Per chi svuota la campana
di Marcello Anselmo
I blattoidei sono un ordine di insetti comunemente noti come blatte, scarafaggi o faluche. L’ordine comprende oltre quattromila specie, divise in sei famiglie. Si annidano nella notte, in posti umidi, si cibano di sostanze derivate dai nostri alimenti, generalmente quelli scartati che vanno a comporre l’umido, qualità della mondezza al centro di recenti attenzioni.
Sono due notti che gruppi guardinghi di questi insetti corazzati convergono nel vico d’Afflitto, una delle “microarterie” che dai Quartieri Spagnoli sfociano in via Toledo, il salotto buono della città.
L’eco della musica tecno che ha accompagnato l’inaugurazione del nuovo megastore Alcott, si è appena spenta quando un brontolio metallico si appropria della quiete della notte. Figure scure con mascherine sul viso e tute bianche a protezione degli indumenti trascinano dai vicoli cassonetti, carriole, teloni pieni di sacchetti, materiale edilizio, scarti, mondezza. La riversano all’incrocio tra via Santa Brigida e via Toledo, formano una collinetta di detriti della società dei consumi. L’odore è nauseabondo, il timore è che tutta quest’empietà stipata da giorni nei vicoli stretti, diventi un rogo carico di incognite.
I ratti sopraggiungono eccitati, squittiscono aspettando che il trambusto si plachi pregustando un fiero pasto alla luce dei lampioni. Nel cielo opaco di nuvole afose i gabbiani girano in tondo: finalmente non hanno più bisogno di spingersi nell’entroterra per trovare cibo ammonticchiato a buon mercato, possono rimanere nei pressi dei loro nidi del molo San Vincenzo o sulla scogliera del Beverello e poi allontanarsi di poco per beccare i residui di una civiltà che non capiscono. Ghignano con il becco diventato meno acuminato a furia di lacerare plastica.
Sono giorni che i Quartieri Spagnoli sono ammorbati da miasmi provenienti dal percolato di tonnellate di immondizia non raccolta. Cumuli ostruiscono le strade, rendono impossibile la quotidianità di un popolo neanche più offeso ma assuefatto alla subalternità. Un agglomerato sociale immobile incapace di affermare istanze, appagato dal flusso irregolare di denaro che caratterizza l’economia informale e paracriminale della zona, pronto a seguire, per pochi spiccioli, il capopopolo di turno. Sono parte di quella metà di Napoli che non ha votato per LDM, anzi non ha votato per niente. Eppure ora, da due notti, trasportano mondezza, sudano spingendo carichi immondi, maneggiano pale, accatastano rifiuti tra la sede centrale del Banco di Napoli e il teatro San Carlo. Non è una rivolta, è una forma di esasperazione ben temperata da chi questo gioco lo conosce davvero. Mariano ha esperienza, dirige la raccolta della rivolta, indirizza gli adolescenti eccitati nel formare la barricata di mondezza. Valuta il peso dei carichi, distribuisce i ruoli: chi raccoglie, chi sposta e così via. È stato netturbino per ben due società che hanno lavorato per anni con l’Asia (la società comunale che gestisce la raccolta dei rifiuti a Napoli) in seguito allontanate perché prive di certificato antimafia. Adesso è arrabbiato, incazzato nero perché “per lo meno prima i Quartieri restavano puliti”. Erano gli altri a subire le conseguenze di un sistema malato, inefficace. Adesso è il momento di far sentire la propria voce, di far rimuovere quei cumuli che per anni si sono visti solo in televisione, ci pensavano loro (chi?) a tener puliti i vicoli.
Questa crisi del giugno 2011 è una crisi di tipo nuovo, colpisce indiscriminatamente centro e periferia, nessuno ha garanzie, nessuno ha progetti, l’elastico è slabbrato: chi contestava ora è al potere e scopre che arginare una metastasi è compito di Sisifo mentre vaiasse e scugnizzi da operetta diventano i paladini di una rivolta che non c’è. Trasportare l’immondizia dai vicoli al centro seppellisce la contraddizione, il centro è già saturo, ora il problema è dell’intera città, e forse proprio perché l’amministrazione appena eletta ha azzerato le mediazioni prima di aver stretto nuovi sodalizi. Nelle fogne l’immondizia è sopravvivenza, crea reddito, consenso, clientele. La Saittella porta finalmente la propria escrescenza alla suppurazione.
