ci hanno sempre giocato ma Cristo sarebbe sceso giù a mondarci, non a lordarci.
La reazione a questa tortura non può che essere una reazione di vendetta (non a caso il film è stato accolto benissimo nei paesi arabi e nel covo di Arafat, cioè dove alla resurrezione non si crede). Penso che per la cristianità sarebbe più benefica la visione di un Cristo trionfante, sereno ma vittorioso.
Se ho riportato inesattezze, corrigetemi. Fustigherò quelli che me l’hanno raccontato male.
Ormai ti stai identificando col Papa: se sbaglio mi corrigerete… Comunque io penso che Gibson, nel suo film che NON HO VISTO, abbia voluto proprio farci vedere il sangue che non è acqua e che, tutto sommato, non è nemmeno vin santo. Che poi nei covi dei delinquenti fondamentalisti si applauda allo scannamento cristologico è un altro paio di maniche; quelli ce l’hanno da qualche secolo con i presunti deicidi, con gli ebrei. Con tutto il rispetto,mi fido di più del parere di un osservatore occidentale. Il Cristo vittorioso e maestoso ce l’ha già fatto vedere Zeffirelli quasi trent’anni fa. Un Cristo a immagine e somiglianza di un’immaginetta, politically (?) correct. Ora, io odio tutti i fondamentalismi. E mi fanno davvero paura. Spero soltanto che questo film non aizzi i cani del fondamentalismo cristiano, che non diventi pretesto importante per sopraffazioni. La sublimazione nella ressurrezione di cui tu parli, Elio, è cosa, appunto, fuori da questa vita di dolore. Io credo che Gibson abbia voluto spalancarci una visione sugli ultimi giorni di Cristo uomo, tutto qui. Umanizzare Cristo nell’ indicibile sofferenza umana per farcelo assomigliare vieppiù. Ritorniamo così all’esempio. Cristo è stato rivoluzionario; e per questo ha pagato un prezzo piuttosto alto. Farci vedere come, senza risparmiarci i dettagli, a me pare un’operazione perlomeno onesta.
E ora anch’io, dopo la visione del film, sarò pronto a fustigare tutti coloro che eventualmente mi avranno fatto capire Roma per Toma…
25 dicembre 1950
A Gesù di Nazareth primo martire socialista
PSI
(Scritta riportata sui manifesti del partito socialista di Nenni che venivano affissi fuori tutte le chiese dell’Emilia Romagna la notte del 24 dicembre)
Caro Paoloni, come diceva Schopenhauer l’arte di non leggere è più importante di quella di leggere, perché leggere significa pensare coi pensieri degli altri. La tua obiezione sembra presa dai commenti dei pretonzoli sopracitati. Primo: l’artista – poeta, scrittore, pittore, regista ecc. – mette l’accento dove gli pare e piace. L’opera s’intitola La Passione e parla della passione. Se si fosse intitolata Passione e Resurrezione di Gesù Cristo o solo La Resurrezione, e se Gibson avesse voluto farne davvero un’opera teologica, come hanno detto alcuni, allora sarebbe stata un’altra storia. Se Gibson, come già tanti artisti hanno fatto, vuole evidenziare il lato umano del Cristo, liberissimo di farlo. Anzi, aggiungo una cosa a quanto già detto giustamente da Franz. Secondo me, il lato umano del Cristo – dalla vita nella bottega di Giuseppe al tradimento subito dall’amico alla tortura del calvario – è ciò che lo rende davvero universale. Se questa figura appassiona e ha tanto appassionato – anche i non credenti come me – non è certo per la sua ascensiose finale al cielo, ma per tutto quello che viene prima.
Già, la sofferenza è la realtà, la resurrezione presuppone un atto di fede, il passaggio da Gesù uomo a Gesù figlio di Dio… comunque il film per buona paca di tutti non termina con la martellata sul chiodo. Accade il terremoto, Caifa si aggira per il tempio che crolla, con aria sconvolta( che fosse vero quel che diceva il profeta?), si vede il sepolcro dove il buio a poco a poco scompare, il lenzuolo bianco del sudario e infine si intravede un corpo nudo in piedi, un braccio, la mano con i segni delle ferite riemarginate: la resurrezione! Dopo due ore di tortura, l’immagine luminosa dà un senso di leggerezza… io l’ho vissuta così.