Il rumore dei cassonetti rimbomba tra gli edifici mentre scivolano veloci lanciati dai vicoli alti dei Quartieri, inciampano e si rovesciano sul corso principale di questo paese metropolitano che è diventata la città. All’arrivo di un paio di volanti, le squadrette organizzate si dileguano rinunziando a uno scontro che le stesse guardie temono. La rivolta non è rivolta. La polizia arriva con i militari, dà un’occhiata e scompare. Dai balconi la gente esulta coprendosi la bocca con fazzoletti incapaci di trattenere il fetore. «Abbiamo liberato i Quartieri!», «Venitevi a prendere la monnezza», sono le frasi smozzicate che si sentono tra i tonfi e i rumori sordi. Gli scooter non smettono di circolare, dall’alto sembrano blatte impazzite da tanta abbondanza, è un sogno di motocross metropolitano in cui si corre su un fango artificiale, si schizza percolato, qualcuno – temerario – inizia a lanciare bottiglie di vetro contro i negozi. Ma si ferma subito, la gente censura: perché attaccare la proprietà? Qui non è in gioco un territorio, qui non ci sarà mai una discarica. Qui domina un tipo di esasperazione controllata, sterile, se non per pochi metri quadri di metropoli.
La seconda notte di rivolta inesistente vede già gli sciacalli dello spettacolo piombare con macchine fotografiche, cineprese, cronisti solerti che domani saranno altrove. Chi prende in cura le anime corrose che producono quest’immondizia indifferenziata senza domandarsi perché accade tutto ciò? Chi avrà cura di quegli edili che lavorano a nero in appartamenti abbarbicati in edifici secolari privi di ogni garanzia, che a fine giornata abbandonano scarti di lavorazione accanto a verdura avariata e scatoloni di cartone? Chi proteggerà la salute di giovani donne che per otto ore l’indomani lavoreranno in una conceria improvvisata ospitata da un sottoscala insalubre? Chi potrà offrire risposte a giovani uomini che per poche ore della notte scateneranno la propria rabbia contro i rifiuti da loro stessi creati?
Infine, pigri, arrivano i mezzi dell’Asia, bobcat, autocompattatori, si affrettano a liberare la carreggiata dai rifiuti, magari spostandoli un po’ più in là. All’emergenza si risponde con l’emergenza: niente da dire. Vince sempre chi alza più la voce. Adesso la merda diventa competenza della Provincia, la Celere sarà spedita altrove, in quei luoghi dove l’immondizia è destinata a riposare e putrefare. All’alba i gabbiani calano in picchiata, lottano con i ratti che danno vita una danza fatta di scatti, quasi immobile. Quel ronzio che si sente in sottofondo è il frinire delle blatte che rosicchiano felici ciò che resta della dignità. La luna opaca di mezza estate riflette sui ghigni dei gabbiani sempre più lontani dal mare del golfo. Suerte.
Napoli è la città del duende, forma magica, grazia, ma il duende muore
sotto ferite diverse su un corpo sensuale, un labirinto di vele bianche gallegiando sopra forma brutta e fetida.
Il male trova la sua espressione nell’immondizia. Questo “racconto” dei fatti è fatto solo la luce del fuoco, di una rivolta che solo la notte puo guardare. Gli animali scappati del romanzo di Camus sono li. Napoli circondata, chiusa dietro i muri della sua malattia. I Napoletani sono prigionieri di questa immondizia che sembra sempre ripetuta, dura da anni, una malattia cronica. Il nuovo sindaco di Napoli ha un lavoro immenso e difficile in vista.
sotto la luce del fuoco
[…] Articolo apparso su Nazione Indiana, sui rifiuti di Napoli. […]
Fantascienza apocalittica. Distopic. Ci siamo dentro in pieno. Nulla di patinato, nulla di cool, ma realtà brutale. A casa nostra.
http://accademia-inaffidabili.blogspot.com/2011/06/le-cinque-giornate-di-de-magistris-il.html
Ho un ricordo di Napoli della mia infanzia, ci andavo perché mio padre volle laurearsi proprio in quella città, dove la facoltà di geologia gli sembrava migliore di quella barese; mio padre era un guerriero degli studi, sfidò il mondo accademico pur essendo già padre di quattro figli e dovendo sostenerela famiglia, un eroe. Bene, mi ricordo di questa Napoli della mia infanza, con quei carrettini ordinati di limoni e fragole; granite che si gustavano avendo davanti quel magnifico paesaggio, unico al mondo, col Vesuvio che sta lì ad ammonire e tutti sembrano non farci caso; le grandi chianche nere che portavano all’ateneo Federico e poi, dopo anni, la visita al Museo archeologico, così antico anche nell’esposizione e così bello. E la sensazione di essere accolta da quell’accento, così speciale, così simpatico…Oh Napoli, ma cosa t’è successo? Non verrei mai a vederti coperta d’immondizia. E ribellati su, liberati da sta munnezza…Non ti posso pensare così tutta sporca…
“l’amministrazione appena eletta ha azzerato le mediazioni prima di aver stretto nuovi sodalizi”…se le mediazioni erano parti colluse o conniventi alla camorra od al sistema politico imputridito della stagione bassoliniana, credo sia un curioso quanto pericoloso stravolgimento dei fatti quello che si accenna in questo educato rimprovero alla nuova amministrazione.
in poche parole, questa situazione attuale, ed il suo permanere, dipenderebbe non da 20 anni di immobilismo nelle politiche comunali e non, dall’incapacità e dalla mancanza di volontà nel pianificare interventi a lunga scadenza anzichè improvvisazioni ad uso e consumo delle telecamere, ma dai nuovi che non saprebbero stringere legami con essi.
forse non ho capito e lancio una provocazione tanto stupida quanto quella contenuta nell’osservazione che cito dell’autore, poichè ne sarebbe immediata conseguenza: è un invito a de magistris a rivolgersi alla camorra ed ai politicanti campani per tutte le stagioni?
ed io che pensavo che ci volesse uno sforzo, non troppo importante, a capire perchè questa emergenza si è acuita immediatamente, dopo le ultime elezioni.
un po’ meno letteratura e un po’ più di analisi ci aiuterebbe a capirci qualcosa.
per esempio, che vuol dire “l’amministrazione appena eletta ha azzerato le mediazioni prima di aver stretto nuovi sodalizi”?
quali mediazioni?
quali sodalizi?
che ci frega dei blattoidei e del becco dei gabbiani?
stai parlando della camorra?
gli sversatori di mondezza per strada sono pagati?
Stanno cercando di fare fuori subito De Magistris?
Se sì, chi sta operando in tal senso?
Chi funge da braccio operativo dell’operazione?
Che De Magistris con la sua candidatura a sindaco si fosse messo nei guai, per me era cosa ovvia, visto che già nello svolgimento storico dei fatti della gestione dei rifiuti è difficile anche soltanto afferrare il bandolo della matassa.
Quello che invece non capisco, è cosa vogliono gli elettori napoletani che lo hanno votato da De Magistris.
Se insomma c’è così tanta gente che lavora per la camorra, non era meglio votare l’uomo di Cosentino?
Si tratterà di due differenti Napoli, quella che vota De Magistris, e quella che vota e lavora per la camorra, ma davvero c’è anche un singolo individuo che potrebbe accettare di vivere per tutta la propria vita sui propri rifiuti?
A mio modesto parere, la provincia di Napoli è davvero un luogo atipico. Ricordo che, soprattutto sulla fascia costiera a sud di Napoli, si ha la concentrazione di popolazione più alta di tutta l’Europa.