Dario se posti il priore mi aiuti davvero perchè purtroppo io l’ho perso. Lui proprio non è un pretonzolo. Poi andiamo avanti a discutere, mi incuriosisci quando dici che la ricezione sarà più difficile di quanto pensiamo.
Quanto al resto: sempre di più mi trovo d’accordo con Malatesta, in particolare con riferimento all’ascensione. I cristiani sono testimoni di un sepolcro vuoto e sulla Resurrezione si può dire pochissimo. Insisto nel mettere l’accento sul fatto che tutto questo prescindere dalla memoria della morte del Cristo, questa leggerezza nel farci i conti, induce solo superficialità, banalità..
Cristo è sceso a lordarSI.
Non mi sento minimamente conservatore perchè dico questo, anzi.
Ricordate Palombella Rossa di Moretti? Ricordate Michele Apicella che passeggia vicino alla piscina e incontra quel ragazzo che gli dice più o meno:”Tu credi nel tuo lavoro? Credi nella tua famiglia? Io ci credo, crediamoci insieme. Io sono cattolico, tu? Io ti voglio bene, tu ne vuoi a me?2
“No” gli risponedeva Moretti.
Ecco, appunto..
Essere cristiani è un caso serio.
Poche storie
Io non ho visto il film, e non so se andrò a vederlo (mi sento un po’ un imbecille quando subisco l’azione di queste mastodontiche macchine promozionali, che, attraverso miriadi di canali, per calcolo e per incontrollata contaminazione, ci dicono cosa “dobbiamo” vedere e di cosa “dobbiamo” dibattere… e poi le poche immagini viste, nei trailer, negli speciali, mi sono parse un po’ posticce…). Ma una domanda a voi che avete visto il film: dal racconto della passione di Gibson trapela la predicazione di Cristo? Credo che la passione di Cristo abbia senso come conseguenza della sua predicazione, eretica, rivoluzionaria, scandalosa. Altrimenti, di quale significato particolare si caricherebbe il suo calvario, la sua crocifissione, perché quella sofferenza, quei soprusi dovrebbero assumere un significato diverso da tutti gli altri soprusi, da tutte le altre condanne, le altre torture, le altre uccisioni? Vi chiedo, quella crocifissione è caricata di senso? Porta con sé tutto il peso della predicazione di Cristo, inascoltata, tradita, derisa, o no?
Ma caro Malatesta, sono stato io a dire:
– l’intento è dichiarato nel titolo, che non è mica “La vita di Gesù”. Legittimo concentrarsi sulla sola Passione.
Perché, allora, ricordarmi che “l’artista mette l’accento dove gli pare e piace” e “che il titolo non è…”?
Dici: “se Gibson avesse voluto farne davvero un’opera teologica, come hanno detto alcuni, allora sarebbe stata un’altra storia.”
Appunto: io facevo rilevare questa contraddizione.
Non c’è niente di male nell’umanizzare Cristo, nel mettere l’accento sulla “parola rivoluzionaria”. Lo hanno fatto per decenni i socialisti, e anche Pasolini.
E’ molto strano che lo faccia il cattolicissimo e “reazionario” Gibson ed è strano che molti critici insistano sul suo misticismo e presentino il film come il prodotto del neoconservatorismo, della Chiesa preconciliare e via recensendo (lo hanno detto in molti, non solo alcuni: io sono scarso sul film ma preparato sugli scritti).
In quanto ai pretonzoli, mi risulta che molti invitino i fedeli, dal pulpito, ad andarci. E come ho detto, sospetto il vecchio movente della Controriforma. La rappresentazione del tormento e la gestione del senso di colpa.
Un ultimo appunto: “se questa figura appassiona non è certo per la sua ascensione finale al cielo, ma per TUTTO quello che viene prima”.
Il tutto sarebbe nelle nerbate?