Al contrario, Salerno ha una provincia di grande estensione ed a densità popolativa molto più ridotta: possibile che i confini amministrativi possano fungare da ostacolo insormontabile nell’individuare almeno una nuova discarica, fosse pure provvisoria per l’emergenza odierna di Napoli?
Poi, il sindaco De Magistris dovrà provare se la soluzione a regime che proponeva durante la campagna elettorale funzioni davvero.
A proposito della frase: “l’amministrazione appena eletta ha azzerato le mediazioni prima di aver stretto nuovi sodalizi”, e in attesa di una (eventuale) risposta di Anselmo, sono abbastanza certo che con quell’espressione si intende che al contrario di quanto è successo fino a oggi a Napoli – e cioè che le amministrazioni PRIMA stringevano nuovi e più necessari sodalizi, e POI cancellavano i vecchi patti con soggetti che non erano più utili dal punto di vista delle clientele o delle spartizioni -, al contrario di quello, dicevo, l’attuale giunta ha tagliato, alleggerito, liberato (per es., il sistema delle consorziate/esternalizzate per la raccolta), “azzerato le mediazioni”, appunto.
Quoto Cucinotta: impossibile fare a meno di considerare il dato strutturale: quella dell’area napoletana è la più grande e densa conurbazione d’Europa: il problema dei rifiuti non può essere affrontato solo all’interno dei suoi confini: per dirne solo una.
Neanche al nord il problema è risolto all’interno dei confini.
Francesco Pecoraro,
Il testo venuto della realtà e anche attraversato di immagini. Gli animali scappato della terra, del fango, del mare sono i simboli di una malattia: la camorra. Mi ha fatto pensare a Camus, nella città solare de la Peste,
il corpo della città è macchiato di ombre, di muffa, di male. Fa male, perché Napoli è la più bella città di Europea.
Amo, l’adoro, come la amo, la spazzatura
no, non il cinema, non, non la letteratura
ma quella autentica e vera, quella della nettezza
urbana, la spazzatura che fa salire la città
quella che ha fatto le montagne e circonda i laghi …
Che c’entra questo, adesso, dirà qualcuno,
che c’entra … ma come, di fronte a tanto ottimismo
a questa fiducia nella vita, nella nuova nascita
in questo credere dell’autore nonostante tutto
e dire Sì, sempre Sì, io voglio essere il Sì
ebbene io non ci sto, io vi getto in faccia l’antidoto …
la spazzatura …
Ma non sei tu l’autore? Già, sono io, l’autore
Allora vuol dire che parlo contro me stesso,
che mi rivolgo al mio essere sbrindellato ma
resistente, fiammifero inconsumabile che riaccendo
circondato dalla spazzatura, lacustre
oceanica: sì voglio immergermi
in una piscina di spazzatura, fare la doccia
con la spazzatura, l’immondezza, l’immondizia:
nome sublime, in odio alla lavanda, al profumo,
sfregami con la segatura
e la spazzatura più dura, immersioni integrali,
a mani nude, a gambe nude, a ventre aperto:
immondezza luccicante, vetrosa, cumuli di perle
dove scoprire lo straccio intriso di petrolio
e di sangue … ahi, rischio di tagliuzzarmi,
di infettarmi, per troppo amore
di scorie e rifiuti…
venite, guardate, adorate
questo è il monte Stella, la montagna sacra,
cumulo di macerie e spazzatura, tutto insieme,
corpi e mattoni, vecchie cucine e poltrone sventrate,
la città l’hanno schiacciata come un uovo e ne è uscita
l’essenza, l’essenziale, l’essicante spazzatura,
l’eterna immondizia …
adesso basta,
avete goduto abbastanza, il mio inno di naufrago,
il mio inno di nomade sta per finire,
non so che altro fare, adesso, che altro cantare,
cantare con la gola intasata, col fiato corto,
ingorgato gorgheggio, io gorgheggio in attesa
in fuga, colmo di vergogna, ma allegro,
io so ancora cantare …
da: La Festa del cavallo, 1986
Un dato su cui varrebbe la pena riflettere.
Agli ultimi referendum Napoli è stata l’unica grande città a non raggiungere, seppure per poco, il quorum. Basterebbe questo, in fondo, per capire che de magistris non è l’espressione di una nouvelle vague di rinascita e consapevolezza politica. E se non è questo, mi chiedo, cosa sarà mai?
effeffe
ps
stanotte ho dormito a Montesanto a casa di una coppia di amici. Pur abitando al quarto piano, vi assicuro che il tanfo era insopportabile.
il calcolo è stato fatto: De Magistris è stato votato dal 32% dei cittadini napoletani aventi diritto al voto. quel 68% che rimane e che non ha votato deve conquistarselo. lui ha sbagliato clamorosamente nell’alimentare, ancora una volta, il clima di attesa miracolistica che si può dire da sempre caratterizza l’atteggiamento di napoli verso la politica. De Magistris, chiunque egli sia e qualsiasi cosa sappia fare, ha bisogno della città, che deve mobilitarsi concretamente. non so come, però. non so per fare cosa. non vorrei essere nei suoi panni…
Questa terra è la mia terra,
scusate se inizio citando il titolo di un vecchio libro on the road, binari e treni che viaggiavano sbuffando per chilometri tra città e campagna.
Nonostante offesa, infangata e sporca, la città di Napoli e la sua provincia, resta un territorio indomito, questa terra … la nostra terra.
Bisogna viverla e sentirla propria questa terra … (non comprarla e devastarla con la violenza del più forte, comunque servo del potere) e chissà che non sia la volta buona per una crescita collettiva definitiva, cioè di rottura, insomma storica.
Sia ieri, stamattina e nei giorni scorsi, dopo la dichiarazione, ormai già famosa, sulla soluzione del problema immediato, in cinque giorni, del neo sindaco De Magistris, sto cercando di riflettere, perchè quando ci si trova in un disastro di questo genere, se sei un comune cittadino, farsi un idea personale è davvero difficile. Ma non solo.
Dietro l’angolo può esserci, finanaziata e fomentata ad arte, servendosi della manovalanza fascista e ambienti ad essa legata, una deriva reazionaria. In pratica la plebe contro la parte più avanzata di questo attuale quadro politico. Con questo non condanno chi esasperato, per esempio quelli che vivono nei vicoli e nei bassi o nel degrado delle periferie, scendono a buttare spazzature nelle zone bene.
Perchè dico ciò?
Ragioniamo come un qualsiasi cittadino e che, semmai, ha votato per Luigi De Magistris.
In momenti come questi si può pensare tutto e il contario di tutto. Ci sono forze che hanno interessi economici e politici o pseudo tali, affinchè la situazione rimanga tale.
Altrimenti non si capisce il perchè Napoli da ventanni deve subire questa immorale pornografia del potere politico in associazione con gli affaristi degli inceneritoristi e della camorra.
Questi livelli, allo stato attuale, permangono e non possono che essere intrecciati, a discapito di questa terra e della sua popolazione.
Qualcuno ha invocato pure Faccia ‘Ngialluta o organizzato una mega festa di piazza con i più noti cantanti neomelodici e affini. Evidentemente
non è bastato nè il primo, tirato in ballo a sproposito e nè le voci verace comme po’ essere ‘nu piatto e vermecielli, ‘na frittura ‘e zeppole e panzarotti o ‘na bella pizza fritta, innaffiatao cu nu bicchiere ‘e marsala.
Forse la situazione sta peggiorando in virtù di un cambiamento possibile, e totale. Realizzare ciò, visto lo sporco gioca e le conseguenze di un epidemia di un disastro igienico-sanitario, sulla pelle dei cittadini tutti, politiccizzati e no, per chi sta dietro le quinte, iniziando da Belusconi, Caldoro, la camorra e l’altra munnezza originale della Lega Nord con i suoi veti per la trasferenza almeno momentanea dei camion in altre regioni, fa comodo cento volte.