Ognuno si costruisce il Cristo che gli pare – è in questo la grandezza della figura – ma la domanda è quella che pone Sergio:
– quella crocifissione è caricata di senso?
E questa domanda non chiama in causa solo la teologia, ma anche la qualità narrativa.
Sì, Paoloni, hai ragione. Ho trascurato le prime righe in favore delle ultime e ho travisato il senso. Effettivamente, diciamo più o meno la stessa cosa.
Quanto alla domanda: quella crocifissione è caricata di senso? risponderò tra qualche giorno, quando anch’io, in ritardo come Franz, avrò visto il film.
Certo Paoloni (e anche Saviano, of course) potremmo considerare il punto di vista della ricezione, in chiave sociologica. Perché La Passione di Mel Gibson ha riempito i cinema d’Italia, ma pare che il record sia detenuto dai cinema di Campania, Puglia, Calabria e Sicilia…
Cioè dove non si legge mai.
Sono comunque deliziato da questa discussione, animata soprattutto da gente che il film non l’ha visto.
Mattiniero, eh, caro Elio? Il mattino ha l’oro…
Comunque la faccenda meridionale (non la Questione, la faccenduola del film stravisto al sud) non la liquiderei così. Non c’è un boom generale dei film e dei cinema qui (anzi quaggiù) al sud, ma questa Passione è andata meglio di tutti. Alla fine, facciamo due conti: gli USA dei neocon e il sud d’Italia arretrato e forse per questo più bigotto del nord, legato alle sue radici religiose, culti di sangennaro, madonnedelcarmine ecc.
E comunque sì, la discussione è deliziosa nel suo paradosso (certo qui si parla molto del contorno, del realismo cinematografico, della libertà d’espressione dell’artista, della figura di Cristo ecc.)…
Condivido con Malatesta, questo boom meridionale ha motivi ben più radicati. Ogni sette anni dalle mie parti, GUARDIA SANFRAMONDI vi è una processione di battenti. Migliaia di persone incapucciate (stile Ku Kux Klan) si battono il petto con spugne di 33 chiodi (quanto gli anni di cristo. Sangue, urla, svenimenti, sono elemento comune di questa giornata. Ebbene il meridione è disseminato di questa passionalità religiosa carnale e violenta. In questo comune retaggio è fose possibile trovare il grande piacere del “popolo” meridionale di vedere il film di Gibson.
Grande Roberto! I battenti ci sono ogni anno anche ad Atripalda (AV), lo sapevi? Non solo: esistono molti studi che individuano proprio in questo tipo di processioni -che si ritrovano un po’ dappertutto a partire dal Medioevo- il primo paradigma per il racconto spettacolare della morte di Cristo.
Quanto alla domanda di Sergio: io procederei in negativo. C’è qualcosa che questo film non perde, non tralascia. Di più è difficile dire..
Tutto interessantissimo in questo articolo e nei commenti. Tuttavia aspetto un film “storico” (nel senso della storia di Carlo Ginzburg) sulla figura di Gesù Cristo. Mi aspetto che qualcuno si prenda la briga di raccontare in un film ciò che è provabile e provato (fino ad oggi) e non smentibile. Gesù era una caballista rifinito che inseguiva il sogno comunista. Si conosce la antitesi che si oppone a questa tesi, secondo la quale la Qabbalah non era nota a quei tempi. Invece esisteva e i Vangeli ne fanno prova. Elia Benamozeg, un rabbino di livorno lo ha provato nel 1863. Oggi esce il testo a cura di Marco morselli: L’origine dei dogmi cristiani, genova 2002.Benamozeg aveva scritto anche un trattato sugli esseni che esaurisce l’argomento e ancor prima della scoperta dei testi di Qmuran. E poi ci sarebbero tante altre cose.Se si studia bene la Qabbalah, la gnosi egizia e la teologia mistica ci si chiarisce tutto. Ne verrebbe fuori un grande film, lontano da queste ricostruzioni “false”. Chissà!
Grazie a Lumina per il contributo. Come al solito profondissimo..
Avevo citato un articolo di padre Bianchi. Lo si può leggere qui: http://www-1.monasterodibose.it/bianchi-work/s20040409.html
Grazie!