Sono arrabbiato, deluso no, ma incazzato nero si. Chiedo: Come sia possibile, dopo quasi vent’anni di questo scempio, a dir poco indegno e vergognoso, ritrovarsi ancora peggio dell’inizio di questa storia?
In definitiva, giunti a questo punto, tale situazione è, a tutti gli effetti, una dichiarazione di guerra terroristica, strisciante e aperta, contro l’intero territorio di Napoli e provincia, la regione Campania, vedi i rifiuti speciali, e l’intera popolazione.
Continuo a rimanare arrabbiato.
E con l’elezione di De Magistris a sindaco, questa storia d’a munnezza adda fernì a ogni livello. Bisogna voltare pagina. Questa città e quasta terra devono tornare ai suoi figli, ai suoi cittadini.
Soluzione?
Forza De Magistris. Forza i comitati contro le discariche e la raccolta differenziata. E innanzitutto forza la popolazine. Bisogna coinvolgere i vari quartieri della cita e della reriferia con un lavoro vivolo per vivolo e porta a porta. Bisogna appoggiarsi al volontariato e spiegare come stanno le cose.
Il salto di qualità di coscienza civiile e politica e, storico, è in questo coinvolgimento di sinergie dal basso.
Le mediazioni cui si fa cenno nel contributo a mia firma non sono un rimprovero alla nuova giunta. Personalmente aspetto lo scadere dei canonici cento giorni per esprimere un giudizio che nel frattempo sospendo. Rispetto alla figura del nuovo sindaco di Napoli – LDM – non sono un entusiasta e neanche un critico. Le persone che ha scelto in giunta, per buona parte, sono valide e non implicate con la passata amministrazione (disastrosa). L’aver azzerato con le mediaizoni significa – secondo me – aver tolto una delle cause pratiche della malagestione del passato caratterizzata appunto dalla continua e snervante mediazione tra i diversi livelli della città (legittimi e illegittimi/ paralegali etc.). Più che un garbato rimprovero il mio era un apprezzamento per un buon inizio.
Non essendo un giornalista quando scrivo mi scelgo i soggetti che voglio. La mia non è un’analisi dell’ennesima crisi rifiuti che soffoca la città dove vivo, piuttosto è una considerazione personale, una forma narrativa per descrivere un fenomeno che ho visto da vicino (sotto casa mia per l’esattezza), non una denunzia ma un racconto di un reale d’eccezione. Se chi alza barricate di rifiuti recitando una rivolta che non c’è sia pagato o meno, non mi interessa (Caro F Pecoraro la distribuzione del reddito criminale avvviene in altre forme…è materia di PM e altri uomini di legge. Mi interrogo sulle motivazioni e sulla trasformazione antropologica continua che segna il sottoproletariato napoletano, negli ultimi tempi raccontato in varie forme da un asfissiante Spettacolo del Male.
Le creature che ho raccontato in parallelo alla vicenda sono per me componenti essenziali di quanto accade, delle bestie metropolitane. Se non ti interessano non sei mica obbligato a leggere. Credo che ti basti leggere le cronare insipide dei quotidiani nazionali (Repubblica, Corriere, Mattino e così via). Per fortuna chi scrive non sempre ha qualcosa da svelare, non sempre vuole informare, per far ciò esistono i giornalisti (che nell’Italia attuale mi sembrano abbastanza mediocri (un’eccezione secondo me: http://www.napolimonitor.it/).
Sui rifiuti sono stati scritti libri, girati documentari… personalmente mi ritengo uno scrittore di quart’ordine, senza pretese se non quella di cercare forme narrative che non partano sempre dagli stessi presupposti. Camus in effetti non “analizzava” Orano, ma ci ha raccontato un mondo che scompariva. (Credimi non mi paragono ad uno degli scrittori che più amo ne a nessun altro)
Per fortuna che la letteratura ci ha preservato dall’oggettività. Suerte.
in ogni caso, il mio non era un invito a stringere sodalizi con poteri occulti o chissà chi altro. Spero (e credo) che le pratiche amministrative e politiche della nuova amministrazione non ripropongano errori del passato.
Men che meno è un invito a mediare con camorra etc. Non credevo di poter essere frainteso così grossolonamente.
non credo che raccontare limiti o offuschi analisi. Ci sono i luoghi adatti per fare entrambe le cose.
Suerte
Davvero ci possiamo permettere di usare la tragedia di Napoli per una semplice finalità letteraria?
Davvero è oggi possibile guardare agli attori che operano su questo tragico palcoscenico senza capire cosa si muova dietro?
Gli ultimi commenti che vengono dall’interno stesso di Napoli, prima di fotografare l’esistente, ci dicono la cosa più grave che ci toccava sentire, che Napoli come comunità è proprio finita, perchè si sono messe in moto delle dinamiche che non sono decriptabili neanche da chi sta gomito a gomito con gli eventi.
Caro MA, spero che questi fatti costituiscano per lei fonte di ispirazione letteraria, naturalmente senza volere fare paragoni con Camus, ma per noi che leggiamo l’effetto è quello di vedere gente che non riesce più a riconoscere il proprio vicino, e ciò è sempre una gran brutta cosa, ma lo è sommamente per una città come Napoli che ha sempre giustamente rivendicato un proprio spirito locale, una napolanità che parrebbe quindi essere scomparsa.
“Davvero ci possiamo permettere di usare la tragedia di Napoli per una semplice finalità letteraria?”
Concordo.
Fosse almeno buona letteratura.
Perché se fosse buona, non ne avremmo percepito tutta l’inopportunità e lo stridore.
Vincenzo,
Il tuo commento nella sua sincerità mi ha colpita. Non è la stessa cosa vedere Napoli da occhi stranieri, lontani e forse tornati verso i ricordi di città portuaria e vivere dentro con il sentimento di appartenere a una storia, a una communità, a una lingua. Nel mio commento volevo sottolineare la contradizione tra il duende ( l’incanto), l’ispirazione che viene dalla città- non come finalità- ma come origine dellla letteratura e il male fatto alla città. Napoli è un luogo letterario, come l’è Barcelona.
Volevo anche sottolineare la contradizione tra il senso della vita è quella della morte che affoga i Napoletani.
Per esempio il commento di Maria Teresa è potente perché c’è un vincolo intimo con la città. Scrivere un testo su Napoli è confrontarsi con l’illusione, la memoria letteraria ( gli scrittori famosi che hanno parlato della città- dovrei dire: chi sono entrati nel cuore di Napoli- e la realtà senza illusione vissuta dagli abitanti.
Non conosco questa malinconia venuta della città, o in superficie, perché non sono di Napoli, non ho vissuto la mia infanzia in questi quartieri, non ho parlato il Napoletano. Posso afferrare un’ombra, un’impressione, non il corpo profundo. Ma tutti abbiamo vissuto l’infanzia, e Napoli sa ricordare il gusto del paradiso perduto.
Insomma dai commenti sembra che la realtà la si racconti solo in un modo (quello che piace di volta in volta a chi commenta). L’informazione non è “un” articolo, ma una costruzione che non si fa solo scendendo per strada (come mi pare faccia Anselmo, e non mi riferisco per forza a questo pezzo) ma unendo tanti pezzi di informazione. “Davvero ci possiamo permettere di usare la tragedia di Napoli per una semplice finalità letteraria?”, e perché no? Perché la letteratura non può affiancare la cronaca di cui strabordano gli articoli di questi anni (non solo i “mainstream”)… Per me, napoletano che convive quotidianamente con questo problema (come alcuni di voi, d’altraparte), il racconto di Napoli è anche questo; sono i fatti, certo, sono le inchieste, sono la camorra (sono un po’ meno le grida al boicottaggio, anche se in parte vere), le proteste, gli incendi e la diossina ma sono anche le sensazioni, come quelle che, almeno a me, dà questo breve reportage. Non a voi, però, al quanto pare